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Locandina del film
La sposa siriana - Locandina
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Scheda pdf (150 KB)
La sposa siriana - Scheda del film

CINEFORUM ARCIFIC OMEGNA
quarantatreesima stagione


in collaborazione con:

CINEMA SOCIALE - S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA - IL CINEMA DIFFUSO
promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 1 febbraio 2007 – scheda n. 14 (717)

 

 

La sposa siriana

 

 

Titolo originale: Hacala hasurit

Regia: Eran Riklis

Sceneggiatura: Suha Arraf, Eran Riklis. Fotografia: Michael Wiesweg.

Montaggio: Tova Ascher. Musica: Cyril Morin. Scenografia: Avi Fahima.

Interpreti: Hiam Abbass (Amal), Makram J. Koury (Hammed),

Clara Khoury (la sposa), Ashraf Barhoum (Marwan), Eyad Sheety (Hattem),

Evelyne Kaplun (Evelyna), Julie-Anne Roth (Jeanne), Adnan Trabshi (Amin),

Marlene Bajjali (la madre), Uri Gavirel (Simon).

 Produzione: Eran Riklis Productions, Neue Impuls Film, Mact Productions,

Arte France Cinema, Arte Wdr, Nrw, Cnc, Canal+, Hot, Medea.

Distribuzione: Mikado.

Durata: 97.

Origine: Israele, Francia, Germania, 2005.

 

Il regista

 

Eran Riklis è nato nel 1954, si diploma alla National Film School di Beaconsfield, in Inghilterra, dove realizza il suo primo lungometraggio, On a Clear Day You Can See Damascus (1984). Lavora in televisione, torna al cinema per Cup Final (1991), che ottiene un grande successo di critica, seguito da Vulcan Junction (1999) e da Zohar (1993). Eran Riklis, che vive a Tel Aviv, dice a proposito di La sposa siriana: «Ogni regista auspica che il proprio film possa contribuire ad accrescere la comprensione, la compassione e la tolleranza. La sposa siriana è il tentativo di realizzare un film fatto d’amore. Amore per la libertà, per i paesaggi fisici ed emozionali che ci circondano».

 

La critica

 

Il matrimonio quando non lo si scompone in scene di un amore tradito, trascurato e finito rimane un ottimo dispositivo per commedie brillanti. Nel cinema contemporaneo la dimensione etnica è una variante, ormai usurata, del filone. “Grosse e grasse” unioni tra culture conflittuali non sono più l’eccezione, la sorpresa. In questo caso, però, l’arguta sceneggiata dell’assurdo (politico-burocratico) si installa intorno alle frontiere calde del Medioriente. In un villaggio delle alture del Golan, occupato dagli israeliani nel 1967, una giovane donna che appartiene alla minoranza drusa è promessa sposa (il matrimonio è combinato) a un uomo che vive in Siria, a Damasco, ed è un personaggio popolare della Tv. Il convolare a nozze significa per la protagonista anche l’impossibilità di rientrare, per sempre, nel suo villaggio. È un addio al nubilato e alla famiglia, agli amici, alle tradizioni, al proprio paese, alle proprie abitudini. Un salatissimo biglietto di sola andata. L’addio è reso paradossale dall’ottusità e dalla rigidità insensata dei due fronti, dagli stupidi balletti di timbri e permessi. L’umorismo non cancella le sofferenze e le contraddizioni del potere dei confini.

 

Enrico Magrelli, Film Tv, n. 27, 2005

 

Benvenuti nel Paese dell’assurdo, dove tutto il potere spetta ai confini: non solo quelli politico-geografici, ma anche i confini mentali, psicologici, emotivi. Spesso, i più difficili da varcare. Mona, ragazza drusa, vive nel Golan occupato dagli israeliani. Però sono imminenti le sue nozze con un attore di sit-com siriano, che neppure conosce: una volta passata la frontiera, la giovane non potrà più tornare indietro. Se la situazione è, a priori, drammatica, Eran Riklis ha scelto di rappresentare una commedia con venature d’assurdo. Come in una buona commedia all’italiana del passato, i primi venti minuti servono a installare i personaggi rendendoceli famigliari: Mona dallo sguardo triste, il padre filosiriano in libertà vigilata, la sorella emancipata, il fratello ripudiato, quello che si è messo “in affari”. Il piccolo universo famigliare rappresenta in via emblematica lo stato di follia quotidiana in cui vivono i cittadini dei due Paesi in guerra, Israele e Siria. A tratti, il teatrino dell’assurdo di La sposa siriana richiama il cinema balcanico di Kusturica e di Tanovic. Mettendo in scena il nonsense degli uomini, delle frontiere, della burocrazia, Riklis rappresenta shock culturali e crisi individuali d’identità senza cadere nelle trappole del film a tesi. Nell’impianto corale, ben padroneggiato, spiccano i personaggi femminili: donne capaci di mostrarsi irriducibili guerriere dinanzi alla demenza della guerra, che lo sguardo del cineasta segue con rispetto e ammirazione.

