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Il falsario - Scheda del film

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in collaborazione con:


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Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS


Giovedì 29 gennaio 2009 – Scheda n. 14 (772)


Il falsario

 

Regia e sceneggiatura: Stefan Ruzowitzky.

 

Titolo originale: Die Fälscher.

 

Fotografia: Benedict Neuenfels. Montaggio: Britta Nahler.

Musica: Marius Ruhland.

Interpreti: Karl Markovics (Salomon Sorowitsch), August Diehl (Adolf Burger),

Devid Striesow (Friedrich Herzog), Martin Brambach (Holst),

August Zirner (Dottor Klinger), Marie Bäumer (Aglaya),

Veit Stübner (Atze), Sebastian Urzendowsky (Kolya Karloff),

Andreas Schmidt (Zilinski), Tilo Prückner (Dottor Viktor Hahn),

Lenn Kudrjawizki (Loszek), Dolores Chaplin (donna dai capelli rossi).

Produzione: Aichholzer Filmproduktion. Distribuzione: Lady Film.

Durata: 98’. Origine: Austria, Germania, 2007.

 

 

Stefan Ruzowitzky

 

Nato il 25 dicembre del 1961 a Vienna, Stefan Ruzowitzky ha studiato drammaturgia e storia nella sua città. Ho poi cominciato a dirigere video musicali e a lavorare nella pubblicità. Nel 1996, ha diretto il suo primo film, Tempo, storia giovanile che ha vinto numerosi premi. Il film successivo è Die Siebtelbauern, Gli eredi (1998), anch’esso vincitore di premi in festival importanti, come per esempio Rotterdam. Del 2000 è l’horror Anatomy, seguito tre anni dopo da Anatomy 2, e con in mezzo, nel 2001, una coproduzione internazionale, All the Queen’s Men. Nel 2007, Il falsario, dopo essere stato premiato al festival di Berlino, ha ricevuto l’Oscar come miglior film straniero. Il cineforum presenta il film in occasione della Giornata della Memoria.

 

La critica

 

È difficile oggi scoprire qualcosa di ancora inedito agli archivi letterari o audiovisivi sull’Olocausto. E invece dagli schermi della Berlinale, nelle ultime edizioni esplicitamente attenta alla memoria al proprio passato, arriva la sorpresa: un’opera austro-tedesca che racconta (bene) la storia vera di un gruppo di prigionieri in un lager, che riesce a sopravvivere grazie all’arte di creare e stampare denaro falso. Il falsario, appunto, è il titolo della pellicola del 46enne viennese Stefan Ruzowitzky, il cui lavoro più apprezzato finora è stato Gli eredi, uscito anche in Italia, vincitore a Rotterdam nel 1995 e candidato austriaco agli Oscar. Ispirato all’autobiografia di Adolf Burger, The Devil’s Workshop, il film ripropone con qualche licenza all’invenzione le vicende di 140 detenuti professionisti tra tipografi, stampatori, pittori e grafici ebrei che, tra il 1942 e il 1945 si trovarono coinvolti nella segretissima ‘Operazione Bernhard’, ideata dalle SS con l’obiettivo di produrre false sterline britanniche e dollari statunitensi per indebolire le economie dei due paesi nemici. Oltre allo stesso Burger, tipografo di origine slovacca, nel gruppo si trovava anche l’artista russo Salomon Smolianoff, che nel libro è indicato come ‘il miglior falsario di denaro e documenti in circolazione’. Deportati nel lager di Sachsenhausen, ‘gli specialisti’ delle baracche 18 e 19 stamparono la bellezza di 134 milioni di sterline, pari al triplo dell’ammontare di denaro delle casse del Regno Unito di quell’epoca. Al di là della fonte letteraria, la testimonianza di tale attività clandestina patrocinata dai nazisti emerse nel 1959 attraverso un articolo della rivista tedesca Stern, secondo il quale sui fondali del lago Toplitz, in Austria, furono ritrovate le sopra indicate quantità di denaro britannico accanto copiosi pezzi di opere d’arte rubati. Ecco qui la storia e il libro. Nell’avvincente trasposizione cinematografica il protagonista diventa proprio il russo Smolianoff - con il nome fittizio di Sorowitz - il cui talento artistico viene rivelato a una SS grazie a un ritratto abbozzato durante la sua iniziale reclusione nel lager di Mauthausen. Quando il militare nazista riconosce in Sorowitz (interpretato da un ottimo Karl Markovics, attore reso famoso dalla serie tv “Rex”) l’uomo perfetto a condurre la famigerata Operazione Bernhard decide di trasferirlo con gli altri professionisti a Sachsenhausen, preservando per loro un trattamento privilegiato: letti morbidi, cibo a sufficienza e perfino un tavolo da ping pong per il tempo libero, concetto, quest’ultimo, che mai verrebbe la fantasia di applicare a un campo di concentramento nazista. Ma quella dei falsari era, non a caso, denominata la ‘Gabbia d’oro’; questo non escludeva che la loro condizione rimanesse a tutti gli effetti quella di deportati ebrei, divenuti falsari per i nazisti non per libera scelta, ma per ordine preciso, alla cui disattenzione sarebbe corrisposta l’uccisione immediata. Paradossale quanto possa sembrare in tali condizioni, non tutti gli artigiani risultano omogenei rispetto all’asservimento nazista, specie l’idealista comunista Burger (l’autore del libro) che tenta di sabotare l’intera attività. Ed è grazie a questo elemento che il film riesce con efficacia a mettere al centro il suo tema principale, ovvero la questione morale sulla legittimità o meno di sacrificare un gruppo di esseri umani in nome di un principio. Valore universale che fa lievitare anche quello dell’opera in crescendo nella sua seconda parte. Un ‘bravo’ dunque ad un regista e a un cast che hanno saputo offrire qualcosa di nuovo e di ‘sempre valido’ su un pezzo di storia di cui ogni tanto l’impressione è che si sia già detto tutto.

