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Giovedì 23 ottobre 2008 – Scheda n. 2 (760)
Non pensarci
Regia: Gianni Zanasi.
Sceneggiatura: Gianni Zanasi, Michele Pellegrini. Fotografia: Giulio Pietromarchi.
Montaggio: Rita Rognoni. Scenografia: Roberto De Angelis.
Costumi: Valentina Taviani. Musica: Matt Messina, Merci Miss Monroe, Les Fauves, Atomik Dog.
Interpreti: Valerio Mastandrea (Stefano Nardini), Anita Caprioli (Michela Nardini),
Giuseppe Battiston (Alberto Nardini), Caterina Murino (Nadine),
Paolo Briguglia (Paolo Guidi), Dino Abbrescia (Stefano, il vigilante),
Teco Celio (Walter Nardini, il papà), Gisella Burinato (Mamma Nardini),
Luciano Scarpa (Luciano detto Matrix).
Produzione: ITC Movie, Pupkin Production. Distribuzione: 01.
Durata: 110’. Origine: Italia, 2007.
Gianni Zanasi
Nato nel 1965 a Vignola (Modena), da dove vengono le famose ciliegie (i duroni di Vignola!), Gianni Zanasi studia filosofia a Bologna, poi segue una scuola teatrale, un corso di cinema diretto da Nanni Moretti e i corsi di regia al Centro Sperimentale di Roma. Il suo film d'esordio è Nella mischia (1995), che viene presentato alla Quinzaine des Réalisateurs a Cannes. Nel 1999 gira Fuori di me e il documentario La vita è breve ma la giornata è lunghissima, premio speciale a Venezia. Sempre alla Mostra di Venezia presenta, con grande successo critico, questo Non pensarci, bella commedia all'italiana, come quelle di una volta. Sentiamo Zanasi: «L'idea di Non pensarci è nata da un'immagine. Una mattina mi sono svegliato, ho guardato la mia chitarra elettrica e mi è venuta in mente l'immagine di un punk-rocker fallito che guarda un vasetto di ciliegie prodotto dall'azienda di famiglia. Non ho potuto fare a meno di ridere... La Pupkin Production, produttrice del film, è una casa indipendente. In Italia, in genere indipendente significa sfigato. Negli Stati Uniti la produzione indipendente è molto forte, ha una vetrina importante come il Sundance Film Festival. Però, indipendente, nel nostro caso, significa riuscire a essere il più sinceri possibile. Produciamo film a budget contenuto, profondamente ancorati alla realtà, ma spiazzanti nelle scelte tematiche e di racconto, film che non si prendano troppo sul serio e che siano pensati e realizzati con grande serietà... L'ironia e la leggerezza nel film sono servite a stemperare la realtà anche drammatica di una famiglia della provincia italiana. Quella del vero è una scelta di racconto e di gusto. Leggendo la sceneggiatura, per quanto fosse dettagliata e strutturata, mi rendevo conto che potevano uscirne film completamente diversi a seconda di quanto saremmo stati finti oppure no. Ho voluto girare in una fabbrica vera, con operai veri. Può sembrare marginale, ma è una delle cose che ha dato il "la" e che ci ha fatto capire immediatamente il film che stavamo andando a fare. Per questo ringrazio tutti gli operai, e i signori Toschi [proprietari di una famosa fabbrica di ciliegie sotto spirito, ndr], che ci hanno fatto lavorare mentre tutti lavoravano attorno a noi... Ho ricevuto i complimenti di Monicelli, però andiamoci piano! Quello della commedia all'italiana è stato un periodo favoloso della storia del cinema ma non credo sia ripetibile, né rapportabile alla nostra esperienza; magari come spettatori sì, ma non come narratori. Certo, ti ispira quello spirito gioiosamente anarcoide di certa commedia all'italiana, però almeno io non riesco a pensare programmaticamente e dire "adesso facciamo la commedia all'italiana". Credo che Non pensarci è una commedia, forse anomala, ma una commedia oggi in Italia».
