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Scheda pdf (223 KB)
Un gelido inverno - Scheda del film

 

 

 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 19 gennaio 2012 – Scheda n. 11 (850)

 

 

 

 

Un gelido inverno

 

 

 

Titolo originale: Winter’s Bone

 

Regia: Debra Granik

 

Sceneggiatura: Debra Granik, Anne Rosellini. Fotografia: Michael McDonough.

 Montaggio: Affonso Gonçalves. Musica: Dickon Hinchliffe.

Scenografia: Mark White. Costumi: Rebecca Hofherr.

 

Interpreti: Jennifer Lawrence (Ree), John Hawkes (Teardrop),

Kevin Breznahan (Arthur), Dale Dickey (Merab),

Garret Dillahunt (lo sceriffo Baskin), Sheryl Lee (April),

Lauren Sweetser (Gail).

 

Produzione: Winter’s Bone Productions. Distribuzione: Bolero.

Durata: 100’. Origine: Usa, 2010.

 

 

Debra Granik

 

Nata a Cambridge (Massachusetts, Usa), cresciuta a Washington, Debra Granik ha studiato scienze politiche e poi cinema a New York. Il primo corto del 1998, Snake Feed, ha vinto un premio al Sundance Film Festival. Sempre al Sundance è stato premiato il suo primo lungometraggio Down to the Bone (2004). Questo suo secondo film, Un gelido inverno, ha ottenuto molti riconoscimenti: il premio della giuria sempre al Sundance, poi 7 candidature ai premi per il cinema indipendente, 4 nomination agli Oscar, tra cui quella per il miglior film, e la vittoria al Torino Film Festival.

Sentiamo la regista: «Ho letto il libro tutto d’un fiato. Volevo vedere come questa ragazza, Ree, riuscisse a sopravvivere. Non è facile immaginare una vita come quella di Ree. Per cominciare a lavorare al progetto, io e la produttrice Anne Rosellini abbiamo cercato cantine e case di tutti i tipi, fotografato cortili e boschi. Abbiamo avuto incontri con cantanti, narratori, studiosi del folklore, esperti della cultura dei monti Ozark, nel Missouri. Abbiamo avuto una commovente discussione con lo sceriffo del posto, che ci ha parlato del problema della diffusione delle anfetamine negli ultimi due decenni… Il personaggio centrale del film, quello di Ree, fa di tutto per cercare di crescere al meglio i suoi fratelli. È pronta a combattere per mantenere la famiglia unita. Io la vedo come una leonessa che cerca di proteggere i suoi cuccioli. È anche un’adolescente impotente nei confronti degli adulti che la circondano e che compiono scelte autodistruttive. Non può fare molto per tirare fuori il padre dal tunnel in cui si è cacciato o aiutare lo zio a superare la sua dipendenza dalle droghe e combattere il nichilismo che lo tormenta, ma questo non le impedisce di provare sentimenti di affetto nei loro confronti. L’unica cosa che Ree può fare è tentare di essere diversa da loro. E ha un solo pensiero in testa. La ricerca di suo padre, consuma tutte le sue energie. Ree non accetta rifiuti o compromessi e io amo i personaggi che non si adeguano perché voglio capire come sono arrivati a questo grado di determinazione. Questi personaggi sono spesso laconici e credo che il loro comportamento ci porti a pensare: ma continuerà ad agire così? perché non si dà una calmata? da dove nasce questa determinazione?… Abbiamo iniziato a cercare un luogo che riproducesse l’atmosfera che volevamo. Dovevamo trovare una famiglia che ci consentisse di utilizzare la propria casa, i vestiti, gli oggetti, la sala da pranzo, oltre che a mostrarci come cacciava, come si prendeva cura degli animali e come risolveva i problemi della vita quotidiana. Alla fine, abbiamo conosciuto questa famiglia e i vicini, disposti a rispondere alle nostre domande e mostrarci la loro quotidianità. Abbiamo girato in una vera casa. I costumisti hanno scambiato i vestiti di scena con quelli degli abitanti, disposti a cedere vecchi indumenti in cambio di nuovi. La vita in quella zona è complicata, frugale, polverosa. Abbiamo lavorato in durissime condizioni ambientali… Winter’s Bone mostra diversi aspetti della vita di Ree: le sue doti di sopravvivenza e la sua resistenza, ma anche lati inquietanti. Come accade a tanti adolescenti, Ree deve affrontare il mondo degli adulti. In qualsiasi esistenza contrassegnata da possibilità limitate, l’assunzione di sostanze distruttive come le anfetamine e un clima generale di violenza, inganno e insensibilità, creano problematiche dolorose dentro le famiglie. Dalla distillazione illegale di whisky alla marijuana fino ad arrivare alle anfetamine, le economie marginali possono facilmente distruggere una cultura, corrompendola fino a macerarne le fondamenta. Un’ulteriore sfida è rappresentata dal fatto che la distillazione di whisky e l’uso di anfetamine rafforzano gli stereotipi legati alla cultura montana. 35 anni dopo Un tranquillo week-end di paura [il grande film di John Boorman, del 1972, ambientato sui monti Appalachi, con la famosa scena del ragazzo mentalmente e fisicamente segnato che suona il banjo in maniera vertiginosa, ndr], anche un banjo può rappresentare un simbolo fortissimo. Nei nostri viaggi nel Missouri meridionale, i banjo continuavano a emergere in maniera lirica e affascinante. Alla fine, il banjo è entrato anche nel film, offrendo note di speranza e di tenacia. Forse siamo riusciti a dare nuova vita a questo strumento».

