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La guerra di Charlie Wilson - Scheda del film

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in collaborazione con:


CINEMA SOCIALE – S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

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Giovedì 16 ottobre 2008 – Scheda n. 1 (759)




La guerra di Charlie Wilson

 

Titolo originale: Charlie Wilson’s War.

Regia: Mike Nichols.

Sceneggiatura: Aaron Sorkin. Fotografia: Stephen Goldblatt.

Montaggio: John Bloom. Scenografia: Maria Teresa Barbasso.

Costumi: Albert Wolsky. Musica: James Newton Howard.

Interpreti: Tom Hanks (Charlie Wilson), Julia Roberts (Joanne Herring),

Emily Blunt (Jane Liddle), Philip Seymour Hoffman (Agente CIA),

Amy Adams (Bonnie), Rachel Nichols (Suzanne), Om Puri (Generale Zia-Ul-Haq).

Produzione: Playtone, Universal Pictures. Distribuzione: Universal.

Durata: 97’. Origine: Usa, 2007.

 

Il regista

 

Mike Nichols, vero nome: Michael Igor Peschkowsky. Nato il 6 novembre 1931 a Berlino. Figlio di un intellettuale russo immigrato in Germania e poi negli Usa. Inizia a Broadway, poi va a Hollywood dove dirige Chi ha paura di Virginia Woolf? (1966). Con Il laureato (1967) vince l’Oscar e diventa portabandiera della contestazione. Anne Bancroft è l’indimenticabile Mrs Robinson che tutti ricordano per la canzone di Simon & Garfunkel. Poi Comma 22, satira sull’insensatezza dell’ambiente militare (1970). Quindi Conoscenza carnale (1971) con Jack Nicholson, radiografia sul sesso con dialoghi espliciti dell’intellettuale liberal Jules Feiffer. Seguono Prigioniero della seconda strada (1974), Silkwood (1983), Affari di cuore (1986) e Una donna in carriera (1988). Dopo un periodo di appannamento, si rifà vivo con il graffiante Closer (2004). E adesso questo godibilissimo Charlie Wilson’s War.

 

La critica

 

