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Schede del film (165 Kb)
17 ragazze - Scheda del film

 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 7 marzo 2013 – Scheda n. 19 (885)

 

 

 

  

 

17 ragazze

 

 

Titolo originale: 17 filles

 

Regia e sceneggiatura: Delphine e Muriel Coulin.

 

Fotografia: Jean-Louis Vialard. Montaggio: Guy Lecorne.

 

Interpreti: Louise Grinberg (Camille), Juliette Darche (Julia),

Roxane Duran (Florence), Esther Garrel (Flavie),

Yara Pilartz (Clémentine), Noémie Lvovsky (infermiera),

Florence Thomassin (madre di Camille), Carlo Brandt (preside).

 

Produzione: Archipel 35. Distribuzione: Teodora.

Origine: Francia, 2011. Durata: 90’.

 

 

Delphine e Muriel Coulin

 

 

Le sorelle Muriel e Delphine Coulin sono nate nel 1971 a Hennebont, in Bretagna, molto vicino alla città portuale di Lorient, dove è ambientato il film. Hanno diretto insieme cinque cortometraggi, tra cui Sisyphe (1997, premiato al Los Angeles Film Festival) e Souffle (2000), premio del Sindacato della Critica in Francia e selezionato per la Semaine de la Critique a Cannes. Muriel ha lavorato nel cinema come assistente operatore per registi del calibro di Krzysztof Kieslowski, Louis Malle e Aki Kaurismäki, dirigendo inoltre la fotografia per diversi documentari. Delphine ha una carriera di scrittrice alle spalle (tra i suoi romanzi, Les Traces, Une seconde de plus, Les mille-vies, Samba pour la France) e ha collaborato a lungo come regista con il canale televisivo ARTE. 17 ragazze rappresenta il loro esordio in coppia nel lungometraggio. Il film è stato presentato con successo alla Semaine de la Critique del Festival di Cannes 2011.

Sentiamo le registe: «La storia vera che è all’origine del film è insieme intrigante e rivelatrice della società in cui viviamo. Appena ne siamo venute a conoscenza, abbiamo pensato che sarebbe potuta accadere nella nostra città, Lorient, in Bretagna, ed è qui che il film è ambientato. Si tratta di un centro operaio quasi completamente distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale, e che negli anni Cinquanta, con la ricostruzione, la gente credeva sarebbe diventata la città del futuro. Sessant’anni dopo, il porto e l’arsenale sono in crisi e tutte le speranze sono svanite. Una generazione senza sbocchi. Lorient resta attaccata al passato, quando era chiamata L’Orient, lo snodo commerciale da cui le navi partivano per tutto il mondo, o, durante la guerra, quando era una delle culle della Resistenza. Ora, invece, i genitori, gli insegnanti e le altre istituzioni non hanno trovato il modo di offrire uno sbocco alle nuove generazioni, il cui futuro è già segnato: un diploma, un lavoro, il matrimonio e i figli. Ma le protagoniste del film sono pronte a capovolgere quest’ordine, vogliono tutto e in una volta sola... Sappiamo cosa significa vivere in una piccola città, dove l’amicizia e l’aspirazione a qualcosa di diverso hanno una grande importanza. Questa esistenza limitata si confronta con l’immensità dell’oceano, una presenza insieme rassicurante e inquietante. Le ragazze del film contano una sull’altra per ottenere ciò che vogliono. L’amicizia è così forte alla loro età che permette di superare gli ostacoli della vita e le paure, spingendo a prendere decisioni rischiose che non si riuscirebbe ad affrontare da soli... Camille e le sue amiche hanno un’età in cui si è insieme troppo grandi e troppo piccoli. Un’età in cui si hanno sogni meravigliosi, ma si è troppo giovani per farli diventare realtà; e quando poi si diventa adulti, è ormai troppo tardi per riuscirci. Tutte dividono un sogno ordinario e straordinario al tempo stesso, costruendo una vera e propria utopia. Nessuno può fermarle dal gettarsi in questa avventura... Le illusioni e il disincanto delle ragazze protagoniste ci hanno permesso di affrontare temi su cui già abbiamo lavorato nei cortometraggi che abbiamo diretto insieme: il corpo, la femminilità, l’età, il tempo. Camille e le sue amiche vivono una stagione in cui la vita sembra naturale e infinita. I loro corpi sono alterati dal tempo e dalla gravidanza, ma danno alle ragazze il potere di confrontarsi con gli adulti e con i coetanei, permettono loro di attirare l’attenzione, crescere e definire se stesse. Questi corpi sono la loro unica arma... Abbiamo fatto un provino a circa seicento ragazze per sceglierne 17. A parte Louise Grinberg, Roxane Duran e Esther Garrel, che già hanno avuto ruoli importanti in diversi film, la maggior parte delle ragazze selezionate non aveva mai messo piede su un set. La loro freschezza, la loro volontà di crescere in fretta, la confidenza e i legami che hanno stretto nel corso delle riprese, si percepiscono nel film. Inoltre, abbiamo girato seguendo l’ordine cronologico delle scene: così possiamo vedere queste ragazze mentre diventano grandi».

