Cerca English (United States)  Italiano (Italia) Deutsch (Deutschland)  Español (España) Čeština (Česká Republika)
domenica 10 novembre 2024 ..:: 46.a stagione » sch4627 ::..   Login
Locandina del film
Trailer del film
Links del film

Recensioni delle maggiori

testate giornalistiche,

di critici e opinionisti

(da Mymovies)

 

Il film su wikipedia

Scheda pdf (191 KB)
Si può fare - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE – S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS



Giovedì 29 aprile 2010 – Scheda n. 27 (812)

 

 

 

Si può fare

 

 

Regia: Giulio Manfredonia.

 

Sceneggiatura: Giulio Manfredonia, Fabio Bonifacci. Fotografia: Roberto Forza.

Montaggio: Cecilia Zanuso. Musica: Pivio, Aldo De Scalzi.

Interpreti: Claudio Bisio (Nello), Anita Caprioli (Sara),

Andrea Bosca (Gigio), Giovanni Calcagno (Luca),

Giuseppe Battiston (dottor Federico Furlan), Giorgio Colangeli (Dottor Del Vecchio),

Maria Rosaria Russo (Caterina).

Produzione: Rizzoli Film. Distribuzione: Warner Bros. Picture Italia.

Durata: 111’. Origine: Italia, 2008.

 

 

Giulio Manfredonia

 

Romano, 1967, Giulio Manfredonia ha sempre lavorato nel cinema, come assistente alla regia per Luigi Comencini e per sua figlia Cristina, poi come regista in proprio. Tanti auguri, un corto del 1998, vince numerosi premi. Nel 2001 dirige Se fossi in te; nel 2003 arriva È già ieri; infine questo Si può fare.

Sentiamo il regista: «È il racconto di una favola vera, di un’utopia realizzata e dunque entrambi gli elementi dovevano essere presenti nel film. Da una parte lo slancio del sogno possibile, il passo un po’ eroico di una battaglia che “si può fare”, dall’altra essendo la vicenda ispirata a tante storie realmente accadute - la necessità di una regola: tutto deve sembrare vero. Il soggetto di Bonifacci conteneva già tutti gli elementi della favola, le cadute, i successi insperati, i colpi di scena, i drammi, l’epilogo, e aveva già pienamente il senso “epico” e se vogliamo morale del film. Prima di scrivere la sceneggiatura abbiamo visitato la cooperativa Noncello di Pordenone e a lungo frequentato un centro di igiene mentale vicino Milano. I quasi due anni di incontri coi veri pazienti sono stati, oltre che un’esperienza umana bellissima, la fonte del lavoro di scrittura prima e di regia poi. Calare nella nostra storia dei personaggi credibili e “autonomi” dal racconto era la grande sfida. Grazie a un anno di preparazione con gli attori e le tante prove fatte, a me sembra di aver raggiunto l’obiettivo. E spero che questa “sensibilità” possa adesso arrivare al pubblico... Nello viene dal mondo del lavoro, e nel suo campo è un uomo molto ”avanti”. E per questo paga lo scotto dell’epoca in cui vive, di una sinistra troppo arroccata sul mito del posto fisso, poco creativa, troppo antagonista e poco agonista. È troppo moderno, almeno sul lavoro. In casa è diverso. Anche qui è vittima dei tempi, del cambiamento del ruolo della donna che non sa gestire, nonostante ci provi. In qualche maniera arriva a dirigere la cooperativa anche lui da emarginato. E forse è per questo che ci mette tanto impegno, perché anche lui ha bisogno di un riscatto. Il fatto che sia un sindacalista e non uno psichiatra non è casuale. Nello non sa niente di psichiatria quando conosce i suoi “nuovi soci”, li guarda da profano e, in definitiva, li tratta alla pari, come persone. Ne avverte il disagio ma non è certamente questo il centro del suo relazionarsi con loro, riesce a vedere anche “il resto”, senza pregiudizi e anzi con una forte motivazione nel trovare in loro delle qualità, delle capacità. E in questo Nello rivela una straordinaria istintiva dote di “talent scout” e di motivatore. Tutto ciò è chiaramente molto terapeutico, molto “basagliano”, ma Nello non lo sa, né tutto sommato gliene importa un granché... Volevamo, come attori, un gruppo di sconosciuti al grande pubblico. Era essenziale che lo spettatore entrasse in un modo misterioso e nuovo senza indizi di finzione, che potesse credere che gli attori fossero davvero dei pazzi. Abbiamo rovistato nei teatri, nelle scuole e tra le pieghe dei film. Un lavoro lungo e complesso, ma bellissimo. Per un anno abbiamo fatto tanti incontri. Poi abbiamo selezionato una quarantina di interpreti che ci sembravano giusti e che fossero disposti a un percorso di avvicinamento al provino. Li abbiamo fatti incontrare coi veri pazienti,hanno letto libri, visitato i manicomi dismessi e i loro musei, hanno visto film e documentari sul tema. Poi abbiamo fatto dei provini “sui generis”, più che altro di improvvisazione, alla ricerca del personaggio, a prescindere dalla vicenda. Da questi provini è uscito il gruppo... La “trasformazione” più evidente che si racconta nel film, quella di un gruppo di ex internati manicomiali in persone autonome e libere, non è, per così dire, un’ invenzione narrativa, un artifizio, ma la sintesi di tante storie di persone vere che ho incontrato, conosciuto o anche solo di cui ho sentito raccontare. È anche, più in generale, la storia di una “rivoluzione” che ha cambiato radicalmente non solo il trattamento sanitario dei “matti”, ma la stessa idea di follia e il modo in cui la malattia mentale viene concepita socialmente e, direi, culturalmente. Spero di essere riuscito almeno in parte a rendere la forza di questo epocale cambiamento. “Da vicino nessuno è normale”, dice un vecchio adagio basagliano. Ecco, mi interessava affrontare il tema della normalità, vera, presunta, millantata, così rassicurante ma anche così grigia, rispetto ai colori della vita. I protagonisti della nostra storia sono al contempo completamente fuori dal normale eppure così simili a tutti noi, tanto che ad un certo punto ci si identifica completamente con loro. Questo era lo scambio di identità che più mi interessava scandagliare, quello tra i miei matti e lo spettatore. Sperando che accada».

