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La promessa dell'assassino - Scheda del film
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PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 20 novembre 2008 – Scheda n. 6 (764)

 

La promessa dell’assassino

 

Regia: David Cronenberg.

 

Titolo originale: Eastern Promises.

 

Sceneggiatura: Steven Knight. Fotografia: Peter Suschitzki.

Montaggio: Ronald Sanders. Musica: Howard Shore.

Interpreti: Viggo Mortensen (Nikolai Luzhin), Naomi Watts (Anna Khitrova),

Vincent Cassel (Kirill), Armin Mueller-Stahl (Semyon),

Sinéad Cusack (Helen), Donald Sumpter (Yuri), Josef Altin (Ekrem),

Raza Jaffrey (Dottor Aziz), Sarah-Jeanne Labrosse (Tatiana),

Aleksandar Mikic (Soyka), Mina E. Mina (Sig. Azim),

Michael Sarne (Valery Nabokov), Jerzy Skolimowski (Stepan Khitrov).

Produzione: Serendipity Point Films, Bbc Films. Distribuzione: Eagle Pictures.

Durata: 100’. Origine: Canada, Gran Bretagna, Usa, 2007.

 

 

David Cronenberg

 

Canadese, nato nel 1943 a Toronto, David Cronenberg è uno dei massimi maestri del cinema contemporaneo (e il nostro cineforum l’ha seguito passo dopo passo nella sua ormai lunga carriera. Eppure, ai suoi inizi, Cronenberg ha fatto una certa fatica a farsi notare. In molti hanno pensato che fosse un piccolo frequentatore di atmosfere orrorifiche quando invece si stava semplicemente facendo le ossa nel cinema di genere dove riusciva già a fare discorsi originali e complessi sulla condizione umana nel mondo come oggi è diventato. Poi tutti si sono accorti che i grandi temi di Cronenberg erano la mutazione, l’epidemia, la contaminazione, il rapporto tra la carne e il metallo, tra il reale e il virtuale, tra l’umano e il non-umano… Figlio di un giornalista e scrittore e di una pianista, religione ebraica, Università di Toronto, laurea in letteratura inglese ma anche studi di scienze, primi cortometraggi Transfer (1966) e From the Drain (1967), poi nel 1975 Il demone sotto la pelle, film che lo lancia fra gli autori del fantastico. Seguono Scanners (1981), Videodrome (1983), La zona morta (1983), fino al successo assoluto di La mosca (1986). Quindi l’incubo ginecologico Inseparabili (1988), poi il delirio paranoico Il pasto nudo da William Burroughs (1991) e il misterioso melodramma tra maschile e femminile M. Butterfly (1993). Con Crash (1996, da Ballard) vince a Cannes il premio speciale della giuria. eXistenZ (2000, orso d’argento a Berlino) è uno dei suoi risultati più alti. Infine arrivano Spider (2002), il magnifico A History of Violence (2005) e questo Eastern Promises (2007).

 

La critica

 

Eastern promises, livido horror sociale di Cronenberg, è un film sconvolgente per cosa dice, come lo dice, quanto lo dice: nessuno è come sembra. Ideale seguito di quel doppio western che era A History of violence, La promessa dell’assassino si svolge fra i capoccia della mafia russa a Londra in un intrigo laocoontiano di razze, violenze, un trionfo del malaffare organizzato dai grandi boss della casta criminale russa approdato nella Londra off off turismo. Dove vive e prospera, trafficando in corpi e prostituzione, la famiglia affiliata alla fratellanza che ha espulso dalla propria morale ogni comandamento: padrino è il proprietario di un ristorante transiberiano che lavora col figlio, giovane uomo senza qualità, ma il suo vero alter ego è un misterioso autista killer senza cuore. Finché, un Natale, incontra una bionda ostetrica che ha appena visto morire una ragazzina di parto, ha preso la piccola cercando di scoprire cosa si celi dietro questo scenario di povertà postdickensiana. Il Male che viene dall’Est, non immune dal Kgb, è organizzato meglio, ma lo spostamento di una pedina rompe tutti gli equilibri. Sarà l’inizio di una metamorfosi che vede un cambio della guardia associato alla patologia autodistruttiva filiale, alla regola del clan. Insomma, siamo messi male, il tasso etico è sotto i tacchi. Cronenberg riprende il suo magistrale film col massimo del realismo ma palleggiandolo in un incubo in cui tutto è permesso, dal primo sgozzamento alla sequenza straordinaria in cui due neri e loschi figuri attentano alla vita di Viggo Mortensen nudo e tatuato in sauna. Un racconto animalesco e sensuale dove la sevizia morale e materiale è all’ordine del giorno: qualcuna delle bestioline del primo Cronenberg si è inserita nel dna di oggi. Cast da Oscar: Mortensen sembra un automa ma scopre un cuore, Cassel è debole ed edipico, la Watts è bravissima; lo spavento maggiore è nel capo tribù Mueller-Stahl.