AAnna Maria Pasetti, Il Riformista, 15 febbraio 2008

 

Era una delle sorprese dell’ultimo festival di Berlino. È uno dei cinque stranieri candidati all’Oscar, e non certo il meno autorevole. Ma soprattutto è uno dei lavori più vitali e spiazzanti che il cinema abbia dedicato alla Shoah. Per almeno due ragioni fondamentali. La prima è naturalmente la storia stessa del film diretto dall’austriaco Stefan Ruzowitzky (oltre alla bontà della sua fattura), ispirato alla vicenda autentica degli ‘esperti’ ebrei che nel lager di Sachsenhausen lavorarono per tre anni alla cosiddetta ‘Operazione Bernhard’, consistente nel fabbricare milioni di sterline e poi di dollari falsi per finanziare lo sforzo bellico minando al contempo l’economia dei nemici. Guidati dall’ebreo russo Salomon Sorowitsch (nella realtà Smolianoff), artista mancato, falsario professionista, individualista cinico e seduttore malgrado la bruttezza (uno dei più bei personaggi di questi anni: solo la proverbiale dabbenaggine delle giurie ha impedito allo straordinario Karl Markowics, noto al grande pubblico grazie al “Commissario Rex”, di vincere un meritatissimo orso d’oro a Berlino), i detenuti di Sachsenhausen erano infatti dei privilegiati. Dormivano in branda, mangiavano regolarmente, ascoltavano musica durante il lavoro; e in segno di incoraggiamento, come racconta appunto Il falsario, ricevettero perfino un tavolo da ping-pong. Come sarebbe accaduto di lì a poco in tante industrie moderne e democratiche ansiose di incrementare la produttività, dice fra le righe il film che come ogni pellicola storica tiene un piede nel passato e l’altro piantato nel presente. Anche se a risultare davvero avvincente in questo thriller storico di insolita asciuttezza è l’atroce dilemma che attanaglia i prigionieri, tipografi, bancari, artigiani di vario genere, selezionati dai nazisti per portare a termine quella missione segretissima. Collaborare, salvandosi, o sabotare, facendosi trucidare? Sopportare, mentre appena oltre il muro i loro fratelli vengono sterminati? O ribellarsi e con quali prospettive? Difficile tradurre in termini più incalzanti una questione che potrebbe sembrare teorica, o peggio chiusa in un passato irripetibile, mentre è scelta drammatica e quotidiana per chiunque viva in condizioni di oppressione. In questo senso il film di Ruzowitzky, con tutte le sue (sobrie) concessioni allo ‘spettacolo’, parla davvero a noi, qui e ora. E il dilemma che tortura i protagonisti si fa ancora più concreto (è la seconda ragione della forza del film) manifestandosi in termini di lavoro comune, di mansioni precise, di problemi da risolvere, giorno per giorno, insieme ai loro aguzzini. Magari scoprendosi a esultare con loro quando la Bank of England cade nella trappola. Un film scomodo e appassionante, che sarebbe davvero un peccato perdere.

FFabio Ferzetti, Il Messaggero, 25 gennaio 2008

 

Nel 1944 l’ebreo Salomon Sorowitsch, falsario di eccezionale abilità, è internato in campo di concentramento e obbligato a partecipare all’ ‘Operazione Bernhard’: coordinando un gruppo di altri prigionieri, tipografi e artigiani di professione, dovrà produrre enormi quantità di perfette banconote false, sterline e dollari, con cui inondare i mercati finanziari e produrre inflazione nelle economie dei Paesi nemici del Reich. Dandy per vocazione, ma dotato di senso etico, Salomon si ritrova in mano un terribile potere: quello di salvare dalla camera a gas se stesso e oltre cento compagni, ma a patto di favorire i propri aguzzini. A tenerlo sotto ricatto è il comandante Kruger: non un nazista fanatico, però un uomo cinico e spregevole. Membro della cinquina dei candidati all’Oscar per il film straniero, Il falsario ricorda per certi versi due celebri precedenti: Kapò di Pontecorvo per il dilemma morale (collaborare con i nazisti o soccombere?), ma in chiave meno tragica, e Stalag 17 di Wilder (per il conflitto tra prigionieri), però con toni più drammatici. Poco noto, l’episodio reale cui si rifà è di per sé appassionante; il bel cast, la sceneggiatura senza vuoti e l’efficace regia contribuiscono a sottolinearlo.

RRoberto Nepoti, La Repubblica, 25 gennaio 2008

 

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