 

La critica

 

«Siamo matti, non siamo scemi», dice un "folle" di Si può fare. La battuta è vecchia, forse anche antica, ma non è citata a sproposito. Non sono per niente sprovveduti, i molti protagonisti della commedia girata da Giulio Manfredonia e da lui scritta con Fabio Bonifacci. Non lo sono nonostante gli anni passati in manicomio, nonostante le dosi massicce di calmanti, nonostante l'esclusione "istituzionalizzata" dalla vita. Siamo nei primi anni 80, per la precisione nel 1983. La legge 180 è in vigore da 5 anni. Da 3 è morto Franco Basaglia, suo ispiratore tenace e coraggioso. In un ex manicomio nei pressi di Milano è stata costituita la Cooperativa di lavoro detta appunto 180. I soci sono i pazienti che nessun parente ha potuto o voluto riprendersi in casa. Indicato da un'organizzazione sindacale, a dirigerla arriva Nello, convinto che il mercato non sia un luogo di perdizione, e insieme però certo che le sue leggi non siano assolute, e neppure le sole cui convenga attenersi. Per la prima ragione, Nello non può più fare il suo mestiere di sindacalista: sei troppo moderno, gli dicono i suoi dirigenti, che non a caso lo spediscono fra i matti. Per la seconda e opposta ragione, invece, è un disadattato e un perdente, in quegli anni rampanti e sempre più orgogliosamente reaganiani. Nella "Milano da bere" sembra non esserci posto per idealisti e illusi. Lo sa bene il suo antico amico e compagno Padellari, detto Padella (Bebo Storti). Non molti anni prima era più idealista e più "puro"di lui, l'ottimo Padella. Ora invece, yuppie orgoglioso e felice, è nel giro della moda, e ci sta del tutto a suo agio. Insomma, a confronto di quel che gli sta intorno, è un folle anche lui, povero Nello. Lo è tanto, che appena messo piede in cooperativa – ossia, in uno stanzone del manicomio –, si rivolge ai "soci" chiamandoli ognuno signore o signora. Non contento, decide di provare a fare quel che la ragione sociale suggerisce: guadagnarsi sul mercato commesse e appalti, e mettersi al lavoro. Se Si può fare non fosse raccontato come una commedia lieve e seria insieme, ora si potrebbero ricordare le parole di Basaglia: «Se la malattia mentale è, alla sua stessa origine, perdita dell'individualità, della libertà, nel manicomio il malato non trova altro che il luogo dove sarà definitivamente perduto, reso oggetto della malattia e del ritmo dell'internamento». E poi si dovrebbe aggiungere quanto la sua legge sia stata osteggiata e criticata. La malattia mentale non si può abrogare con una norma giuridica, dice appunto nel film il professor Del Vecchio (Giorgio Colangeli), riassumendole tutte, quelle opposizioni e critiche. Ma la sceneggiatura e la regia scelgono un'altra dimensione narrativa, un altro stile. In un certo senso, il film di Manfredonia e Bonifacci non è solo una commedia, ma addirittura una favola. O meglio, lo sarebbe se non raccontasse, molto liberamente, storie vere e fatti accaduti. Quello che nella finzione cinematografica Nello tenta e realizza con i suoi matti, fu davvero tentato e realizzato all'inizio degli anni 80. Davvero qualche idealista, anzi molti idealisti scelsero il rischio del mercato, per recuperare alla vita gli internati psichiatrici. E davvero lo fecero convinti che la solidarietà fosse un valore, almeno quanto l'impresa e la concorrenza. Ma torniamo alla commedia e alla favola. La prima difficoltà che Nello deve affrontare e vincere è la dipendenza dei "matti" dal manicomio. Deve aiutarli a rifiutarne l'assistenza, per così dire: quella chimica e farmacologia, ma anche quella "istituzionale". Insomma, deve riabituarli al rischio della libertà. Allo scopo, e forse ricordando vecchie abitudini assembleari, li coinvolge direttamente nella discussione e nella decisione. Cosa devono farne, della loro Cooperativa di lavoro? Come devono dividersi ruoli e compiti? Le risposte sono varie, e ognuna segnata da una follia molto saggia. Valga per tutte quella relativa alla scelta del Presidente. Tra i candidati c'è Roby (Andrea Gattinoni), autistico e ostinatamente silenzioso. Non ha mai fatto niente, e non sa far niente, dicono gli altri. Ed è proprio questa circostanza a risultare decisiva. Il curriculum è perfetto per il ruolo, decide Nello, e la nomina è cosa fatta. Essendo matti ma non scemi, i soci non hanno niente da eccepire. Molto ancora accade nel film, spesso segnato dalla leggerezza del sorriso e talvolta appesantito dal lutto e dalla sconfitta. Ma tutto è sempre raccontato – e per fortuna anche recitato – con la simpatia e con il rispetto che vengono naturali a chi sappia che «si può fare», o che almeno lo speri.

RRoberto Escobar, Il Sole-24 Ore, 13 novembre 2008

 

 

Home

Calendario delle proiezioni

Copyright (c) 2000-2006   Condizioni d'Uso  Dichiarazione per la Privacy
DotNetNuke® is copyright 2002-2024 by DotNetNuke Corporation