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La banda - Scheda del film

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in collaborazione con:


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Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS


Giovedì 18 dicembre 2008 – Scheda n. 10 (768)


La banda

 

Regia e sceneggiatura: Eran Kolirin.

 

Titolo originale: Bikur hatizmoret.

 

Fotografia: Shai Goldman. Montaggio: Arik Lahav Leibovitz. Musica: Habib Shehadeh Hanna.

Interpreti: Sasson Gabai (Tewfiq), Ronit Elkabetz (Dina), Saleh Bakri (Haled),

Khalifa Natour (Simon), Imad Jabarin (Camal), Tarak Kopty (Iman), Hisham Khoury (Fauzi),

François Khell (Makram), Eyad Sheety (Saleh), Shlomi Avraham (Papi).

Produzione: July-August Productions, Bleiberg Entertainment, Sophie Dulac Productions.

Distribuzione: Mikado. Durata: 90’.

Origine: Israele, 2007.


 

Eran Kolirin

 

Non capita spesso, in Italia, di vedere un film israeliano. Capita ancora meno di vedere un film israeliano che ha per protagonisti un gruppo di egiziani… La banda è stato presentato a Cannes nel 2007 dove ha vinto il premio per il miglior film della sezione Un Certain Regard e un premio come miglior esordio. Il regista Eran Kolirin è nato nel 1973 a Tel Aviv, ha scritto molte sceneggiature e ha diretto alcune serie per la tv. La banda è il suo primo film.

 

La critica

 

La banda del titolo è quella della polizia di Alessandria d’Egitto, che opera sotto la scure dei tagli alla cultura, una banda musicale specializzata non tanto nelle marce militari quanto nella musica tradizionale araba, anche se c’è chi tra i componenti adora Chet Baker e chi compone una sinfonia. Gli otto musicisti vengono invitati in Israele a suonare al Centro di cultura araba di una piccola cittadina. Una volta assodato che nessuno è venuto a prenderli all’aeroporto, in un inglese stentato chiedono come raggiungere il piccolo centro e, complice la lingua straniera, lo scarso senso pratico e un’assonanza birichina, finiscono in un buco in mezzo al nulla, una colata di cemento in mezzo al paesaggio brullo, neanche fossero sulla luna. Gli otto uomini, in divisa carta da zucchero e strumenti al seguito, hanno come leader il ‘generale’ (Sasson Gabai, giustamente premiato come miglior attore agli Efa, gli Europe Film Awards, come a dire gli Oscar del cinema europeo), meravigliosa maschera di burbera severità indurita dalla vita. A prestar loro soccorso una donna bella e non più giovanissima che gestisce un bar ed è ben consapevole della mancanza di stimoli del paesino (“qui non c’è cultura né araba né israeliana, è solo un cesso”) e due giovani avventori, che l’aiuteranno a far ‘passare la nottata’ agli smarriti musicisti, in attesa che l’ambasciata si prenda cura di loro. Una notte di incontri, confronti, ostilità e inattesa solidarietà; un’oasi di serenità per gli abitanti, aggrappati all’attesa infinita dell’imprevisto, o che la vita ha già spinto a nulla più chiedere. La vigorosa barista invita a cena il freddo generale, cercando di sedurlo o quanto meno di scalfire la corazza sedimentata negli anni per poi freudianamente appagarsi col più attraente del gruppo. Lo stesso che, trovatosi nella discoteca locale con i due ragazzi conosciuti al bar e relative amichette, insegna al più impacciato dei due come vincere la timidezza con il gentil sesso, in una sequenza che strappa l’applauso. Altri tre dei musicisti si troveranno a casa di un buon samaritano, per una cena familiare non proprio all’insegna della distensione. Premiato al Certain Regard di Cannes 2007 e vincitore del Premio Efa come miglior esordio, La banda rende l’idea di come sarebbe un film di Aki Kaurismaki se questi fosse nato in Medio Oriente, anziché in Finlandia. I silenzi, le difficoltà a comunicare, l’accostamento di mondi lontanissimi, personaggi stralunati e a volte tenerissimi convergono in 24 ore fuori dalla norma con un tono ora surreale ora comico che conquista in un’opera prima piena di empatia, e che, pur senza affrontare apertamente temi scottanti, è un implicito, intelligente invito al dialogo e alla comprensione, senza vuoti paroloni né sterili proclami. Una magnifica sorpresa.

MMario Mazzetti, Vivilcinema, febbraio 2008

 

Eleganti, fieri, la divisa impeccabile: i membri della banda della polizia di Alessandria d’Egitto specializzati in musica tradizionale araba stanno fermi sul marciapiede. Invitati in Israele per suonare in un Centro di Cultura Araba, i musicisti hanno sbagliato autobus e sono finiti tra i casermoni di una sperduta cittadina immersa nella polvere del deserto. Un gruppo di egiziani musulmani gentili, formali, timidi. Un posto qualunque, in Israele, dove gli abitanti sono ospitali con gli stranieri appena arrivati. Tra i due gruppi non ci sono (o quasi) tensioni, sospetti o rivendicazioni: arabi e israeliani siedono alla stessa tavola, suonano la stessa musica e si raccontano la propria vita. Premiato al Certain Regard di Cannes 2007, il primo lungometraggio dell’israeliano Eran Kolirin è un sogno. La banda, infatti, mette in scena la fantasticheria infantile di ottenere la pace così, semplicemente, mettendo un viso di fronte all’altro, confidando nel piacere della conversazione. Ma quello di Kolirin è un sogno sognato con grazia, con umorismo lieve, con umana comprensione per i suoi personaggi. Il film che avrebbe girato Kaurismaki se fosse nato in Medio Oriente e soprattutto, se avesse avuto un briciolo di speranza.

