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Fortapàsc - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE – S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS



Giovedì 15 aprile 2010 – Scheda n. 25 (810)

 

 

Fortapàsc

 

 

Regia: Marco Risi.

 

 Sceneggiatura: Jim Carrington, Andrea Purgatori, Marco Risi.

Fotografia: Marco Onorato. Montaggio: Clelio Benvenuto. Musica: Franco Piersanti.

Interpreti: Libero De Rienzo (Giancarlo Siani), Valentina Lodovini (Daniela),

Michele Riondino (Rico), Massimiliano Gallo (Valentino Gionta),

Ernesto Mahieux (Sasà), Salvatore Cantalupo (Ferrara), Gigio Morra (Carmine  Alfieri),

Gianfranco Gallo (Donnarumma), Antonio Buonomo (Lorenzo Nuvoletta),

Ennio Fantastichini (il sindaco Cassano), Duccio Camerini (Angelo Nuvoletta),

Ivano Marescotti (GianLorenzo Branca).

Produzione: Angelo Barbagallo per RaiCinema, Bibì Film Tv, Minerva Pictures Group.

Distribuzione: 01.

Durata: 106’. Origine: Italia, 2009.

 

 

 

Marco Risi

 

Nato a Milano nel 1951, figlio del grande regista Dino Risi (Il sorpasso, Una vita difficile), Marco Risi entra nel cinema come assistente alla regia per lo zio Nelo Risi, anch'egli regista, per il film Una stagione all'inferno. Scrive qualche sceneggiatura per i film diretti dal padre (Caro papà, Sono fotogenico), realizza un documentario per la televisione sul cinema americano, Appunti su Hollywood. Nel 1982 esordisce con la commedia Vado a vivere da solo. Poi dirige Un ragazzo e una ragazza e Colpo di fulmine. Il film che lo segnala alla critica è Soldati - 365 giorni all'alba, cruda rappresentazione del servizio di leva in Italia.  Poi vengono Mery per sempre (1989), Ragazzi fuori (1990), Muro di gomma (1991) sulla tragedia di Ustica. Parentesi comica con Nel continente nero, poi Il branco (1994) sulla vicenda dello stupro di due turiste tedesche compiuto da un gruppo di adolescenti della provincia romana. Del 1996 è il documentario sullo sfruttamento del lavoro minorile, Bambini al lavoro. Nel 1998 dirige L'ultimo capodanno da un racconto di Niccolò Ammaniti, seguito da Tre mogli e, nel 2007, dal biografico Maradona - La mano de dios. Infine, arriva Fortapàsc.

Qualche dichiarazione di Marco Risi: «Fortapàsc è un termine volutamente storpiato che evoca il Fort Apache della tradizione western rendendo il senso dell’assedio alla città da parte della malavita. Nello stesso tempo descrive la drammatica situazione partenopea nei giorni dall’assassinio di Giancarlo Siani, ucciso a soli 26 anni da un commando camorrista nel 1985. Mentre i cronisti vittime della mafia sono stati numerosi, Siani è l’unico giornalista eliminato dalla camorra perché nelle sue coraggiose inchieste per Il Mattino (prima da Torre Annunziata e poi da Napoli) aveva il difetto imperdonabile di informarsi, di verificare le notizie, di indagare sui fatti e di denunciare i misfatti. Ci sono voluti 12 anni e alcuni pentiti per assicurare finalmente alla giustizia i responsabili del delitto attualmente ancora in carcere... Rimasi molto colpito dall’uccisione di Siani, mi chiesi subito cosa avesse fatto questo ragazzo che vedevo nelle immagini ferito a morte, come sorpreso, sembrava appoggiato come qualcuno che non avesse nulla da nascondere né alcun motivo per proteggersi. Non era una vittima predestinata, e non si aspettava certo di essere colpito all’improvviso. A un certo punto, cinque anni fa, nacque una prima possibilità di girare un film sulla sua storia. Avevo letto un trattamento cinematografico, scritto da Andrea Purgatori e Jim Carrington, e avevo collaborato alla sceneggiatura per la quale abbiamo ottenuto immediatamente il finanziamento di Rai Cinema. Siamo arrivati ad uno stadio avanzato della preparazione ma strada facendo sono nati problemi di produzione e poco prima delle riprese il film è stato accantonato. Il grande merito di averlo fatto “rinascere” va dato - oltre che a Rai Cinema - ad Angelo Barbagallo, un produttore libero e coraggioso che mi ha messo in condizione di girare il film esattamente come lo volevo... Sappiamo tutti quanto la Campania sia costantemente sotto osservazione per ciò che vi accade. Ma mentre in Gomorra tutto appare disperato, nel nostro caso e nonostante alla fine è la speranza ad essere uccisa, io mi auguro che lo spettatore possa provare il desiderio di somigliare al nostro protagonista. Fortapàsc è per me un film necessario – soprattutto nella Napoli umiliata e offesa di oggi – perché Giancarlo Siani può diventare un raggio di luce, una nuova speranza... Il film non è una biografia, non intende descrivere un’intera esistenza ma solo gli ultimi quattro mesi della vita di Giancarlo e l’atmosfera in cui è maturata la sua condanna a morte. Sono le ultime settimane di questo ragazzo che, partendo dal “quartiere bene” del Vomero, ogni giorno andava a sporcarsi come un giglio nel fango degli intrallazzi tra politica, corruzione e camorra a Torre Annunziata, regno del boss Valentino Gionta. In una zona dove in quel periodo tutto ruotava intorno agli interessi per la ricostruzione del dopo terremoto, un luogo ancora oggi territorio privilegiato di smistamento della droga. Giancarlo era un ragazzo allegro che amava il suo lavoro e cercava di farlo bene. Mi piaceva descrivere gli aspetti di quella sua vita privata così piena di passione ma anche di leggerezza, ricca di amici, interessi, avventure, donne, fidanzate, ma soprattutto il suo impegno per il lavoro. Non gli interessava fare il giornalista impiegato, diceva, ma il giornalista-giornalista. Oggi l’Italia, tranne poche eccezioni, è diventata sempre più un Paese di giornalisti-impiegati e Giancarlo Siani si è trasformato in un simbolo per i veri giornalisti che amano il proprio mestiere tanto che a Napoli e dintorni sono state intitolate a suo nome numerose scuole... La cosa più emozionante è accaduta una settimana prima dell’inizio riprese quando è stata ritrovata in un agriturismo siciliano la vera Citroën Mehari di Giancarlo. Così abbiamo potuto utilizzare in scena la sua macchina guidata dal nostro protagonista Libero De Rienzo. Un giorno mentre eravamo in una strada del Vomero è passato per caso vicino al nostro set un amico di Giancarlo che ha riconosciuto la macchina e, commuovendosi fino alle lacrime, ci ha detto: “Mi raccomando fatelo bene questo film perché Giancarlo aveva un cuore grande così”».

