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L'ospite inatteso - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE – S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS



Giovedì 8 aprile 2010 – Scheda n. 24 (809)

 

 

L'ospite inatteso

 

 

Titolo originale: The Visitor.

 

Regia e sceneggiatura: Tom McCarthy.

 

Fotografia: Oliver Bokelberg. Montaggio: Tom McArdle.

Scenografia: John Paino. Musica: Jan A.P. Kaczmarek.

Interpreti: Richard Jenkins (Walter Vale), Hiam Abbass (Mouna), 

Haaz Sleiman (Tarek), Zainab (Danai Gurira).

Produzione: Groundswell Productions. Distribuzione: Bolero Film.

Durata: 103’. Origine: Usa, 2007.

 

 

 

Tom McCarthy

 

Nato nel New Jersey nel 1966, Thomas McCarthy ha studiato recitazione, ha fatto l'attore in molti film (Flags of Our Fathers e Lettere da Iwo Jima per Eastwood, Good Night, and Good Luck per George Clooney...) e ne ha diretti due: The Station Agent (2003), premiato al Sundance, e questo L'ospite inatteso, in originale The Visitor. Ecco qualche sua dichiarazione: «Ho trascorso un certo tempo in Medio Oriente, a Beirut, e mi sono reso conto di aver letto tanto su quella parte del mondo senza aver capito molto della sua gente né della loro cultura. Vi sono tornato, ho letto ancora di più e ho cominciato a passare più tempo nella comunità araba qui a New York. Ho conosciuto la storia di un giovane mediorientale arrestato e messo in uno di questi centri. Ho allora cominciato a leggere tutto il possibile sulle politiche per l’immigrazione e sul nostro sistema di detenzione. Il modo in cui dopo l’11 settembre trattiamo la gente, i cittadini non registrati in particolare, mi ha portato a questa storia. Ho anche preso a far visita ai detenuti. A parte questo, avevo in mente il personaggio di un anziano professore universitario che ha perso la passione per la sua vocazione. A un certo punto le due storie si sono unite e i due personaggi si sono messi insieme... La mia prima preoccupazione è quella di raccontare una buona storia. Se lungo la strada posso gettare un po’ di luce su qualche argomento di cui forse il grande pubblico è poco a conoscenza, tanto meglio. Nello specifico cercavo di mettere volti umani sul problema dell’immigrazione. Il meglio che possiamo fare è ricordare a noi stessi la nostra umanità, così che quando abbiamo a che fare con questi problemi partiamo sempre dal tenere a mente che non stiamo trattando solo di un tema, ma parliamo di esseri umani. Tutto questo si riassume nella compassione e nella comprensione. Credo che sia questo che mi sono proposto. Ogni volta che ho portato qualcuno in una struttura di detenzione, restava inorridito da questo nostro modo di trattare gente arrivata per la prima volta nel paese e che era lì per motivi differenti. Molti detenuti non avevano assistenza legale e molti non avevano commesso un crimine vero e proprio. È un problema complesso, l’immigrazione. Nel trattarlo dobbiamo conservare il nostro senso di compassione... Come protagonista ho preso un personaggio che avevo in mente da un po’: un anziano professore di economia alla deriva, senza passione né azione. Poi c'è Tarek, musicista che viene dalla Siria. E i due trovano un terreno comune. È la bellezza del nostro paese, nello specifico di New York. Non puoi non riconoscere l’umanità intorno a te. Sei nei treni della metropolitana e sei circondato da persone! Quello che ciò ti procura, a parte occasionali mal di testa, è l’opportunità, se sei disposto, di entrare in contatto con tante persone diverse. Nel caso specifico è qualcosa in cui il nostro protagonista è inciampato. Non cercava questo. Era molto distaccato, ma, attraverso la musica, ha trovato immediatamente un legame con il giovane musicista. In molti sensi Tarek è diventato il cuore della storia. Ci conquista. La sua ambizione nella vita è semplice: vivere una buona vita e suonare la sua musica. Qualcosa che spereresti il nostro paese consentisse a un individuo onesto, da dovunque arrivi e comunque sia arrivato... La musica è protagonista nel film. Basta camminare per New York, ci sono musicisti nella metropolitana, nei parchi, nelle strade. È qualcosa in cui abbiamo continuato a imbatterci nella fase di ricerche e scrittura, e ancora durante le riprese. Fuori da una stazione della metropolitana del West Side, abbiamo trovato un tizio che suona l’er-hu, il violino cinese a due corde, e l’abbiamo portato giù con noi a suonare per tutta la sera. Un suono straordinario, un antico strumento cinese nella sotterranea. Ci attraevano suoni come quelli dei ragazzi che suonano i bidoni per strada o i tamburi nei parchi. Tarek suona in un complesso, e lo abbiamo filmato dal vivo con altri magnifici musicisti. Il mio caro amico Mohammad Ali, meraviglioso scrittore e suonatore di djembe, mi è stato di grande aiuto. Mohammad vive a Brooklyn con la moglie e due figli e suona il djembe con un gruppo jazz. Ho deciso che il mio personaggio principale, Tarek, avrebbe suonato il djembe e perciò chiamai Mohammad per prendere lezioni da lui, che divenne così una grande risorsa e un grande amico. La musica trascende le frontiere e gli spartiacque culturali, è qualcosa che ci unisce tutti. C’è qualcosa di essenziale e potente nella liberazione che si può trovare nella musica. C’è una ragione se la musica ci può emozionare tanto: è pura. È una cosa che Walter va scoprendo nel corso del film».