 

 

La critica

 

Se ricordate Amabili resti, non importa se il romanzo di Alice Sebold oppure il film altrettanto efficace di Peter Jackson, saprete che il fantasma della quattordicenne Susy continuava a volteggiare sopra il quartiere, in attesa che la sua famiglia scoprisse che l’aveva uccisa il vicino. E solo dopo poteva liberarsi e andarsene. Un gelido inverno è come se fosse la storia opposta: c’è sempre un fantasma che accompagna il film, ma non sta lassù in cielo a guardare, è piuttosto piantato nella vita terrena e fino a quando non si sa che fine abbia fatto - se è vivo o morto - tutti i personaggi del film sono attraversati da un’inquietudine che non riguarda la sparizione, ma la presenza assente di quest’anima guasta; e se poi è morto, bisognerà capire quando (e come) si può esserne davvero sicuri. Il fantasma terreno è il padre di Ree e già non c’è più all’inizio del film. Ree vive tra le montagne del Missouri con una madre impazzita (a causa del marito) e due fratellini. Un giorno arriva lo sceriffo e spiega qual è il problema: il padre, spacciatore di anfetamine, quando è uscito di galera, per pagare la cauzione ha ipotecato la casa. Il processo è vicino e l’uomo è sparito già da un po’ (sembra che per Ree il fatto che sia sparito anche dalla loro vita, non sia più un problema). Se non si presenterà al processo, la famiglia perderà la casa. Questa è la storia di Un gelido inverno: trovare quest’uomo (il fantasma) in tempo, prima che la famiglia perda tutto. Il nucleo della vicenda ha la qualità di trascinarsi dietro, senza snocciolarla, la storia pregressa. Il padre di Ree è come se avesse spacciato non solo anfetamine e altro, ma un’inquietudine, una violenza, un peggioramento dell’esistenza e della vita interiore di tutti: suo fratello sembra il più minaccioso, i suoi (ex) soci i più violenti, la moglie perduta per sempre. Qualcosa è successo a Hollywood, forse non in termini di quantità, ma di sicuro nella qualità della scrittura dei personaggi femminili. Dopo aver visto la Kidman raggelata di Rabbit Hole, qui Jennifer Lawrence regala il suo viso radioso e lo sguardo feroce alla ragazza che ha saltato l’adolescenza e adesso è una piccola donna dura, nervosa, decisa. Tutti gli uomini che l’affrontano, compreso lo zio inquieto, sembrano volerle mettere le mani addosso, ma questa sensazione svanisce subito contro la personalità che Ree pianta di fronte a tutti. È come se operasse un sortilegio di eliminazione della bellezza, grazie alla capacità di spostare lo sguardo del nemico su un altro piano, più paritario e minaccioso: il suo obiettivo è trovare il padre, tra spacciatori, ex amanti, bande rivali. È Ree a tenere le fila della storia, della ricerca del padre, e anche di tutto il film di Debra Granik. Un personaggio denso e ben scritto in un film teso, che porta tutti nel campo aperto della provincia sperduta, lì dove l’asticella della violenza è più bassa, le regole meno rigide. (…) In realtà, Ree sta confermando a se stessa che lei non ha più paura di nessuno. Nemmeno del fatto che ogni volta sembra più chiaro che il padre possa essere morto. Lei ha un obiettivo: salvare la famiglia (qualcuno ha già detto che i fratellini possono andare a vivere in altre case). E quindi la questione può essere risolta se il padre ricompare o se è morto. E negli occhi di Ree non sembra sia rintracciabile una differenza, ormai. Durante il film, un thriller poco consueto, si fa strada un film più piccolo, meno visibile. È una storia che la scrittura e la regia tengono a bada, lasciano sottotraccia, facendola venir fuori solo a tratti. Ma è questa storia che lavora al di sotto della trama principale che riesce a dare più sostanza al film. Man mano che il fantasma si allontana, infatti, i ricordi di un padre affettuoso e vicino, di un marito amatissimo, cominciano a prendere corpo. È come se l’unico modo per scacciare il male che il fantasma ha infuso dentro ogni persona che ha toccato, sia quello di perderlo. L’unico modo di recuperare l’amore per quest’uomo, è che quest’uomo svanisca, che si abbia la certezza che non possa tornare più. A quel punto, tutte le persone che ruotano intorno alla famiglia, si rassereneranno. Tutta la tensione del film verrà abbandonata come se qualcuno avesse lasciato la presa, senza avvertire. Come se lo avessero liberato, quest’uomo, e volando via lontano riuscisse di nuovo a lasciare nella memoria dei familiari un ricordo buono. E se ridà pace al mondo, tutti riescono di nuovo a ricordare che c’è stato un tempo in cui non era quello che è diventato. E forse, facendo un altro passo ancora, negli occhi di Jennifer Lawrence si può leggere il perdono per aver tentato fino a dopo la morte, di distruggere tutto ciò che aveva messo in piedi nella vita. In Amabili resti, il fantasma se ne andava quando le cose si mettevano a posto. In Un gelido inverno, le cose si mettono a posto quando il fantasma se n’è andato.

FFrancesco Piccolo, Il Sole 24Ore, 20 febbraio 2011

 

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