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La guerra è dichiarata- Scheda del film

 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 28 marzo 2013 – Scheda n. 22 (888)

 

 

 

  

La guerra è dichiarata

 

 

Regia: Valérie Donzelli

 

Sceneggiatura: Valérie Donzelli, Jérémie Elkaïm. Fotografia: Sébastien Buchmann.

 Montaggio: Pauline Gaillard.

 

 Interpreti: Valérie Donzelli (Juliette), Jérémie Elkaïm (Roméo Benaïm),

 César Desseix (Adam Benaïm a 18 mesi), Gabriel Elkaïm (Adam Benaïm a 8 anni),

 Brigitte Sy (Claudia Benaïm), Elina Löwensohn (Alex).

 

 Produzione: Rectangle Productions. Distribuzione: Sacher.

Origine: Francia, 2011. Durata: 100’.

 

 

Valérie Donzelli

 

 

Nata nel 1973, a Epinal, nei Vosgi, in Francia, Valérie Donzelli studia architettura, poi si dà alla recitazione. Piccoli ruoli in Qui a tué Bambi?, Finché nozze non ci separino, Entre ses mains di Anne Fontaine. Esordisce alla regia con il corto Il fait beau dans la plus belle ville du monde, presentato nel 2008 a Cannes. Del 2010 è il primo lungo, La Reine des pommes. Nel 2011 è a Cannes con questo La guerra è dichiarata, scritto con Jérémie Elkaïm. Il film racconta la loro esperienza reale: la scoperta della malattia del loro figlio di 18 mesi.

Sentiamo Valérie Donzelli: «Il tema di La guerra è dichiarata è drammatico, ma il film non è né un dramma, né una commedia. Verrebbe solo voglia di dire che è un film vivo. Non credo che si tratti di una commedia drammatica, né di un dramma, né di un melodramma. Col senno di poi, abbiamo pensato con Jérémie Elkaïm che fosse solo un film fisico, intenso, vivo. Inizialmente, avevamo solo l’idea di un gesto, dare l’impressione di aprire una porta per guardare ciò che avviene dietro: l’incontro di una giovane coppia a cui succede una vera avventura, non un’avventura di cartapesta. È come se Romeo e Giulietta si fossero incontrati per superare insieme questa prova. Il film è pervaso dall’idea del destino, ma un destino che si contribuisce a compiere, non uno che si subisce... Adamo è il frutto dell’amore di Romeo e Giulietta, perché deve capitare a lui questa malattia? Quando Romeo fa questa domanda a Giulietta, lei risponde: “Perché siamo in grado di superarla”. A questo punto, la prova assume quasi una dimensione mistica, non si tratta più di sfortuna o di ingiustizia. La guerra è dichiarata è la storia di un bambino malato ma è innanzitutto quella di una coppia di fronte alla prova della malattia. Romeo e Giulietta sono una coppia di innamorati spensierati, per nulla preparati ad affrontare la guerra – io penso che siamo una generazione di ragazzi viziati impreparati alla guerra – ma che saranno sorpresi dalla loro capacità di portarla avanti e di diventare loro malgrado degli eroi. Questa prova li fa diventare una coppia, li trasforma in adulti responsabili... Avevo anche voglia di raccontare come si viene sopraffatti dai propri figli. Adamo ha un tumore al cervello, cosa che i suoi genitori non hanno vissuto. Sono totalmente smarriti di fronte a una cosa del genere, possono solo accompagnarlo. E i genitori di Giulietta e Romeo sono a loro volta sopraffatti da ciò che vivono i propri figli, è un ingranaggio. I nostri figli non sono un’estensione di noi stessi, sono degli individui, con il proprio vissuto. E in questo caso, il vissuto di Adamo comincia molto presto, a 18 mesi, quando questa malattia lo travolge. La prova della malattia provocherà un rafforzamento del legame che unisce Romeo a Giulietta, ma anche la sua distruzione. Come dice la narratrice alla fine del film: “Erano distrutti ma solidi”. La relazione amorosa si fonda su un sentimento di spensieratezza, la convinzione che nulla può distruggere l’amore, ma Romeo e Giulietta si ritrovano in una sorta di routine, l’ospedale li porta a ripiegarsi su se stessi. Affinché il figlio possa sopravvivere, qualcosa deve morire: la loro coppia. E al tempo stesso, questa prova costruisce e fortifica il loro legame, si completano alla perfezione, sono davvero un uomo e una donna, lo yin e lo yang... Il film è autobiografico nel senso che Jérémie e io abbiamo avuto un figlio colpito da una grave malattia, la realtà dei fatti è molto vicina a quella che abbiamo vissuto, eppure il film non è la nostra storia. Come si fa a passare dall’emozione intima e viscerale di un dramma vissuto a un film nel quale tutti si possano identificare? È per me l’essenza del cinema partire dal mio ombelico e fare uno zoom indietro per raccontare qualcosa di più universale: il rapporto con l’educazione, il fatto di essere genitori e di trovarsi confrontati a quanto di peggio possa succedere come avere un figlio tra la vita e la morte. Jérémie descrive il fatto che siamo riusciti a trasformare questa storia personale in un film, con una formula molto bella: “Ci siamo liberati della parte brutta per tenerci solo il bello”... Non lavoro in modo tradizionale, lascio molto spazio alla spontaneità di ognuno. Anche se il film non è incentrato sulla malattia di Adamo, l’ospedale è molto presente. Avevo voglia di fare un film molto ancorato alla realtà, alla verità di ciò che è un ospedale, e quindi volevo girare negli ospedali veri, senza comparse, con le persone che ci lavorano davvero. Abbiamo contattato gli ospedali molto tempo prima per spiegare il progetto senza spaventarli, convincerli a darci il permesso. Se l’ospedale pubblico ci avesse detto di no, non so come avrei fatto. Il fatto è che in ospedale tutti si ricordavano di noi, di me, mio marito e di nostro figlio. Avevamo passato molto tempo lì dentro e poi Adamo è guarito, e questo se lo ricordavano ancora di più».

