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Valzer con Bashir - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE – S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS



Giovedì 4 marzo 2010 – Scheda n. 19 (804)

 

 

Valzer con Bashir

 

 

 

 

Titolo originale: Waltz with Bashir.

 

Regia e sceneggiatura: Ari Folman.

 

Animazione: Yoni Goodman. Disegni: David Polonsky.

Montaggio: Nilli Feller. Musica: Max Richter.

Produzione: Bridgit Folman Film Gang. Distribuzione: Lucky Red.

Durata: 87’. Origine: Israele, 2008.

 

 

 

Ari Folman

 

L’israeliano Ari Folman, nato a Haifa, in Israele, nel 1962, studia cinema e il film di diploma Comfortably Numb (1991) è sulla prima guerra del Golfo quando i missili iracheni cadevano intorno a Tel Aviv. Poi dirige documentari per la tv, soprattutto nei territori occupati. Del 1996 è Saint Clara, primo lungo. Del 2001 è il secondo, Made in Israel, fantasy incentrato sulla caccia all’ultimo nazista rimasto nel mondo. Lavora alla serie tv The Material that Made Love of, girata in parte in animazione, e apprende le tecniche che lo portano a Valzer con Bashir, presentato a Cannes. Il film è una ricerca condotta dal regista sui ricordi cancellati dalla sua memoria, nella guerra del Libano degli anni ‘80. Folman: «Ho sempre pensato a Valzer con Bashir come a un film da realizzare in animazione. Non ero affatto contento all’idea di realizzarlo come un documentario. Sarebbe stato noiosissimo! Mi è venuto in mente che dovevo farlo esclusivamente con l’animazione, usando disegni di fantasia. La guerra è molto surreale e la memoria gioca talmente tanti scherzi che ho ritenuto fosse meglio mostrare il viaggio della memoria con l’aiuto di grandi illustratori… Il mio film è stato realizzato prima in real video, cioè con attori e persone reali, girato in un teatro di posa e montato come un film di 90 minuti. È stato poi trasformato in uno storyboard e ridisegnato in 2300 illustrazioni che in seguito sono state animate. Non abbiamo disegnato o dipinto sulla pellicola girata dal vivo. L’abbiamo proprio ridisegnato da capo, grazie al grande talento dell’art director David Polonsky… La storia racconta quello che ho passato dal momento in cui mi sono reso conto che alcune grosse parti della mia vita erano completamente sparite dalla mia memoria. Ho affrontato uno sconvolgimento psicologico nei quattro anni in cui ho lavorato a Valzer con Bashir. Ho scoperto molte cose importanti del mio passato e  durante quel periodo mia moglie ed io mettevamo al mondo tre bambini. Questo ti fa pensare che forse lo stai facendo per i tuoi figli. Quando saranno cresciuti guardare il film potrebbe aiutarli a prendere le decisioni giuste, ossia a non prendere parte a nessuna guerra, di nessun genere… Un viaggio per cercare di ricostruire un avvenimento traumatico del passato è come un impegno ad affrontare una lunga terapia. La mia terapia è durata quanto la lavorazione del film: quattro anni. La cupa depressione derivante dalle cose scoperte si è poi trasformata in euforia. Se fossi il tipo che crede al culto della psicoterapia, giurerei che il film ha operato dei miracoli sulla mia personalità. Direi che la parte relativa alla realizzazione del film è stata bella, mentre l’aspetto terapeutico è stato terribile… Sette dei nove intervistati sono persone reali. Sono state intervistate e filmate in un teatro di posa. Per ragioni personali, Boaz (l’amico che sognava i cani) e Carmi (l’amico che vive in Olanda) non hanno voluto apparire nel film, perciò sono stati interpretati da attori. Ma le loro testimonianze sono vere… Ho girato Valzer con Bashir dal punto di vista di un semplice soldato e sono giunto a una conclusione: la guerra è totalmente inutile. Non ha niente a che vedere con quello che si vede nei film americani. Niente fascino, niente gloria. Solo dei ragazzi giovanissimi che non vanno da nessuna parte, che sparano a gente che non conoscono, che si fanno sparare da gente che non conoscono, e poi tornano a casa e cercano di dimenticare. Qualche volta ci riescono. Ma la maggior parte delle volte no».

 

La critica

 

