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Giovedì 25 marzo 2010 – Scheda n. 22 (807)

 

 

Revolutionary Road

 

 

 

Titolo originale: Revolutionary Road.

 

Regia: Sam Mendes.

 

 Sceneggiatura: Justin Haythe, basata sul romanzo di Richard Yates.

Fotografia: Roger Deakins. Montaggio: Tariq Anwar.

Scenografia: Kristi Zea. Musica: Thomas Newman.

Interpreti:  Kate Winslet (April Wheeler), Leonardo Di Caprio (Frank Wheeler),

Kathryn Hahn (Milly Campbell), Ryan Simpkins (Jennifer Wheeler),

Ty Simpkins (Michael Wheeler), Zoe Kazan (Maureen Grube),

Kathy Bates (Mrs. Givings), Michael Shannon (JohnGivings), Richard Easton (Mr. Givings).

 Produzione: Evamer Entertainment. Distribuzione: Universal.

Durata: 119'. Origine: Usa, 2008.

 

 

 

 

Sam Mendes

 

Nato a Reading, in Gran Bretagna, nel 1965, Sam Mendes fa il regista teatrale, fonda una compagnia teatrale a Londra, molte sue produzioni arrivano a Broadway. L’esordio nella regia cinematografica è del 1999 con American Beauty, che ottiene anche l’Oscar per il miglior film. Secondo film è Era mio padre (2002), seguito da Jarhead (2006) e da questo Revolutionary Road. Sam Mendes è marito di Kate Winslet. Sentiamo Mendes: «Non conoscevo il libro da cui il film è tratto. Quando l’ho letto, su consiglio di mia moglie, mi sono reso conto che sarebbe potuto essere un film bellissimo, emozionante e moderno. È una storia saggia e profonda, vi ho visto la possibilità di raccontare un matrimonio in tutti i suoi risvolti, nelle sue asprezze, la sua vulnerabilità, la crudeltà, la rabbia e le emozioni più vere. Qualche volta una coppia che vuole stare insieme, che sente di dover stare insieme, non riesce a far funzionare il proprio rapporto… Non l’ho mai considerata una storia tetra. Trabocca dell’umorismo, dell’eccentricità e dell’originalità di Yates, e non si può fare a meno di amare i suoi personaggi. È un libro ricco di dettagli sugli esseri umani, sia negativi che meravigliosi, e questo era ciò che volevo mostrare sullo schermo. Siamo negli anni ’50, Frank vive nel mondo degli affari newyorkese. Tuttavia, secondo me, il libro non è necessariamente tipico degli anni ‘50. Si occupa di temi moderni e molto profondi, legati anche ai nostri giorni».

 

La critica

 

Francois Truffaut si arrabbiava a sentire "l'assioma secondo il quale succede ai film quello che succede alle maionesi: riescono o non riescono". Spiace contraddirlo, ma Revolutionary road è un film perfettamente "riuscito"; nel senso che tutto contribuisce a farne un capolavoro, dalla direzione perfettamente calibrata e funzionale al racconto, alle interpretazioni ("moderne", ma che si amalgamano benissimo con il classicismo della regia), fino alla partitura musicale del grande Thomas Newman, capace di far crescere nello spettatore un'angoscia inconsapevole in previsione degli eventi che verranno a giustificarla. Il soggetto è quello di un romanzo di Richard Yates del 1961 (ed. italiana Minimum fax) basato sull'eterno conflitto tra desiderio e ragione, sogno e realtà. Quando April e Frank Wheeler, freschi sposini, prendono possesso della loro "casettina in periferia" nel Connecticut, tutto sembra perfetto per offrire loro quella felicità prefabbricata che è il "sogno" americano degli anni ‘50. Ma giorno dopo giorno, i sogni veri tornano a galla e si confrontano con una realtà asfittica, senza prospettive, che va stretta soprattutto ad April. Sam Mendes (American Beauty) sa come scoperchiare i sepolcri imbiancati della periferia americana, liberando i demoni assopiti in tante casalinghe disperate e in tanti impiegati-modello. La donna convince il marito a lasciare quella routine soffocante per andare a Parigi (mito degli americani negli anni ‘50) a fare la vita bohémienne. Gli amici non capiscono: dovrebbero, altrimenti, guardare in faccia la loro stessa frustrazione (agghiacciante la scena del vicino che tenta inutilmente di comunicare coi suoi bambini, inchiodati al televisore). E quando la determinazione di Frank, tentato da un avanzamento di carriera, comincia a vacillare, s'innesca la spirale delle incomprensioni, con relativo corredo di liti e tradimenti, fino all'odio reciproco. Una quieta angoscia che sale a poco a poco e, alla fine, ti colpisce allo stomaco facendoti male per giorni. A conti fatti, i tanti fan di Titanic possono rallegrarsi che dodici anni fa la love-story tra Leo Di Caprio e Kate Winslet sia stata inghiottita dal mare: ecco come sarebbe finita, se si fossero sposati. Ed ecco quel che c'è - dice Mendes - dopo il "vissero felici e contenti" che conclude le fiabe, in un film molto americano nei caratteri e nell'iconografia, pochissimo nello sguardo, che demolisce sistematicamente tutta la mitologia dell'amore romantico e dell'happy-end elaborata in migliaia di produzioni hollywoodiane. Le performance di Leo e Kate sono di altissimo livello; su di lui avremmo scommesso, sulla signora Winslet in Mendes un po' meno, e siamo contenti di esserci sbagliati. Alla perfezione dell'insieme contribuiscono i "secondi ruoli": da Kathy Bates a Michael Shannon (lui, almeno, "nominato" alle statuette) nella parte del suo nevrotico figlio. Che ha due scene soltanto, ma impossibili da dimenticare.