 

Roberto Nepoti, la Repubblica, 1 luglio 2005

 

Batte altre strade e affronta le reti spinate di altri confini il film del regista Eran Riklis The Syrian Bride che mette casa in una famiglia araba del più grande villaggio dei drusi nel Golan, fin dal 1967 territorio occupato dagli israeliani. Rincorrendo lo spartito classico di un matrimonio da consumarsi lungo il cordone che divide Israele e Siria, ci si infila dentro il corpo di una famiglia siriana scossa da una serie di frizioni interne ed esterne. All’interno, un frullatore fatto di tradizioni infrante, parentele taciute, attività sovversive e oppressioni maschili a cui si aggiunge la condizione umorale della sposa che non può non vedere nel giorno delle nozze il momento più cupo della sua vita. Pronunciando il suo sì a Tallel, un divo della televisione siriana che lei conosce solo via teleschermo, la donna, una volta balzata oltre la linea d’ombra del confine, non potrà più tornare dai suoi parenti. Strade senza ritorno quindi che, non potendosi appoggiare agli aiuti impotenti della Croce Rossa, vengono ritardate dallo stolido arroccamento delle burocrazie dei due Stati. E mentre l’attesa si fa estenuante, il racconto viene pizzicato da un umorismo capace di non cancellare il tessuto di sofferenza e malessere che imbriglia brandelli di mondo tanto contesi da diventare terra di nessuno. In un mondo fatto di dogane e recinti tanto fisici quanto mentali ed emotivi, il film gioca bene le sue carte e l’apparente lieto fine resta soltanto una cravatta individuale che non riesce però a strozzare le radici dolorose del conflitto.


Lorenzo Buccella, l’Unità, 12 agosto 2004

 

Mentre il festival di Locarno si avvia alla conclusione, dedicando l’ultima giornata di sabato ai Diritti umani, la piazza ha celebrato la sezione con Hacala hasurit (La sposa siriana) del regista israeliano Eran Riklis. L’idea del matrimonio come momento in cui tutte le infinite sfumature e distorsioni di una comunità si rivelano non è una novità. Inedito è questa volta il contesto: le alture del Golan. Territorio siriano che Israele ha occupato dopo la guerra del 1967. A Majdal Shams, a un passo dal confine tra il territorio acquisito da Israele e la Siria, separati da un presidio dell’Onu. Qui vive una comunità drusa siriana, quindicimila persone che non hanno nazionalità ufficiale. Gli anziani del villaggio indossano i loro costumi e dispensano ripudi nei confronti di quanti, ai loro occhi, cedono ai principi della cultura drusa. Si manifesta contro l’occupazione con bandiere siriane, si finisce spesso nelle galere, israeliane. Ma succede anche che ci si sposi. La faccenda si complica maledettamente quando la sposa vive nel Golan e il promesso sposo (il matrimonio è combinato dalle famiglie) risiede invece a Damasco. Sono trattative infinite per gli incartamenti da ottenere. Se già lo scontro con la burocrazia è grottesco, in questo caso diventa una battaglia epica. Con un dramma aggiunto: quando la sposa varcherà il confine non potrà più tornare indietro. Un addio definitivo al paese, agli amici, alla famiglia. Una scelta davvero definitiva. Ecco allora che, dopo il rituale domestico famigliare, l’intera delegazione va al posto di confine. Prima devono superare il controllo israeliano, poi devono attendere nella terra di nessuno che un’addetta della croce rossa faccia la spola con i documenti tra la postazione israeliana e quella siriana. Gerusalemme ha deciso di porre un timbro come se gli abitanti delle alture fossero israeliani, i siriani non riconoscono quel documento perché lo ritengono abusivo. E l’intera famiglia sta sotto il sole cocente sino alla svolta metaforica della vicenda. Più che il film conta quindi la storia raccontata, con quella sottesa speranza che siano le donne a prendere in mano una situazione che gli uomini sembrano impegnati a rendere sempre più inestricabile e impossibile da risolvere. E ancor più della storia conta il cast, composto da attori e tecnici ebrei, palestinesi, francesi, in un guazzabuglio linguistico e di comportamenti che hanno però reso possibile e plausibile una pellicola altrimenti meno interessante. Vero motore della storia è però Amal, la sorella maggiore della sposa, interpretata da Hiam Abbass, già messasi in evidenza in Satin Rouge. Volto magnifico e segnato dalla vita, piglio deciso nell’accollarsi incarichi e umiliazioni che gli altri rifiutano per un’idea di orgoglio che rasenta l’incapacità di affrontare il mondo. Sulle sue spalle pesano i controversi rapporti, anche famigliari, che si sono trasformati in incrostazioni che ingabbiano i comportamenti. Determinata a dare una svolta a tutto Amal trova il coraggio da tutti smarrito. Nato da un matrimonio autentico osservato dal regista nella zona, il film diventa poi altro da sé, anche perché Riklis ha scritto la sceneggiatura in collaborazione con la scrittrice israeliano-palestinese Suha Arraf, offrendo un quadro più articolato nel delineare l’insieme delle relazioni e senza trascurare l’arroganza del governo di Tel Aviv contrapposta alle regole arcaiche e maschiliste della comunità araba.

 

Antonello Catacchio, il manifesto, 12 agosto 2004

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