 

 

La critica

 

 

C’erano tutti gli elementi per farne un film cupo e pessimista, dal tema della malattia alla biografia personale della regista-interprete, eppure La guerra è dichiarata è una delle commedie più coinvolgenti e contagiose viste negli ultimi tempi. 39 anni, studi di architettura prima di passare al cinema, conosciuta più per i suoi ruoli televisivi che cinematografici, Valérie Donzelli si fa notare al festival di Locarno del 2009 come regista (La regina delle mele, inedito in Italia) per esplodere nel 2011 aprendo la Semaine de la critique a Cannes con La guerre est déclarée, adesso distribuito anche in Italia. Cosa racconta il film ce lo dice senza tanti infingimenti la prima scena, dove un ragazzo di otto anni, accompagnato dalla mamma, si sottopone a una risonanza magnetica. Il risultato è negativo: nessun pericolo per il piccolo Adamo. Tutto bene. Quello che lo spettatore capisce immediatamente è che, per sottoporsi a una visita così specifica, in passato il bambino qualche problema lo deve avere avuto. Quello che invece può non sapere è che la mamma e il figlio sono tali anche nella vita reale: lei è Valérie Donzelli, regista ma qui anche interprete, nel ruolo di Giulietta; lui è Gabriel Elkaim, il bambino che la Donzelli ha avuto da Jérémie Elkaim, che vedremo nelle scene immediatamente successive, nel ruolo di Romeo. Dopo la prima scena, infatti, il film torna indietro di una decina d’anni, durante una festa dove Romeo e Giulietta si incontrano, scherzano sui loro nomi shakespeariani, si innamorano e decidono di affrontare la vita (e i sogni di sfondare nel cinema) insieme. E fin da questo salto indietro, quando il piccolo Adamo ancora non era nato, si capisce come il tono della messa in scena non sia quello del melodramma o del dramma tout court ma piuttosto quello della commedia. Un tono che la regia ottiene grazie a una libertà di linguaggio e di invenzioni sorprendente e dissacrante, usando per esempio tanti piccoli estratti dai film scientifici di Jean Painlevé per spiegare il colpo di fulmine che scatta nelle loro teste (in realtà sono fotogrammi: sulla cristallizzazione dello zucchero, ma a chi interessa questo tipo di verità scientifica?). Oppure inquadra L’origine della vita di Courbet per 'raccontare' la nascita del loro figlio. Questa libertà narrativa continuerà per tutto il film, ma il vero colpo di genio è quello del ribaltamento del punto di vista. Quando la giovane coppia scopre che il figlio di 18 mesi ha un tumore al cervello, il film non adotta il punto di vista della vittima né segue l’odissea dei due genitori: racconta piuttosto la voglia di Romeo e Giulietta di reagire alla disgrazia. Non è uno scarto da poco: invece di mettersi dal punto di vista di chi soffre (e a ragione, verrebbe da aggiungere, vista la tragedia del figlio), sceglie di raccontare quello di chi reagisce, di chi lotta, di chi cerca in tutti i modi di non farsi schiacciare dal dolore. In questo modo l’inevitabile meccanismo di identificazione avviene non con la passività della tragedia ma con la volontà reattiva di chi non vuole cedere alla disperazione. Di ognuna delle varie ‘stazioni’ di questa laicissima via crucis, la Donzelli mette in evidenza i momenti di involontaria comicità (la pediatra che, dopo aver intuito la gravità della malattia, per chiamare l’ospedale solleva la cornetta di un telefono giocattolo che ha sulla scrivania), senza preoccuparsi di essere scorretta o oltraggiosa (la serie di battute, sempre più allusive e pesanti che i genitori si scambiano quando aspettano l’esito dell’operazione e esorcizzano il suo possibile fallimento immaginando ‘tragedie’ ancora più grandi). A volte arriva anche a far ricorso alla magia - per preparare un brindisi di Natale - e aggirare così una scelta estetica esclusivamente realista, che sarebbe stata inevitabilmente cupa e depressiva. Invece alla fine, quando una gita sulla spiaggia come nei Quattrocento colpi di Truffaut (ma questa volta in compagnia della madre) testimonia definitivamente la guarigione, lo spettatore si sente felice e sollevato perché per tutto il film ha lottato anche lui un po’ con i genitori, condividendo la loro grinta e la loro forza d’animo e ‘aiutandoli’ a tenere lontano disperazione e rassegnazione.

PPaolo Mereghetti, Il Corriere della Sera, 30 maggio 2012

 

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