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Il matrimonio di Lorna - Scheda del film

 

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Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS



Giovedì 29 ottobre 2009 – Scheda n. 3 (788)

 

 

Il matrimonio di Lorna

 

Titolo originale: Le silence de Lorna.

 

Regia e sceneggiatura: Jean-Pierre e Luc Dardenne.

 

 Fotografia: Alain Marcoen. Montaggio: Marie-Hélène Dozo.

Scenografia: Igor Gabriel. Suono: Jean-Pierre Duret, Julie Brenta, Thomas Gauder.

Interpreti: Arta Dobroshi (Lorna), Jérémie Renier (Claudy),

Fabrizio Rongione (Fabio), Alban Ukaj (Sokol), Morgan Marinne (Spirou),

Anton Yakovlev (Andreï), Grigori Manoukov (Kostia), Mireille Bailly (Monique Sobel),

Stéphanie Gob (Infermiera), Laurent Caron (Detective).

Produzione: Les Films du Fleuve. Distribuzione: Lucky Red.

Durata: 105’. Origine: Belgio, 2008.

 

 

Jean-Pierre e Luc Dardenne

 

I due fratelli Dardenne sono nati Jean-Pierre nel 1951 a Engis (Liegi) e Luc nel 1954 a Awirs, in Belgio. Hanno studiato negli istituti d'arte, si sono messi a girare video sul mondo operaio, nel 1978 girano il loro primo documentario, Le chant du rossignol, sulla resistenza anti-nazista in Belgio. Poi altri corti, tra i quali Je pense à vous, e il primo lungo di finzione, Falsch (1987),  infine l'esordio ufficiale con La promesse (visto al Cineforum, come altri film dei fratelli),  premiato in molti festival. Nel 1999 vincono la Palma d'oro a Cannes con Rosetta. Del 2002 è Il figlio, un altro lavoro emozionante, premiato anch'esso a Cannes. Altro grande film è L'enfant, seconda Palma d'oro. E adesso Le silence de Lorna, in Italia Il matrimonio di Lorna.

Qualche dichiarazione dei registi: «Diverse storie si intrecciano tra di loro. Lorna è un’eroina, ma i personaggi che le ruotano intorno non sono affatto secondari... Da una parte è stato necessario dosare le informazioni nella trama, rivelandone alcune in modo esplicito, nascondendone altre per tenere in sospeso lo spettatore. D’altra parte un’evoluzione non trasparente del racconto, avrebbe impedito il percorso, per così dire morale, di Lorna. La difficoltà nella scrittura consisteva nel bilanciare rispettivamente questi due poli... L'idea del matrimonio bianco ci è venuta quando, nel 2003, abbiamo incontrato un’educatrice di strada. Ci ha raccontato un episodio della sua vita personale. Suo fratello era un tossicomane. L’ambiente della malavita albanese l’aveva contattato per un matrimonio bianco. Si trattava di sposare una prostituta straniera in cambio di 10.000 euro. La sorella aveva sentito parlare di tossicomani, trovati morti per overdose, dopo quello che aveva l’aria di essere un matrimonio bianco e ha messo in guardia il fratello del pericolo. Abbiamo conservato questa storia per noi. Solo dopo le riprese di L’enfant ci abbiamo ripensato... Qualche anno fa si poteva ottenere la nazionalità abbastanza velocemente. Era quasi automatico. Oggi un cittadino extra-comunitario deve aver vissuto a lungo in Belgio, prima di avere il diritto di presentare una domanda di matrimonio. Una volta che questa è stata depositata, ha luogo un’inchiesta. La polizia fa delle visite a sorpresa. C’è da mangiare per due nel frigo? E’ meglio non avere divani o poltrone ad uso letto, perché si presume che la coppia debba condividere lo stesso letto. Bisogna anche poter comunicare nella stessa lingua... Arta Dobroshi, la protagonista, non parlava una parola di francese. L’abbiamo vista prima in video. Ci siamo subito trovati d’accordo per incontrarla, forse per la sua dolcezza. L’attrice dà al suo personaggio qualcosa di materno sin dalle prime scene con Claudy. Abbiamo voluto che Claudy si avvicinasse a lei come un bambino a sua madre... Ognuno ha la sua idea per rappresentare l’astinenza da droga. Anche in questo caso abbiamo condotto la nostra piccola inchiesta. Ci sono evidentemente delle costanti. Alcuni dolori fisici, in modo particolare alle articolazioni. Ciascuno reagisce a suo modo: alcuni violentemente, altri rinchiudendosi in se stessi. La nostra idea era che per Claudy, Lorna si sostituisse alla dipendenza... Ci piaceva l’idea che in un racconto morale, la questione del buono e del cattivo fosse costantemente messa in dubbio da quella del vero e del falso. La malavita comincia a costruire un falso: un falso matrimonio per ingannare la polizia, le autorità e soprattutto Claudy. Poi un divorzio per colpa, che non esiste e la morte per overdose. L’essenzialità della scena fa in modo che non si possa essere sicuri di quello che è accaduto a Claudy. In ultimo luogo il bambino. Ci piaceva l’idea che i delinquenti prendessero qualcosa di falso per vero. Si scopre che questo bambino, anche se inventato nel corpo di Lorna, esiste da qualche parte. È falso, ma lei ci crede come se fosse vero... Il denaro può comprare le cose e gli uomini, ma anche riscattarli. Questa ragione fa esistere il bambino. Quando Lorna tenta di mettere i soldi di Claudy sul conto del loro figlio, ci crediamo veramente. La busta contiene tutto e il contrario di tutto: il sentimento, la morale, la fiducia, l’amore, il debito, tutto ciò che lega gli esseri umani. Il denaro però diventa un disonore e le ricorda Claudy: Lorna cerca di sbarazzarsene, dandolo alla sua famiglia, che non lo accetta: allora è costretta a nasconderlo. E i soldi diventano il motore di una scena da commedia romantica. Lorna mette la busta nella tasca di Claudy, che la custodisce e poi gliela restituisce. In quel momento l’uomo le dà fiducia e Lorna è contenta. Claudy le chiede l’ora in cui rientrerà a casa e per una volta Lorna risponde. Claudy le propone di cucinare e la donna accetta. Rido sempre, quando gli sento dire: “Allora dammi un po’ di soldi per la spesa, per favore”».

