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In questo mondo libero... - Scheda del film

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in collaborazione con:


CINEMA SOCIALE – S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS


Giovedì 11 dicembre 2008 – Scheda n. 9 (767


In questo mondo libero…

 

Regia: Ken Loach.

 Titolo originale: It’s a Free World...

 Sceneggiatura: Paul Laverty. Fotografia: Nigel Willoughby.

Montaggio: Jonathan Morris. Musica: George Fenton.

Interpreti: Kierston Wareing (Angie), Juliet Ellis (Rose), Leslaw Zurek (Karol),

Colin Caughlin (Geoff), Joe Siffleet (Jamie), Faruk Pruti (Emir),

Branko Tomovic (Milan), Radoslaw Kaim (Jan), Serge Soric (Toni),

Nadine Marshall (Diane), Frank Gilhooley (Derek),

Raymond Mearns (Andy), Steve Lorrigan (sergente di polizia).

Produzione: Ken Loach, Sixteen Films Ltd.

Distribuzione: Bim. Durata: 96’. Origine: Gran Bretagna, 2007.

 

Ken Loach

 

Regista graffiante, polemico, popolare, con la working class nel cuore. Nato nel 1936, a Nuneaton, GB, aria da bravo ragazzo, molto english, occhialini da intellettuale. Film impegnati che si battono per la giustizia sociale, contro la società dello sfruttamento, per la dignità di ogni uomo. Questo è Ken Loach. Che viene da una famiglia operaia, studia a Oxford (giurisprudenza), si appassiona al teatro, passa in tv e gira docudrammi molto politicizzati con storie che non hanno nulla a che vedere con la swinging London di quegli anni. Debutta e si fa largo nel cinema con tre film (girati per la tv), uno dopo l’altro, che lasciano tutti il segno: Poor Cow (1967), Kes (1969) e Family Life (1971). Sono molti, da allora, i lavori di Loach (e tanti ne abbiamo visti al cineforum). Ne ricordiamo alcuni: The Gamekeeper (1980), L'agenda nascosta (1990), Riff Raff (1991), storia comune con sullo sfondo la politica della Thatcher, presa in giro da un umorismo caustico, Piovono pietre (1993). Nel 1994 a Venezia gli viene dato il Leone d'oro alla carriera. Altri film: Ladybird Ladybird (1994), Terra e libertà (1995), La canzone di Carla (1996), My name is Joe (1997), Il pane e le rose (2000), Paul, Mick e gli altri (2001), Sweet Sixteen (2002). Gira un episodio del film collettivo sull’11 settembre (2002) e un episodio per Tickets, insieme a Olmi e Kiarostami. Vince la Palma d’oro a Cannes con Il vento che accarezza l'erba (2006) che non è uno dei suoi film migliori. In questo mondo libero… è stato presentato alla Mostra di Venezia dove ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura.

 

La critica

 

Lo sguardo di Angie (Kierston Wareing) è di ghiaccio, svuotato di emozioni. O forse in esso trionfa l'unica emozione ancora possibile: quella d'una solitudine impaurita e furente, che si fa stile di vita. Attorno a questa solitudine si sviluppa la storia, anch'essa di giaccio, di In questo mondo libero. Con lo sceneggiatore Paul Laverty, Ken Loach racconta un'umanità che alcuni osservatori da tempo chiamano 'flessibile', e lo fa senza pesantezze sociologiche e senza cedere alla tentazione dell'ideologia. Che cos'è dunque la flessibilità di Angie? Nel film lo spiega lei stessa, con una consapevolezza che non chiede e non ammette consolazioni. Il padre Geoff (Colin Caughlin) l'ha appena sorpresa a fare il suo mestiere di mercante di braccia. Vecchio operaio sindacalizzato, torna a vedere un'antica pratica che aveva creduto finita. A pagarne le conseguenze, aggiunge, sarà il nipote Jamie (Joe Siffleet), costretto a competere per un posto di lavoro insicuro e mal pagato con quegli stessi poveri esseri umani che Angie compra e vende al di fuori e contro ogni legge. Certo, aggiunge, lui non si mischierebbe mai 'con quegli animali' del Fronte Nazionale. Eppure, implicito, c'è nelle sue parole il sospetto d'una disponibilità al rifiuto anche violento degli immigrati. A frenarlo, per ora, restano il suo passato e la sua appartenenza politica, che la sceneggiatura non dichiara, ma certo suggerisce. Insomma, Geoff ha un punto di vista sul mondo, una storia di vita. E in nome di tutto questo rinfaccia alla figlia il suo tradimento. Al contrario, Angie non ha appartenenze, e non ha passato. Per trent'anni tu hai fatto lo stesso mestiere, dice al padre quasi con rimprovero. Quanto a lei, invece, a più di trent'anni non ne ha alcuno, di mestiere. La sua vita è segnata dal fallimento d'ogni tentativo di costruirsi una storia lineare e coerente. Non è legata ad alcun passato, Angie, e non spera in alcun futuro. O meglio, immagina che il suo futuro avrà il volto del suo presente: esposto al rischio, mutevole, privo di senso che non sia quello immediato e labile del denaro. D'altra parte, come dichiara al padre, non accetterebbe mai una condizione sociale misera come la sua. Questa è la sua 'flessibilità', questa assenza di storia di vita, questa mancanza di stabilità e appartenenza e, insieme, questa volontà disperata di emergere, di avere successo da sé sola e per sé sola. Non è morale lo sguardo di Angie sul mondo, e nemmeno immorale. In lei c'è piuttosto una scissione fredda tra un residuo senso morale e i comportamenti. Quando la socia Rose (Juliet Ellis) è presa da qualche scrupolo, o almeno da qualche timore, la sua risposta è netta, definitiva: 'Lo fanno tutti'. Non sembra ci sia ipocrisia, in queste parole. Davvero Angie è certa che non ci siano limiti e che non valgano regole, quando si tratta di emergere, o di affrancarsi anche solo un po' dalla sconfitta. Lo fanno tutti,e questo giustifica ognuno.