RRoberto Nepoti, La Repubblica, 30 gennaio 2009

 

Forse la domanda più giusta da farsi dovrebbe essere perché questo film ha impiegato così tanto a nascere? E perché un romanzo così intenso e vero com'è quello di Richard Yates ha impiegato più di quarant'anni per arrivare sugli schermi? Revolutionary Road il libro (in italiano tradotto da Minimum fax) è stato pubblicato nel 1961, accolto dagli elogi di Tennessee Williams, Kurt Vonnegut e William Styron. Revolutionary Road il film esce nel 2009 e forse la ragione vera di questo «ritardato arrivo» va cercata negli otto anni di presidenza Bush e nella sua capacità di rimettere in crisi le certezze dell'american way of life. Perché solo un pubblico che vede incrinarsi le certezze di tutto un Paese può entrare in sintonia con un film come Revolutionary Road. Prima, nei decenni precedenti, a un produttore hollywoodiano il tema del romanzo poteva sembrare troppo intimista e troppo poco politico, troppo cupo e troppo poco consolatorio. In una parola, troppo rischioso per costruirci sopra un film importante. Oggi, quando troppe certezze sembrano essersi frantumate, Revolutionary Road torna prepotentemente a essere d'attualità, perché il tema è, semplicemente e drammaticamente, la fine delle illusioni. La presa di coscienza che lo squallore e la rinuncia sono condizioni «eterne» della vita quotidiana, non certo limitate ai plastificati anni Cinquanta in cui è ambientata la storia. Per non dimenticare che la speranza della «seconda occasione» che l'America concederebbe a tutti è solo un sogno, e che risvegliarsene può essere molto doloroso. Sam Mendes aveva già affrontato temi simili nel suo film d'esordio, American Beauty, ma là tutto sembrava costruito furbescamente perché lo spettatore potesse facilmente identificarsi: il lavoro invadente per lei e poco motivante per lui; i falsi miti della casa, della carriera e del ruolo sociale; l'inevitabile conflitto generazionale; la famiglia come tomba dell'amore... Con Revolutionary Road, invece, il quadro cambia completamente e lo spettatore non trova mai facili vie di fuga dalla tragedia che si costruisce sullo schermo e frantuma i sogni di rinascita di Frank (Leonardo DiCaprio) e April (Kate Winslet). Lui è un newyorkese come tanti, lei un'aspirante attrice: la scintilla che si accende tra i due li porta al matrimonio e alla scelta di vivere in Connecticut, a mezz'ora di treno dall'impiego a Manhattan. Dopo due figli e la conferma che i suoi sogni d'artista sono ingannevoli, April mette a fuoco meglio del marito la loro condizione di coppia inutilmente conformista, frustrata e abitudinaria. E gli propone di mollare tutto per trasferirsi con la famiglia in Francia, in quella Parigi di cui ogni tanto Frank favoleggia per esserci stato durante l'ultima guerra e che descrive come una specie di nuova Terra promessa. Lì, Frank potrebbe finalmente pensare davvero a se stesso, capire quali sono le sue vere aspirazioni e abbandonare il suo lavoro rutinario... È a questo punto che anche Frank deve fare i conti con i propri sogni e capire se le sicurezze economiche (in azienda gli offrono una promozione) possono essere accantonate per non rinunciare all'ideale della propria realizzazione. Ed è a questo punto che gli ostacoli (lei si scopre incinta, lui pensa all' aumento di stipendio) diventano giorno dopo giorno più insormontabili. Sceneggiato con abilità da Justin Haythe ma soprattutto recitato con straordinaria immedesimazione ed empatia da DiCaprio e la Winslet (perfetti nell'aderire ai loro personaggi di «sconfitti», nel conferire umanità e verità senza però cercare nessuna attenuante o scusante: perché le nomination li hanno dimenticati?), il film mette in campo uno stile insolitamente «trattenuto» per i recenti standard hollywoodiani, raccontando le tappe di questa quotidiana via crucis - l'avventura di lui con una segretaria, quella di lei con un vicino, l'invadenza dell'amica immobiliarista e le insinuazioni del figlio psicolabile - con i toni un po' vellutati e un po' rassegnati di chi scopre sulla propria pelle l'impossibilità di qualsiasi ribellione o via di fuga. Per lasciare nello spettatore la sensazione di aver visto non solo la storia di un matrimonio che naufraga, ma la vicenda senza tempo di un uomo e di una donna che non hanno la forza di fare, insieme e ciascuno per conto proprio, quella rivoluzione a cui allude il titolo del film e che è la scommessa di ogni essere umano: trasformare i sogni in realtà. Che non vuol dire semplicemente lasciare l’asfittica provincia americana degli anni Cinquanta per Parigi, ma al contrario smettere di sognare gratis e sporcarsi le mani con la realtà. Per trasformare anche il viale di una linda villetta nei sobborghi di New York in una vera Revolutionary Road: imperfetta, ma diversa da ogni altra.

PPaolo Mereghetti, Il Corriere della Sera, 30 gennaio 2009

 

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