 

Maurizio Porro, Il Corriere della Sera, 14 dicembre 2007

 

 

Veggente esploratore di orrori biomolecolari, instancabile detective delle fluttuazioni e degli spettri dell’identità, dopo il western A History of Violence, David Cronenberg sceglie un gangster movie russo, ancor più compatto e essenziale del film precedente. Il regista nega ogni continuità, ma Eastern Promises (scritto da Steve “Dirty Pretty Things” Knight) è un doppio programma ideale con A History of Violence - stessa vena stringata, stessa geometria perfetta, stessa fascinazione per la violenza, nelle sue forme più fisiche e esplosive, come in quelle di assoluta immobilità. Ed è una violenza a base di lame, non di pistole, ancora più paurosa perché incredibilmente intima. Non a caso, il regista canadese ha detto di essersi ispirato alle decapitazioni arrivate persino su Internet. Il set è la Londra russa East End, più Dickens che Litvinenko. Il milieu - cui si accede, come a un altro mondo, attraverso il portone di legno di un vecchio ristorante - è una famiglia di ‘Vory V Zakone’, la rigida casta criminale fiorita già nella Russia zarista e poi nell’Urss di Brezhnev. Nel film di Cronenberg, i Vory sono esemplificati in un crocevia di commerci che vanno dall’oppio afghano alle prostitute minorenni allo champagne da 3 lire. Il tutto controllato dalle gerarchie dei legami di sangue e dall’occhio impossibilmente azzurro di un vecchio capofamiglia, Seymon (Armin Mueller-Stahl). Il tutto in via di estinzione, minacciato com’è dalla presenza Nato in Afghanistan che danneggia il commercio della droga e dall’arrivo sulla piazza di feroci famiglie del crimine ceceno per cui i codici dei Vory non contano nulla. Tony Soprano e Michael Corleone sono le versioni meridionali, solari, del glaciale Seymon. Ma, nonostante la sua dimensione asciutta, molto poco operistica, il film di Cronenberg ha una sontuosità di dettagli - dai colori del caviale servito nel ristorante, a quelli dei fiori che lo decorano, ai volti decrepiti che lo popolano, alla palette infinita di neri in cui è immerso il tutto, fino all’aroma di borsh che quasi emana dallo schermo - che ricorda le magnificenze rituali e arcaiche delle mafia coppoliana. Il tono funereo dei Padrini e di The Funeral di Abel Ferrara è lo stesso. Vincent Cassell è Kirill, il figlio del boss, debole, troppo emotivo e debosciato. Un altro segno della fine. Viggo Mortensen - una maschera impenetrabile, nascosta dietro a un pesante accento russo, occhiali neri, Armani impeccabili e vetri scuri della Mercedes - è l’autista. Seppellita nel passato di Mortensen in A History of Violence, la cifra del cinema cronenberghiano, l’identità, è qui - in prima istanza - un fatto di superficie - letteralmente parlando, di pelle. Sta infatti negli elaboratissimi tatuaggi che decorano il corpo dei membri della ‘famiglia’ e ne determinano rango e storia - una biografia incisa sui pori. Scoperti da Mortensen in un documentario sulle prigioni russe, The Mark of Cain, di Alix Lambert, i tatuaggi sono diventati importantissimi, ‘una metafora e un simbolo nel film - spiega Cronenberg – l’espressione di un mondo specializzato che muore a causa dei cambiamenti verificatisi in Russia negli ultimi 10 anni’. Alla porta di questo mondo in regale, sanguinaria estinzione, arriva un’ostetrica (Naomi Watts) armata solo di un biglietto da visita del ristorante. È di origini russe anche lei - per via del padre, di cui cavalca (omaggio a Marylin Chambers di Rabid) la vecchia moto. Luminosa e solo apparentemente fragile, Anna sta cercando la famiglia della quattordicenne morta pochi giorni prima in ospedale dando alla luce una bambina. Insieme alla neonata, la ragazza ha lasciato un diario in cirillico su orrori che la gente normale non dovrebbe mai conoscere, le ha spiegato lo zio Stepan (un fantastico Jerzy Skolimowski, dal cui Moonlighting Cronenberg ebbe l’idea di scritturare Jeremy Irons in Inseparabili), che lo ha tradotto e millanta un passato nelle retrovie del Kgb. È un diario su cui Seymon deve mettere le mani per proteggere gli esecrabili segreti dei Vory, raccontati anche in voice over dalla ragazza morta, il cui spettro strega la storia, oltre che Anna. Non importa se si tratta solo di una fessura. Una volta dischiusa, dalla porta del ristorante esce ogni sorta di mostro: esecuzioni sommarie, dita tagliate, miniprostitute imbottite di droga da scoppiare e una scena nel bagno turco che - ha già anticipato Cronenberg - passerà alla storia come la scena della doccia di Psycho. Non solo per la ferocia del corpo a corpo tra l’autista e due killer armati di coltello ma perché Cronenberg si diverte a far combattere Mortensen completamente nudo. Attore ermetico e poco affettato, perfetto per il cinema austero del maestro canadese, Mortensen è di nuovo il cuore di tenebra del film. Il suo rapporto con Anna, aldilà della cortina di ferro, è fatto di gesti impercettibili, di occhiate, apparizioni improvvise. Non la tocca quasi, ma l’intensità è quella dell’amplesso sulle scale con Maria Bello.

Giulia D’Agnolo Vallan, il manifesto, 14 dicembre 2007

 

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