D'altra parte, chi sono questi 'tutti'? Non sono un corpo sociale, e ancora meno una classe. Si tratta invece della somma algebrica di singoli egoisti, aggressivi e inaffidabili, ognuno in guerra con ognuno. Di questo è certa Angie. Lo è a tal punto, che nella stessa prospettiva vede e vive ogni sentimento, a parte l'amore per il figlio,e forse l'affetto per il padre. Nel suo mondo non ci sono relazioni che non siano economiche e quantitative. Anche l'amicizia, l'amore e il sesso si perdono in questa miseria contabile. Non ha pietà, ma neppure vero odio. Quando per caso ne è tentata, subito considera che non se li può permettere, nella guerra che ha dichiarato al mondo e che il mondo le ha dichiarato. Se per caso le capita di sorprendersi di fronte alle condizioni in cui vivono i suoi 'clienti', poi fa in modo di trarne vantaggio. Perché dovrebbe comportarsi diversamente? Lo fanno tutti, appunto. Insomma, Angie immagina di essere sola in un mondo dove ognuno è solo, unico artefice di se stesso, tanto dei propri fallimenti quanto dei propri successi. Anche in questo senso la sua mancata, frammentaria, 'flessibile' storia di vita capovolge quella del padre, passata nella certezza d'esser parte di un gruppo, e di condividere con tanti altri suoi pari sia il merito delle vittorie sia la responsabilità delle sconfitte. Tutto questo raccontano Ken Loach e Paul Laverty. E mai permettono che la sociologia o l'ideologia si sovrappongano allo sgomento dei loro e dei nostri occhi, di fronte alla guerra che Angie dichiara al mondo, e che con lei dichiarano i molti smarriti nella sua stessa solitudine impaurita e furente.

RRoberto Escobar, Il Sole 24 Ore, 7 settembre 2007

 

Premiato per la miglior sceneggiatura alla Mostra di Venezia, il nuovo film di Ken Loach parla di lavoro precario e in nero, e di come anche le brave persone non possano (più) farne a meno. Forse in questo film dal titolo sarcastico c'è qualcosa che mi sembra inoppugnabile: la sua forza trainante è Angie, la protagonista. L'ha inventata lo sceneggiatore Paul Laverty dopo una lunga inchiesta sul campo. L'ha messa in immagini e diretta il settantenne Ken Loach, coerente con la sua lucida rabbia in corpo che, dopo l'ingresso nell'alta età, si è tinta di pessimismo. (Spesso, però, un pessimista è soltanto un ottimista più informato degli altri). L'ha impersonata la sconosciuta Kierston Wareing (1975) che, se non fosse stato per la Blanchett di Io non sono qui, probabilmente avrebbe vinto la Coppa Volpi alla 64a Mostra di Venezia: la sua è un'esemplare recitazione in 'full immersion', per empatia. In ogni modo l'avrebbe meritata. E se la sua forza fosse anche il limite del film? Molti tra i critici/spettatori del lido l'hanno insinuato. Non sono d'accordo. Nell'hinterland di Londra Angie è una trentenne ragazza madre (figlio di 11 anni) che tracima energia passionale, capacità imprenditoriali, ambizioni frustrate. Decisa a mettersi in proprio con un'agenzia semiclandestina ed esentasse di collocamento per lavoratori neocomunitari o extracomunitari, s'associa all'amica Rose, più colta di lei ed esperta di amministrazione. Tipico prodotto dell'era liberista di Mrs. Thatcher, si arricchisce sfruttando i lavoratori precari. Quando Rose glielo rinfaccia, replica: 'Lo fanno tutti'. Quello di Loach non è un altro film sull'immigrazione. Tema centrale è il lavoro saltuario, a termine, (flessibile) nel mondo della 'deregulation' e della globalizzazione. Il sistema delle agenzie di reclutamento, l'uso degli appalti, fornitori esterni, lunghe catene di contratti a termine nasconde e facilita una nuova forma invisibile di schiavismo in cui sono puniti per legge i lavoratori, costretti a chinare la testa a bocca chiusa, non chi li sfrutta. Laverty e Loach non giudicano Angie, così amabile e spietata, ma il sistema in cui prospera. Infine In questo mondo libero è anche, in suo figlio Jamie, un racconto di formazione che apre uno spiraglio sull'avvenire. Musica funzionale di George Fenton, basata sulla viola e il sax.

MMorando Morandini, Film TV, dicembre 2007

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