SSilvia Colombo, Film TV, agosto 2007

 

Si fa un gran parlare di barriere e muri che separano uomini e cose, popoli e memorie collettive. Eran Kolirin, giovane regista israeliano, traduce questa insofferenza cucendo senza fretta una commedia sulla possibile fratellanza universale. (...) In marcia verso la città dove dovrebbero esibirsi, tra lo scherno di giovinastri in decappottabile e musica techno, e senza indicazioni scritte in arabo, finiscono nell’oasi/ristoro dell’israeliana Dina. Frequentata da due miseri clienti, il luogo si presterà a cerniera con gli ospiti egiziani, metaforicamente isolati con le loro divise azzurre e ben rappresentati dal front leader Toufik (Sasson Gabai), fino ad alleggerirsi e sciogliersi in liaisons amorose, consigli di corteggiamento per giovani impacciati e conoscenza di nuovi mondi musicali. L’abbattimento dei confini avviene anche visivamente: Kolirin non divide l’inquadratura in campo e controcampo, ma salta spesso dall’altra parte lasciando essere noi il soggetto che guarda e che viene guardato. La banda diventa così una parabola sulla fugace perdita d’equilibrio psicologico per riacquisirne uno sociale più lieto e disteso al suono finale della fanfara ritrovata.

DDavide Turrini, Liberazione, 21 marzo 2008

 

A quasi un anno di distanza dal festival di Cannes, dove ha conquistato il premio per la migliore opera prima, esce La banda del giovane regista israeliano Eran Korilin. Film commovente, giocato su un tipo di comicità simile alle astrazioni fredde e surrealmente realistiche di Aki Kaurismaki, conferma la vitalità controcorrente delle nuove generazioni di cinema in Israele desiderose di uscire dalla ‘gabbia’ del conflitto per plasmare un immaginario duttile e liberato. In cui il ‘politico’ prende forma nell’umorismo, nello spostamento sottile dello sguardo, nella ricerca importante di sinergie tra le culture soffocate oggi dall’intransigenza. Il regista lo ha girato anche in omaggio ai fiammeggianti film egiziani che hanno accompagnato la sua infanzia, conquistando nonostante la guerra tra i due paesi occhi e palpiti del pubblico, e che ora sono scomparsi per sempre dall’unico canale della tv israeliana (privatizzato) come sono sparite le scritte in arabo... Anche la magnifica star del film, Ronit Elkabetz, già icona per Amos Gitai, vive sul confine delle culture, famiglia sefardita, al suo esordio come regista (Prendere moglie) ha raccontato questa componente offuscata nella società israeliana moderna. La banda sono otto strumentisti della banda della polizia di Alessandria d’Egitto invitati a suonare in Israele per l’inaugurazione di un centro culturale arabo. Ma all’arrivo in aeroporto non trovano nessuno ad aspettarli. La burocrazia, la sfortuna e una serie di contrattempi, tra cui la difficoltà linguistica che rende le comunicazioni un po’ improbabili, portano la banda fuori strada, in un posto periferico, una piccola cittadina desolata nel bel mezzo del deserto che si rivelerà più ospitale del previsto. Verranno invitati a cena, conquisteranno un letto, forse addirittura un cuore, parteciperanno perfino, nonostante diffidenze e le solite incomprensioni di lingua alla vita notturna e ‘intima’ dei loro nemici. La proprietaria dell’unico ristorante – Ronit Elkabetz molto seduttiva col suo vestito rosso e quella punta di cinismo da troppi amori infelici – li prende in simpatia e decide di proteggerli. In particolare il colonnello, Tewfiq (Sasson Gabal) che invita a uscire con lei in una lunga serata di confidenze. Intanto il ‘bello’ della banda con passione per Chet Baker dà lezioni indimenticabili sul femminile al ragazzo molto imbranato del paese che non ha mai fatto l’amore... Dimostrando la complementarità tra popoli più legati e vicini di quanto credano. E anche quanto sia ancora indelebile quella traccia lasciata dal grande cinema musicale e melò egiziano persino in Israele, che non dimentica, nonostante Nasser, quanto ha pianto per le canzoni e le passioni di Om Kalshoun, Omar Sharif e Fatem Hamama. Noi intanto abbiamo anche scoperto che le bande della polizia araba, altro che inni marziali, suonano struggenti arabesque d’amore.

RRoberto Silvestri, il manifesto, 21 marzo 2008

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