 

La critica

 

Può sembrare un controsenso il premio per la miglior sceneggiatura che il Festival di Cannes ha attribuito a Il matrimonio di Lorna (tra l'altro: il quarto riconoscimento per il quarto film presentato in concorso. Prima c'erano state due palme d'oro, per Rosetta e L'enfant, e il riconoscimento come miglior attore a Olivier Gourmet per Il figlio). Può stupire perché i Dardenne danno l'impressione di preoccuparsi più delle riprese che della scrittura, di «pedinare» gli attori piuttosto che «costringerli» a rispettare battute e movimenti. Eppure anche questa è un'impressione falsa. Per quanto semplici e lineari possano sembrare, i loro film sono il risultato di un complessissimo lavoro prima di inchiesta sul campo, poi di scrittura, quindi di prove. Quello che si vede sullo schermo è il frutto di discussioni, ripensamenti, riflessioni, a volte quasi maniacali (girare una scena in una stanza senza finestre di notte solo perché in quel momento la finzione cinematografica si sta svolgendo di notte), di lunghe settimane di lavoro con gli attori e i tecnici senza impressionare un metro di pellicola, di ripensamenti sugli arredi, le angolazioni di ripresa, le ambientazioni (è nata così l'idea di usare un armadio per «nascondere» Lorna che si spoglia per la prima volta davanti al suo «marito per contratto»: per aiutare l'attrice nel suo imbarazzo e insieme per evitare ogni possibile effetto strip-tease). Perché il vero soggetto di tutti i film dei fratelli Dardenne è la realtà, l'inafferrabile verità del reale, di quel mondo concretissimo e misterioso che si muove intorno a noi. E per ricreare la realtà sullo schermo non basta impugnare una macchina da presa e cominciare a filmare: il risultato sarebbe sconsolante. Sarebbe, nel migliore dei casi, buon reportage televisivo. Non cinema. E invece i Dardenne sono due veri registi, che di tutto possono essere accusati ma non di non «fare cinema». Anche quando scelgono come soggetto un tipico tema da inchiesta tv, i matrimoni bianchi organizzati da piccoli o grandi malfattori per aggirare le leggi sulla cittadinanza. Lorna (l'attrice albanese Arta Dobroshi: una rivelazione) all'inizio del film divide l'appartamento con un drogato, Claudy (Jérémy Renier). Impieghiamo un po' a capire che i due sono sposati pro forma: in cambio di un po' di soldi per drogarsi, il ragazzo belga ha accettato di sposare una profuga dell'ex Jugoslavia, che in questo modo ha ottenuto la cittadinanza. Quello che Claudy non sa è che l'organizzatore di queste nozze - il tassista di origini italiane Fabio (Fabrizio Rongione) - sta solo aspettando che lui muoia per un'overdose per far così sposare Lorna a un ricco russo, anche lui in cerca di un passaporto comunitario. (...) Matrimoni pro forma, problemi di cittadinanza, leggi comunitarie, soldi, soprattutto soldi (non a caso il film si apre in una banca): il punto di partenza è concretissimo e coinvolge temi d'attualità come le leggi comunitarie, la giustizia, il lavoro, l'integrazione. Ma ai Dardenne non interessa dire la loro su questi temi, evitano le tentazioni «comizio» o «lezioncina ben documentata». Vogliono solo raccontare come ci si trova all'interno di queste situazioni, come la realtà sia strana e imprevedibile e come sia sempre diverso il suo effetto sugli esseri umani. Perché il piano perfettamente architettato a un certo momento comincia a non funzionare più. Lorna non «ubbidisce» più alle indicazioni del suo «regista» Fabio (in fondo il film potrebbe essere letto anche come una grande metafora del fare cinema, dove l'imprevisto finisce sempre per far saltare i piani di lavorazione) e l'imponderabilità dei sentimenti, e della morale, si insinua nelle azioni umane e le stravolge. E la grandezza dei Dardenne sta proprio nella loro capacità di usare le regole del cinema (e non della retorica o dell'ideologia) per mostrarci le tante facce della realtà e delle persone reali, a volte meccanismi condiscendenti di un ingranaggio da cui pensano di trarre un beneficio, a volte protagonisti di una ribellione che finisce per rivoltarsi contro di loro. O almeno contro i loro «interessi». Lorna è un esempio tra i tanti di questa possibile ribellione, di una vita che prova a rifiutare quello che tutti sembrano inseguire (i soldi, il guadagno facile, l'amoralità) e che non è detto debba per forza concludersi con un happy end. Ma ai Dardenne non interessa offrire brandelli di consolazioni ai sensi di colpa dello spettatore, interessa solo non barare mai con la loro voglia di guardare la vita dritta negli occhi.

PPaolo Mereghetti, Il Corriere della Sera, 19 settembre 2008

 

 

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