La critica
Se vivete nel profondo Nord-Est e siete curiosi di sapere come sia questa «Roma ladrona» della quale tanto blaterano alcuni vostri compatrioti; e se volete andare al di là dei luoghi comuni che vogliono questo Paese diviso in mille staterelli come ai tempi dei Comuni, Non pensarci è l’esperienza cinematografica giusta. È diretto da un regista emiliano, Gianni Zanasi, che a Roma si è ambientato benissimo, fin dall’opera prima Nella mischia. Inoltre, è un film in cui il «romano de Roma» Valerio Mastandrea e l’udinese Giuseppe Battiston sono fratelli, e già questo la dice lunga sul coraggio del regista-sceneggiatore. Insomma, Non pensarci è un apologo sull’unità d’Italia! Scherzi a parte, Zanasi racconta l’Italia come un regista americano potrebbe raccontare il Tennessee, e se dovessimo azzardare un paragone citeremmo Elizabethtown di Cameron Crowe: anche qui si racconta di un «emigrante» di successo costretto a ritornare alla cittadina natia. A volte è New York, a volte è Londra o Parigi o Mosca, ma il mondo è pieno di ragazzi che partono da un paesello e vanno nella capitale per sfondare. L’ha fatto anche Zanasi, per fare il cinema, e lo Stefano di Non pensarci è ovviamente una sua proiezione. Solo che non fa il regista, ma il chitarrista rock: è finito anche su copertine illustri (Mucchio, Rockerilla...) ma ora la sua carriera è in stallo, e la fidanzata lo tradisce con il chitarrista di un altro gruppo, molto più giovane. Ecco quindi il nostro Stefano (Mastandrea) montare in macchina e tornare a Rimini, dove il fratello Alberto (Battiston) dirige la «fabbrichetta» creata da papà e mamma (Teco Celio e Gisella Burinato) mentre la sorella Michela (Anita Caprioli) lavora nell’acquario cittadino. Il figliol prodigo viene accolto con affetto e imbarazzo. Ben presto vengono a galla i conflitti latenti con Alberto, soprattutto quando si scopre che il fratello «imprenditore» ha quasi mandato in rovina l’azienda. Stefano e Michela tentano di prendere in mano la situazione, ma non è certo casuale che entrambi siano fuggiti da quell’Idea di capitalismo familiare, uno a grattugiare chitarre elettriche sul palco, l’altra ad accudire delfini assai più umani degli uomini. Si chiede aiuto a un politico, il «più giovane deputato d’Italia», che è anche un ex di Michela: ma questi, dopo essersi lanciato in inquietanti discorsi che potrebbero appartenere alla destra come alla sinistra, confessa candidamente agli amici «di non contare un cazzo» e di non poterli aiutare. Sapete chi avrà l’idea giusta per salvare capra e cavoli? Il vecchio papà, l’unico ad essere rimasto, per tutti questi anni, con i piedi per terra...
Non ve l’abbiamo ancora detto, ma è giunto il momento: Non pensarci è una commedia - ed è molto divertente. È la risposta randagia e molto «free» (nel senso di Free Cinema: ogni tanto sembra un film inglese) alla drammaturgia serrata, ad orologeria, di Tutta la vita davanti. Nel film di Virzì il «tema» - i call-center - è in primo piano, mentre Zanasi tende ad occultarlo. Non pensarci potrebbe sembrare, a uno sguardo distratto, la storia di tre fratelli lievemente squinternati. Sotto questa crosta, però, si intravedono argomenti importanti: lo scollamento dei legami familiari, l’incomprensione tra Nord e Centro, l’assenza della politica, la crisi strisciante di un modello economico in cui una parte di questo Paese - che qualcuno, chissà perché, chiama Padania - si è identificata. Zanasi è bravo a non sottolineare nulla, a raccontare per allusioni, a giocare a «togliere» là dove Virzì lavora per accumulazione. Insieme, i loro due film danno speranza alla nostra commedia. Mastandrea li percorre entrambi con il solito talento, e tutti gli altri attori non sono da meno: uscirete dal cinema convinti che lui, Battiston e la Caprioli siano davvero fratelli, poi ci ripenserete e ammetterete che è un miracolo.
AAlberto Crespi, L'Unità, 4 aprile 2008
Il cinema italiano ci sta dando belle soddisfazioni, come quei ragazzi che per un po' si sono persi o hanno battuto la fiacca e d'improvviso tirano fuori tutte le loro potenzialità: e noi ne siamo fieri, gli diamo qualche pacca sulla spalla per saggiarne la forza, che è sempre in delicato equilibrio con una certa debolezza di costituzione. Forse è proprio questa la forma vincente del nostro cinema, naturalmente inclinato alla commedia, capace di mescolare miserie e nobiltà e di realizzare nozze felici coi fichi secchi. Non pensarci è il classico film girato con pochi soldi e in poche settimane, fresco e croccante, amaro e divertente, scandaloso eppure pieno di quel buon senso che non ha mai abbandonato la provincia italiana. Valerio Mastandrea è un rockettaro che non ha sfondato, la sua carriera prometteva parecchio ma si è arenata in localini dove la gente ascolta la musica bevendo una birretta e pensando ad altro. La fidanzata gli pianta due clamorose corna sulla fronte, spassandosela con un altro musicista senza troppe speranze, e allora l'unica cosa da fare è prendersi una pausa di riflessione e tornarsene a casa, a Rimini, da mamma, papà e fratelloni. E qui si ribaltano tutte le apparenze: la famiglia per bene, quel nido caldo di abitudini consolidate, è in realtà allo sbando. [...] E così il rockettaro si ritrova a dover sistemare gli affari di famiglia, rincuorare i fratelli e i genitori, fare l'ometto di casa, perché tutti gli altri sono impantanati in un malessere inerte e fatalista. Si ride molto, Mastandrea e Battiston sono come Stanlio e Ollio, teneri e catastrofìci. Quel pezzetto d'Italia è il nostro Paese di oggi, azzannato dagli affaristi e dai politici, barcollante, confuso sul lavoro e a letto, superficiale e disperato. Zanasi, regista dall'occhio lucido e dai buoni sentimenti, punta sulla famiglia come unica via di salvezza. Quando tutto cade a pezzi, bisogna sperare che quei pezzi riescano ancora a sedersi attorno a un tavolo e parlarsi, volersi bene, aiutarsi. Forse è una posizione neoconservatrice, forse è semplicemente la verità: quando tutto è perduto, restano vivi solo i rapporti primari, solo su quelli si può contare. Il mondo è una giungla feroce, suggerisce Zanasi, ma la famiglia è l'ultimo riparo, una capanna su un albero.
MMarco Lodoli, Diario, 30 aprile 2008