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Schede del film (166 Kb)
Là bas - Scheda del film

 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 7 febbraio 2013 – Scheda n. 15 (881)

 

 

 

 

 

Là-bas

 

 

Regia e sceneggiatura: Guido Lombardi

 

Fotografia: Francesca Amitrano. Montaggio: Annalisa Forgione, Beppe Leonetti.

Musica: Giordano Corapi.

 

Interpreti: Kader Alassane (Yussouf), Moussa Mone (Moses),

Esther Elisha (Suad), Billy Serigne Faye (Germain),

Fatima Traore (Asetù), Alassane Doulougou (Idris),

Salvatore Ruocco (il capoclan), Franco Caiazzo (zi Peppe),

Gaetano Di Vaio (gestore autolavaggio), Marco Mario de Notaris (chirurgo).

 

 Produzione: Eskimo, Figli del bronx. Distribuzione: Istituto Luce.

Origine: Italia, 2011. Durata: 110’.

 

 

Guido Lombardi

 

 

Nato a Napoli nel 1975, Guido Lombardi ha vinto due volte il Premio Solinas, il maggior premio nazionale per le sceneggiature. Ha cominciato a lavorare nel cinema firmando con molti altri registi (fra cui Paolo Sorrentino, Mario Martone e Pietro Marcello) il film collettivo Napoli 24, tanti episodi che descrivono da tutti i lati, positivi e negativi, la città campana. Nel 2010, gira il corto Vomero Travel, storia di un quattordicenne che incontra i Roca Luce, il suo gruppo musicale hip-hop preferito, film presentato a Venezia, così come, nel 2011, è stato presentato alla Mostra di Venezia questo Là-bas – Educazione criminale (questo il titolo completo) che ha vinto il Leone del Futuro, cioè il premio per l’opera prima. Attualmente Lombardi sta lavorando al suo secondo film che dovrebbe chiamarsi Take Five.

Sentiamo Lombardi: «“Là-bas” in francese è poco più di un intercalare. Vuol dire “laggiù”. Ma gli africani dicono “là-bas” anche quando parlano dell’Europa, dove sono andati, in cerca di fortuna o per disperazione, i loro cari e amici. Dicono “là-bas” per dire altrove, a Sud o a Nord non ha importanza. Vuol dire semplicemente lontano... Un ragazzo di colore vende fazzoletti al semaforo. È lì da un giorno oppure da anni. Come tutti quelli come lui, si ‘arrangia’, come si dice a Napoli e come loro stessi amano ripetere. Magari domani qualcuno gli si avvicinerà per chiedergli: invece di impiegare una giornata a guadagnare 10 euri che ne dici di guadagnarne 100 in un’ora? Al mio protagonista, Youssef, viene posta questa domanda. E lui compie la scelta che gli appare più razionale. Ha un’occasione per realizzare il suo sogno, quello che lo ha spinto a intraprendere il viaggio che lo ha condotto “là-bas”, laggiù, come un africano chiama l’Europa, immaginandola come un luogo lontano da casa sua. Per scoprire che qui, a Castel Volturno, è un po’ come stare in Africa: ci sono le palme, il sole picchia, la sera è pieno di zanzare, e soprattutto non c’è lavoro. No, non c’è un lavoro vero per i clandestini. In questa terra un tempo meta di villeggiatura, oggi abbandonata dai turisti, ingombra di villette dall’architettura improbabile, l’unica alternativa è tra lo sfruttamento e il crimine. È di queste persone e di questa scelta che parla il mio film. La scelta più razionale è talmente razionale che sono in molti a farla, e quando si è in molti alla stessa tavola si finisce per contendersi le briciole. Perché nella zona di Castel Volturno non vivono solo ventimila africani, di cui almeno la metà clandestini, ma anche alcuni italiani che hanno fatto la stessa scelta. Per molti anni africani e italiani, neri e bianchi, sono stati in pace. Una pace basata sulla spartizione degli affari, a volte sulla complicità, con i primi disposti a pagare ai secondi una sorta di servitù, un “equo canone”. Ma una pace esposta a terribili cortocircuiti come quello del 18 settembre 2008: con i suoi sei ragazzi innocenti ammazzati in una sartoria. Persone capitate lì per caso, la cui morte doveva servire, in un folle disegno criminale, a lanciare un messaggio, un avvertimento mafioso. Un episodio di rara violenza, una strage appunto. Che è capitata mentre scrivevo la mia storia, con tutto il suo carico di ineludibilità. Ambientata nella “più africana tra le città europee” (Saviano), Là-bas è una storia dove fiction e verità confondono i propri percorsi. Il romanzo criminale di un ragazzo dei nostri tempi, iniziato e vissuto per il solo gusto della sopravvivenza».