In La guerra di Charlie Wilson c’è un minuto di cinema che vale tutto il film. Sta proprio all’inizio, prima dei titoli, quando sullo schermo appare il deserto in una notte di luna, con un musulmano inginocchiato che rivolge al cielo la sua preghiera, ma poi si alza e voltandosi verso di noi brandisce il lanciamissili e spara dritto alla macchina da presa. Difficile immaginare una sintesi più efficace della minaccia incombente in questo nevrotico inizio del XXI secolo, quando l’occidentale si scopre impotente davanti all’asiatico che, illuso di servire il suo Dio, prega e uccide. Peccato che nell’adattare il libro di George Crile su ciò che veramente accadde in Afghanistan negli anni ’80 il regista Mike Nichols e il suo sceneggiatore Aaron Sorkin non siano rimasti fedeli all’icastica semplicità dell’incipit. Il cinema moderno si ritiene più acculturato e sottile del cinema d’epoca e infatti oggi nessuno oserebbe più firmare certe rozze contraffazioni della storia come i film hollywoodiani sulla Rivoluzione francese o sulla Civil War, in genere ispirati al rimpianto per Maria Antonietta o la Confederazione schiavista. Qui non si tratta però di discutere il carattere reazionario di certi messaggi, piuttosto di sottolinearne il taglio deciso, eloquente e superpopolare. Per appassionarsi a quelle rievocazioni (pensate a Via col vento) non servivano particolari riferimenti culturali, le trame parlavano da sole. Nella sua sapiente rozzezza era un cinema alla portata di tutti, mentre per capire fino in fondo Charlie Wilson ci vorrebbe un politologo. Lo sfondo è quello di un conflitto semidimenticato, quello degli sparuti gruppi della resistenza afghana contro l’orda militare sovietica che invase e devastò il paese dal ’79. Il deputato texano Charlie Wilson, tutto whisky, donne e coca, è allertato dalla ricca damazza Joanne Herring, che in qualità di console onorario del Pakistan lo fa invitare a Islamabad. Di punto in bianco (e qui l’interprete, Tom Hanks, è davvero toccante quando di fronte al desolante spettacolo di un campo profughi gli occhi gli si riempiono di lacrime) il politico si rende conto dell’odissea di un intero popolo allo sbando, bersagliato dagli elicotteri russi e senza difesa. Urge aumentare il contributo segreto degli Usa ai mujaheddin per dotarli di armamenti adeguati; e Charlie porta in fondo la complessa operazione clandestina appoggiandosi alle furberie di Gus Avrakotos, un agente della Cia che riesce a coinvolgere nell’inghippo il dittatore pakistano Zia e i vertici di Israele. Nel film i protagonisti Wilson, Herring e Avrakotos sono incarnati, mantenendo i nomi e cognomi veri, da Hanks, Julia Roberts e Philip Seymour Hoffman. Questi tre ce la mettono tutta per sbrogliarsi attraverso dialoghi verbosissimi e lanciati a doppia velocità. Purtroppo i rapporti interpersonali non emergono abbastanza; e se la Roberts si ritrova fra le mani una mezza tinca anche all’eclettico Hoffman il copione non fornisce le occasioni che ha Hanks puttaniere redento. Charlie Wilson svela di che torbidi intrighi, magari a fin di bene, si nutrono le svolte della storia, non di rado legate a iniziative di cui nulla emerge ufficialmente. Dopo il trattato di pace sottoscritto nell’87 a Ginevra dall’Urss, gli americani non si occuparono più dell’Afghanistan; e Wilson, pur essendo riuscito a farsi dare miliardi per bombe e cannoni, non ce la fece a strappare un modesto contributo onde aprire qualche scuola nel paese devastato. Il risultato è l’odierna situazione senza sbocchi, con gli Usa nel mirino dei talebani da loro stessi armati. Ahimè, chi conduce ormai il gioco è il musulmano del prologo, quello che ci spara addosso.

Tullio Kezich, Il Corriere della Sera, 8 febbraio 2008

 

Strane storie succedono in questo mondo. Una è quella di Charlie Wilson, un deputato del Texas che nei primi anni ’80 si trastulla cercando di ottenere il meglio dalla sua posizione. Soprattutto in termini di sesso. Ha fatto i conti senza Joanne Hering una delle donne più ricche e potenti dello stato, oltre che sua amante. Lei è un’anticomunista viscerale, di quelle che proprio scaricano fumo dalle narici quando vedono il rosso. Così la signora convince Charlie che l’atteggiamento del governo statunitense nei confronti dell’invasione dell’Afghanistan da parte dei sovietici è decisamente inadeguato. Un milione di dollari di finanziamento per chi combatte i russi. Roba da ridere. Charlie comincia a darsi da fare. Traffica, trama, armeggia, mette insieme personaggi ambigui dei servizi segreti egiziani, israeliani e quant’altro. Va in Pakistan, dove Joanne era console onorario per meriti petroliferi. Grazie a lui, nel giro di 9 anni i finanziamenti Usa sono diventati 1 miliardo di dollari, con armi sofisticate in mano agli afgani. Che infatti ricacciano i sovietici. Insomma, Charlie Wilson ha sconfitto l’impero del male: il comunismo. Peccato che poi quegli stessi afgani diventeranno i nemici giurati degli Usa. Ma questa è un’altra (bella) storia. Mike Nichols affronta la vicenda con leggerezza, si affida a Tom Hanks giuggiolone e puttaniere chiamato a un compito storico e a Julia Roberts riccona che vede lontano quando c’è di mezzo la minaccia comunista. Personaggi un po’ troppo macchietta, anche se il dubbio che davvero fossero così un po’ rimane, e allora emerge in tutta la sua prepotenza l’interpretazione magistrale di Philip Seymour Hoffman come agente Cia. Forse è proprio lo spirito di fondo democratico del film il suo limite maggiore di fronte a una storia, a suo modo, invece straordinaria.

Antonello Catacchio, il manifesto, 8 febbraio 2008

 

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