 

 

La critica

 

 

Vuole dire, e dice, molte cose il bel film 17 ragazze delle sorelle francesi Delphine e Muriel Coulin. Molte più cose di quelle immediatamente visibili. Evocate, suggerite attraverso una messa in scena minimale. Sullo sfondo di un caso di cronaca le Coulin hanno costruito la loro storia ambientandola in un luogo che conoscono bene. Siamo in una cittadina chiamata Lorient. Un porto bretone, versante atlantico nord occidentale. Il luogo ha una storia significativa. Ha avuto un passato importante in senso economico per via della pesca ma soprattutto in senso militare. Fu distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, e fu culla della Resistenza. Poi, gli anni ’50 portarono una ricostruzione i cui criteri architettonici e urbanistici erano lo specchio della fiducia nel futuro. Oggi non resta più niente. La generazione dei figli e dei nipoti di chi fu protagonista degli eventi di sessanta, settant’anni fa non ha memoria né interesse per ciò che l’ha preceduta, vive alla giornata, non ha trasmesso nulla. E, in loro assenza (nel film sono solo figure sfocate, genitori tra le pareti domestiche o insegnanti a scuola), la città modello ridotta a malinconico deserto colonizzato dai fastfood americani è terreno di innocenti scorribande per i loro figli sedici o diciassettenni. Le loro figlie, in particolare. La prima a restare incinta è Camille: bella, senza padre, madre poco presente e poco materna, arrabbiata con una vita che deve averla delusa, fratello militare in Afghanistan. È la leader del gruppetto di amiche e compagne di scuola, e ‘contagia’ tutte le altre. In poco tempo si scopre – e la notizia fa presto a fare il giro della scuola e della cittadina – che le ragazzine in attesa sono diventate diciassette. Tutte insieme. Incoscienza, ribellione? Sì, ma sottotono, senza proclami. Incoscienza perfino a un certo punto, queste ragazze non sembrano tanto inclini al gesto provocatorio, sono anzi piuttosto posate per la loro età. Ribellione poi è una parola grossa: si propongono di creare qualcosa che è mancato a loro, di averne cura come rimproverano ai genitori di non aver fatto. Nel film circola un’aria che fa pensare a un cinema di molto tempo fa. Quel cinema ‘nuovo’ che, tra gli anni ’50 americani e soprattutto i ’60 europei, dava la parola a una figura sociale del tutto nuova: i giovani, con le loro commoventi, maldestre, anche arroganti illusioni. Ma quelli erano i figli della guerra, reclamavano più o meno rumorosamente un posto per sé nella nuova società marcando la propria differenza ed estraneità alla generazione che rimproveravano di aver reso il mondo più brutto, ingrati per la libertà e il benessere che in realtà, pagando con lacrime e sangue, gli adulti avevano donato loro. Qui è un po’ il rovescio. Tutte le promesse provenienti dalle chiassose proteste dei grandi di oggi, allora giovani allevati nella fiducia per il futuro, sono state disattese. E il gesto rivoluzionario è quello di ricominciare dal concepire una vita. Le interpreti sono quasi tutte non attrici, solo due o tre (tra le quali la protagonista, Louise Grimberg, che avevamo vista in La classe) avevano già esperienza.

PPaolo D’Agostini, La Repubblica, 23 marzo 2012

 

La forza del film è nella capacità di non cadere mai nell’analisi e nel giudizio del comportamento delle protagoniste, preferendo semplicemente mostrarcele nella loro intimità, nel profondo dei loro sogni. È il mondo degli adulti a essere deludente e senza prospettive e a farle credere in un’utopia. Per loro, avere un bambino vuol dire trovare un senso all’esistenza, essere finalmente amate senza condizioni. Un ritratto dell’adolescenza insolito, sensibile e appassionante, sorretto da un gruppo di attrici formidabili.

EEmmanuèle Frois, Le Figaro

 

C’è qualcosa di incomprensibile nel gesto delle protagoniste, ma è solo chi non appartiene alla loro piccola comunità a non capire che si tratta di un vero gesto di rivolta. Una rivolta dolce ma testarda, che le registe raccontano con poesia, rendendo alla perfezione quell’ebbrezza propria degli adolescenti alla prima scelta importante della loro vita. 17 ragazze è il primo film di Delphine e Muriel Coulin e anche per loro è come se si trattasse del primo bebè. Una vera riuscita.

JJean-Marc Lalanne, Les Inrockuptibles

 

Abbiamo amato molto 17 ragazze. Lo abbiamo amato per il suo modo di andare dritto al cuore di una storia un po’ folle, con bravura e ostinazione; per il suo modo di filmare la solitudine di ciascuna delle protagoniste; per aver scelto di non fare caso agli uomini e di ignorare i genitori, volgendo lo sguardo solamente alle ragazze, alle loro idee fisse e alle loro confidenze più intime.

PPhilippe Azoury, Libération

 

 

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