 

 

La critica

 

 

Appena sbarcato in Italia, l’africano Youssuf trova appoggio in una piccola comunità d’immigrati che vive in una specie di comune chiamata ‘la casa delle candele’, perché spesso vi manca la luce. Dapprima campa vendendo fazzoletti ai semafori; poi, stremato dalla miseria, si lascia attrarre nel giro criminale di suo zio Moses, spacciatore di cocaina. Innamorato di una giovane prostituta, Suad, il ragazzo perde ogni illusione. Gli eventi culmineranno in una strage di camorra che evoca (indirettamente) quella avvenuta a Castel Volturno nel 2008, vittima un gruppo d’immigrati senza alcuna colpa. Apprezzato e premiato a Venezia, dove correva per la Settimana della Critica, Là-bas è un film di crimine raccontato con sincerità d’intenti e messo in scena con un linguaggio senza compromessi, che un po’ ricorda Gomorra di Garrone e a tratti ricorre a una cifra quasi documentaristica. La coerenza si spinge al punto di far parlare spesso gli immigrati in francese con sottotitoli; come ai tempi lontani del neorealismo, quando il Luchino Visconti della Terra trema adottò il dialetto siciliano per i pescatori di Acitrezza.

RRoberto Nepoti, La Repubblica , 9 marzo 2012

 

Il debutto al lungometraggio di Lombardi, ex allievo della scuola di sceneggiatura Tracce, in concorso all’ultima Mostra di Venezia nella sezione Settimana della critica, ha conquistato il Leone del futuro come miglior film e la distribuzione di Cinecittà Luce, per poi vincere il festival di Busan, in Corea del Sud, nell’unica sezione di concorso aperta a film non asiatici. Il segreto di tanto successo sta nell’originalità: Là-bas è la storia di un’ascesa criminale all’interno di un’organizzazione mafiosa in Italia, ma è interamente interpretato da africani - di qui il soprannome di ‘Gomorra nero’ - e recitano in francese, africano e napoletano. Il film si ispira alla strage di Castel Volturno ma trova una forma filmica convincente che si distacca dal documentario o dal film di denuncia per percorrere le strade cinematografiche di Scarface e Un profeta. Teso, asciutto, coraggioso: peccato solo per l’unico tocco retorico, la bandiera africana drappeggiata nel finale sulle spalle di un immigrato.

PPaola Casella, Europa, 17 marzo 2012

 

Là-bas: l’Europa, l’Italia, Castel Volturno.  Yussouf, giovane africano, raggiunge il Belpaese covando il sogno dell’arte, sperimenta la miseria dell’onestà, s’accovaccia sotto l’egida di un parente gangster risoluto, zio amorevole – che lo invita a percorrere le sue stesse orme: da sfruttato a sfruttatore, da 10 euro al giorno a 100 all’ora. Dalla sopravvivenza alimentare all’esistenza criminale. Là-bas è l’istantanea di un circolo vizioso: Lombardi, all’opera prima, considera il magistero di Gomorra, adagia sulla materia brutalmente reale (perché reale è l’epilogo cruento) le dinamiche del genere, consapevole che le traiettorie del noir rivelano da sempre nuclei tragici quotidiani e universali. Perché quel che vuole il genere, anche la realtà: la deriva di Yussouf è una strada intrapresa quasi ciecamente. Poi riappare l’etica, poi affiora la colpa. E le colpe. Che si pagano. Perché il mondo (non solo criminale) è un meccanismo implacabile: fagocita e omologa, nel nome della via semplice verso una felicità quantificabile in moneta. Là-bas si immerge nella realtà, ne rispetta l’impasto linguistico (si parla francese, inglese, napoletano, quasi per nulla italiano), asciuga la narrazione sino a farla aderire alla cronaca, facendo sopravvivere con parsimonia simboli incisivi: come quel ritorno finale, fuori dalle crudeli leggi del noir, differenza che è tangibile speranza. Saggio antropologico in vesti nere, cinema teso, verso il reale.

GGiulio Sangiorgio, FilmTv, marzo 2012

 

È certamente coraggioso nel tema, scaltrito nei dettagli, d’immediatezza spontanea nella recitazione di interpreti (quasi tutti non-attori), ma anche rattenuto nello stile il modo con cui Guido Lombardi, regista all’esordio, ci racconta della comunità africana di Castel Volturno, quasi tutta francofona, prendendo spunto dalla cronaca di appena tre anni fa, 18 settembre, la strage - appunto - di Castel Volturno in Campania, sette giovani africani non certo collusi con la criminalità uccisi dai camorristi locali, per dare avvertimento alla folta comunità africana, non meno di 20.000 emigrati. Dell’unico sopravvissuto del gruppo, immagina di rievocare l’avventurato destino, a cominciare da quando sbarcato in Italia sognava con gergo francese il là-bàs, mito dell’altrove lontano e felice, trovandosi invece, alla napoletana, in un là-bas, sotto in basso, il più nascosto possibile. Yussouf (Kader Alassane) non ce la fa più di tanto, appena vu’ cumprà con fazzoletti agli incroci o lavaggio d’auto. Resta a mezzo anche l’incontro con la bella prostituta nigeriana Suad (Ester Elisha, attrice bresciana, occhi neri, dolce sorriso). Yussouf comincia a rendersi conto che per gli emigranti è strada biforcuta. O si resta tra i più che sopravvivono a  stento, lavorando in nero, o ci si dà al traffico di droga, e di questo ci si arricchisce. Questo lo sceglie anche Yussouf, tanto più accanto a zio Moses, boss d’affari ammanigliato alla camorra, e si impanca finalmente anch’egli con vesti eleganti e macchina di lusso, ingenuamente colluso, sino a quando in un’ultima fuga resta ignudo e così si presenta alla comunità nera in festa alla ‘Black Fashion’.

AAlberto Pesce, Il Giornale di Brescia, 11 dicembre 2011

 

 

 

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