 

La critica

 

L'ospite inatteso di Tom Mc Carthy narra la riscoperta del senso della vita nel delicato rapporto tra un professore apatico e una coppia di clandestini. Walter Vale (Richard Jenkins) è un uomo senza storia: la sua è una vita insensata, al pari di una musica stonata. Professore universitario sessantenne nel Connecticut, lascia passare i giorni nel vuoto dell'apatia. Tiene lo stesso corso da vent'anni, e forse da vent'anni ha smesso di far ricerca. Sostiene d'essere impegnato nella scrittura d'un libro, il quarto di tutta la sua carriera, ma si tratta d'una menzogna evidente. L'ingannato è egli stesso, ancor prima degli altri. Certo, qualcosa sembra ancora muoverlo: il desiderio di imparare a suonare il pianoforte. Ma si tratta di un autoinganno ulteriore. Non ha talento. Le sue dita non hanno la leggerezza e l'eleganza necessarie sui tasti, e quel che ne sanno cavar fuori è solo musica stonata, appunto. Tuttavia, il caso sta per farglieli incontrare, la storia e il senso della sua vita. È lieve eppure profondo, L'ospite inatteso (The Visitor, Usa, 2008, 104').Ha i toni d'un racconto quotidiano, eppure raggiunge la drammaticità dei fatti eccezionali. E l'eccezione va qui intesa nel significato più letterale. È fuori dalla norma, infatti, quello che Walter sta per scoprire. Ed è fuori dalla norma quello che Thomas McCarthy, regista e sceneggiatore, sta per raccontarci. Tornato per qualche giorno nel suo appartamento di Manhattan, Walter scopre che qualcuno lo ha 'affittato' abusivamente a Tarek (Haaz Sleiman) e Zainab (Danai Jekesai Gurira). Entrambi giovani, non ancora trentenni, vengono da lontano: lui dalla Siria, lei dal Senegal. Si amano, vivono insieme. Tutto questo è, o almeno parrebbe, nella norma. Nella norma è anche il loro comportamento con Walter. Dopo il primo disappunto, riconoscono d'essere stati truffati, e riconoscono anche il loro dovere di lasciare l'appartamento. Ma è proprio Walter a trattenerli, almeno finché non troveranno un'altra sistemazione. Così si fa tra persone civili, e appunto nella norma. C'è poi qualcosa in più,nella convivenza che per un po' s'instaura fra il professore e i suoi ospiti. Tarek è un percussionista. Il suo strumento è un tamburo africano, di quelli che si suonano con le mani, tenendoli stretti fra le gambe. Non si tratta d'un pianoforte, certo, e la sua musica è lontana da quella che Walter è abituato ad ascoltare. Ma c'è una simpatia, fra i due uomini, un'intesa che nasce spontanea e immediata, come spesso accade quando un essere umano arriva a conoscere un altro essere umano. In ogni caso, sotto la guida di Tarek, le dita di Walter imparano la leggerezza necessaria. Ora, dopo tanti anni e un po' alla volta,la sua musica si fa intonata. Anche la sua vita parrebbe aver trovato un senso, per quanto minimo e quotidiano. Per il resto, poco è cambiato: resta l'apatia, resta il disinteresse per la sua carriera universitaria. Presto tornerà nel Connecticut, magari portandosi appresso un tamburo esotico, su cui suonerà musica esotica. Niente di più, e tutto di nuovo nella norma. Ma il caso, grande narratore di storie e inventore di senso, sta per romperla, la norma, e per mostrare per così dire il suo altro lato, insospettato. Per quanto appaiano simili a migliaia e anzi a milioni d'altri giovani esseri umani, Tarek e Zainab si portano addosso un segno, un marchio: sono migranti, sono clandestini. E così, un certo giorno - appunto per caso - il giovane musicista viene arrestato e trasferito in un centro di detenzione. Ossia: in un luogo separato dal mondo normale, in un luogo 'eccezionale' come una prigione. Non ha commesso alcun crimine, se non quello d'essere se stesso. Per questo viene rinchiuso: non per qualcosa che abbia fatto, ma per 'la cosa' che è. Che sia trattato come una cosa, e che perciò ormai sia una cosa, è un'ulteriore eccezione, un'ulteriore rottura della norma. E Walter? Potrà tornare nel Connecticut, Walter? Potrà lasciare che Tarek sia derubato della sua vita? Potrà farlo, dopo che ha imparato a conoscerlo come un essere umano, e anzi proprio come un altro essere umano? In fondo, solo perché in lui ha visto e sentito un altro, Walter ha appreso di poter essere egli stesso un altro: cioè, un individuo con un volto e con una storia, un individuo dotato di senso, al pari d'una musica intonata. Dunque, deve aiutare Tarek. Ne è certo. Lo è come mai è stato. Deve tentare di aprire, di forzare le porte - quelle simboliche, almeno - che nella prigione separano gli esseri umani dalle 'cose'. Ma scopre che la norma è crudele, e che nega storie e vite. Allora, prende il suo tamburo e se ne va in metropolitana, a suonare la stessa musica di tanti 'clandestini'. Battono, le sue mani, battono e urlano la sua rivolta. Ora davvero la sua vita ha un senso. Ora davvero Walter ha una storia.

 

RRoberto Escobar, Il Sole 24 Ore, 14 dicembre 2008

 

 

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