È una tragica attualità, nei giorni funestati dai morti di Gaza, quella che accompagna l'uscita italiana di Valzer con Bashir; però il film aveva già impressionato molto a Cannes: per la drammaticità degli eventi che rappresenta come per la forma del suo linguaggio. Che è quello di un 'documentario d'animazione', variante inedita del nuovo filone di cartoon politico di cui abbiamo fatto la conoscenza con Persepolis. Il realizzatore del film, il cineasta israeliano Ari Folman, è stato testimone in prima persona del massacro di Sabra e Chatila, compiuto nel 1982 dai falangisti cristiani libanesi come reazione all'assassinio del presidente del Libano Bashir Gemayel: vittime migliaia di inermi rifugiati palestinesi; consapevoli, ma senza intervenire, le autorità d'Israele. All'epoca giovanissimo soldato dell'esercito israeliano, Folman è perseguitato da incubi spaventosi e indecifrabili, partoriti dal suo inconscio devastato. Intraprende allora una serie d'incontri-intervista con i suoi antichi compagni d'armi, traumatizzati quanto lui; alla fine, decide di dare a quella sorta di reportage psicanalitico che ha realizzato la forma espressiva del disegno animato, alternando come in un puzzle alle interviste (ridisegnate immagine per immagine, non ricalcate dipingendo la fotografia con la tecnica del rotoscopio) sequenze di guerra e scene puramente oniriche. Lo coadiuva, per la direzione artistica, David Polonsky. Ammirevole l'eclettismo delle tecniche impiegate - secondo i casi animazione classica, tridimensionale, flash ed effetti speciali - eccezionale la creatività del montaggio: tra iconografie, 'tempi' e generi differenti (qualità che, pur non avendo ricevuto riconoscimenti ufficiali a Cannes, dove il film era in competizione, lo hanno candidato ai Golden Globes e gli sono valsi altri premi). Fino a una manciata di secondi finali, dove le vere immagini fotografiche delle vittime del massacro si sostituiscono a quelle stilizzate del cartoon. Un'obiezione è legittima. Non potrebbe, la tecnica del disegno animato, funzionare come uno schermo di protezione, una presa di distanza rispetto a eventi di una tragicità così definitiva? Ecco, bisogna dire che ciò non accade affatto. Sarà il fitto intreccio tra il piano storico e quello onirico e psicanalitico, ma il film si afferma senza retorica né forzature come una delle opere contro la guerra più impressionanti che il cinema abbia mai prodotto: sintesi allucinatoria tra demenza del fronte (vedi la seconda parte di Full Metal Jacket o Apocalypse Now) e traumi del reducismo trascritta in immagini destinate a durare. Due sequenze, tra tutte, restano più tenacemente marchiate nella memoria: quella d'apertura, certo, in cui un uomo è perseguitato da una muta di cani feroci (i cani che, in Libano, aveva dovuto uccidere perché non abbaiassero all'arrivo dei soldati israeliani); ma soprattutto la scena del militare che, come in trance, si abbandona a un valzer con l'immagine di Bashir sotto una pioggia di proiettili; o la bellissima, perturbante sequenza dei soldati che escono dalle acque dinanzi a Beirut devastata dalle bombe.

RRoberto Nepoti, La Repubblica, 9 gennaio 2009

 

Una muta di cani feroci corre attraverso una città per fermarsi sotto le finestre di un uomo. Sono 26, dice l'uomo. Sono i 26 cani che ho ucciso in guerra, quando perlustravamo la Palestina villaggio per villaggio e i primi a morire erano i cani perché non dessero l'allarme. Li ricordo tutti, uno a uno. Ora li sogno ogni notte. Il ricordo è autentico. La scena ovviamente no. Ma è ripresa con una tecnica perlomeno inusuale per un documentario, e molto potente: in disegni animati. Forse perché certi ricordi certe realtà non si possono mostrare tali e quali. Non solo per ragioni tecniche, ma perché ci sono immagini che una società non vuole vedere. Così quando Ari Folman, documentarista israeliano, decide di fare i conti con i suoi ricordi di militare in Libano nel 1982, l'anno della strage di Sabra e Chatila, prima gira in video un'inchiesta, intervistando gli amici invecchiati e psicologi, reporter, ufficiali, ricostruendo invece le scene al fronte. Poi fa ridisegnare tutto con tratto denso ed emozionante. Risultato: un film che cambia tutto. Il modo di fare documentario. Il rapporto del regista con il suo passato. E quello di Israele con la propria memoria. Immaginate che Coppola abbia combattuto in Vietnam e Apocalypse Now sia la sua storia personale, strappata alle segrete della memoria e ridisegnata con stile non lontano da Frank Miller. Ora avete una pallida idea della forza di Waltz with Bashir. Che di ricordo in ricordo, di testimonianza in testimonianza, dà un'immagine sconvolgente non solo della strage di inermi profughi palestinesi con cui i falangisti libanesi vendicarono barbaramente la morte del presidente cristiano Bashir Gemayel, ma della vita quotidiana sotto le armi. E lo fa mostrando con i colori e la finta leggerezza dei cartoons il vuoto, la noia, l'inconsapevole arroganza di quei ragazzi spediti a fare una guerra che non capivano, e poi i sogni, gli incubi, i desideri (c'è anche una gigantessa felliniana che sorge nuda dal mare per salvare un militare terrorizzato). Così al percorso documentario si affianca un itinerario (auto)analitico che dà al 'trip', in tutti i sensi, dell'ex-soldato Folman una risonanza cupa e inquietante. È come se i disegni diventassero più veri del vero e solo in quella forma capissimo veramente cosa significa guidare un blindato che travolge auto e palazzi, passare in un attimo dall'incanto di una giornata estiva in uno dei più bei paesi del mondo all'orrore di un attacco improvviso. O all'assurdo di un compagno che sfida la morte danzando fra le pallottole dei cecchini. Per poi fare i conti a vita con quei ricordi che la memoria dei singoli cancella, lasciando finire alla società il lavoro di rimozione.

FFabio Ferzetti, Il Messaggero, 16 maggio 2008

 

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