 

La critica

 

È fin troppo facile individuare i motivi per elogiare Fortapàsc, tredicesimo film del 57enne Marco Risi. La volontà (lungamente frustrata, per anni a nessuno è sembrato importar nulla di questo film) di togliere dall'oblio una storia italiana fondante, quella del giovane cronista Giancarlo Siani ucciso dalla camorra nel 1985. La capacità di legare un caso di cronaca vecchio di cinque lustri all'attualità, come a leggere nella Torre Annunziata degli anni '80 (quella che per il sindaco Cassano 'non era Fortapàsc'...) i segnali di un degrado che prosegue nella Napoli della 'munnezza' e della politica sempre più compromessa con il crimine organizzato. L'ostinazione con la quale Marco Risi - che è anche, non dimentichiamolo, l'autore del 'Muro di gomma', sulla strage di Ustica - continua a ricordarci che l'Italia è un paese di misteri irrisolti e forse irrisolvibili. Perché è vero che 8 anni dopo il delitto, grazie alla collaborazione di alcuni pentiti, gli assassini materiali di Siani finirono in galera: ma è altrettanto vero che nessuno ha spiegato, né spiegherà mai, perché il clan dei Nuvoletta (referente campano dei corleonesi di Totò Riina) decise di eliminare un giovane praticante di soli 26 anni che aveva annusato 'qualcosa' di troppo grande. Quel 'qualcosa', in fondo, è una cosa al tempo stesso ovvia e indicibile: l'alleanza trasversale tra le varie mafie, che probabilmente proprio in quegli anni diventa un contro-potere con agganci ai più alti livelli della politica e dell'economia. Senza saperlo, Siani aveva visto nascere "Gomorra": un parto mostruoso che non doveva essere raccontato. Al punto che il primo film sul caso Siani, 'E io ti seguo' di Maurizio Fiume, fu silenziosamente boicottato da molti (incluso il giornale dove Siani lavorava, Il Mattino), e fatto sparire dalla distribuzione (in questi giorni lo si può acquistare in dvd assieme alla rivista napoletana Chiaia Magazine). Questo scenario è già un ottimo motivo per vedere Fortapàsc, per apprezzare il modo in cui Risi – con la collaborazione alla sceneggiatura di Jim Carrington e Andrea Purgatori - l'ha costruito, e la bravura di quasi tutti gli attori. Siani è Libero De Rienzo, che si sforza eroicamente di assomigliargli. Michele Riondino e Valentina Lodovini sono il suo migliore amico e la sua fidanzata, ma i loro personaggi sono forse i più sfocati del film, mentre sono clamorose, quasi shakespeariane, alcune prove dei 'cattivi': da Gigio Mona (il boss Carmine Alfieri) a Massimiliano Gallo (l'altro boss Valentino Gionta). dai soliti magnifici 'reduci da Gomorra' Gianfelice Imparato e Salvatore Cantalupo, fino al capo-cronista del Mattino di Torre Annunziata Sasà al quale Risi affida la tirata sull'Italia come paese più adatto ai 'giornalisti impiegati' che ai 'giornalisti giornalisti'. Ma vorremmo utilizzare le ultime righe per parlare di Fortapàsc come film. Che Marco Risi sia un bravo regista, lo sappiamo dai tempi di Mery per sempre. Ma Fortapàsc è un salto di qualità importante, del quale papà Dino (al quale il film è dedicato) sarebbe giustamente orgoglioso. Osservate la scena della cruentissima strage nelle vie di Tone Annunziata: Tarantino non l'avrebbe girata meglio, né con più efferatezza. Osservate il montaggio alternato fra il summit dei boss e la seduta del consiglio comunale: certo, è un omaggio a Le mani sulla città, ma ricorda anche il ferocissimo parallelo di M (Fritz Lang, come no?) tra la riunione dei ladri e quella dei poliziotti, tutti a caccia del serial-killer (il montaggio, di Clelio Benevento, è strepitoso). Come nei momenti più crudi di Gomorra, sembra sia tornato il 'poliziottesco' degli anni '70; ma riciclato con una coscienza civile nuova, al tempo stesso disperata e combattiva. Finché esistono film come Fortapàsc, questo paese non è morto.

AAlberto Crespi, L'Unità, 27 marzo 2009

 

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