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CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

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Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Mercoledì 3 aprile 2013 – Scheda n. 23 (889)

 

 

 

  

 

L’intervallo

 

 

 

Regia: Leonardo Di Costanzo

 

Sceneggiatura: Maurizio Braucci, Mariangela Barbanente, Leonardo Di Costanzo

Fotografia: Luca Bigazzi. Montaggio: Carlotta Cristiani. Musica: Marco Cappelli.

 

Interpreti: Francesca Riso (Veronica), Alessio Gallo (Salvatore),

Carmine Paternoster (Bernardino), Salvatore Ruocco (Mimmo),

Antonio Buíl (padre di Salvatore), Jean-Yves Morard (lo slavo).

 

Produzione: Tempesta. Distribuzione: Istituto Luce – Cinecittà.

Origine: Italia, 2012. Durata: 90’.

 

 

Leonardo Di Costanzo

 

Nato a Ischia nel 1958, Leonardo Di Costanzo si è laureato all’Istituto Orientale di Napoli, poi si è trasferito in Francia dove ha seguito i corsi di regia di cinema documentario presso gli Ateliers Varan. Questa esperienza lo ha portato ad aprire un centro per documentaristi in Cambogia insieme con uno dei più importanti registi mondiali di documentari, il cambogiano Rithy Panh. Tra i documentari di Di Costanzo ricordiamo Prove di Stato (1999) sulla latitanza dello Stato a Ercolano, doc che segue per tre anni il lavoro del sindaco, una giovane donna di sinistra eletta dopo l’arresto dell’intera giunta comunale per complicità con la camorra. Un altro suo lavoro premiato in tutto il mondo è A scuola (2003), girato in una scuola media, lungo un anno, in un quartiere periferico di Napoli (e due dei ragazzi protagonisti del film hanno ispirato la storia del film di stasera, L’intervallo). Del 2006 è Odessa, doc su una nave russa dimenticata da anni nel porto di Napoli, con i pochi marinai abbandonati a se stessi. Cadenza di inganno (2011) è la storia vera di Antonio, 12 anni, scelto come protagonista di un doc sull’adolescenza. Dopo alcuni mesi di riprese per strada, in famiglia e a scuola, Antonio scompare e il film si ferma. Otto anni dopo, Antonio, a 20 anni, chiama per dire che si sposa e invita il regista a filmare il matrimonio per finire il film. Nel 2012 Di Costanzo gira il suo primo film di finzione, L’intervallo, in gestazione fin dal 2003. Presentato alla Mostra di Venezia, osannato da critica e pubblico, ha raccolto numerosi premi.

Sentiamo Di Costanzo: «L’intervallo è il mio primo film di finzione, finora avevo realizzato film documentari, ma anche in questo lavoro mi è rimasta intatta la curiosità nei confronti del reale come dimensione inesauribile di ispirazione, la fiducia nelle sue infinite possibilità narrative. Perciò, anche in questo film, ho iniziato come nel documentario a osservare e ascoltare a lungo. Con Maurizio Braucci e Mariangela Barbanente, i due sceneggiatori, abbiamo incontrato e frequentato molti adolescenti, andando nei loro luoghi di ritrovo e parlando a lungo con loro. Quando abbiamo iniziato a scrivere ci è apparso subito chiaro che avremmo dovuto pensare la sceneggiatura in modo da lasciare poi spazio agli attori perché arricchissero i caratteri e le vicende con il loro vissuto; consideravamo la sceneggiatura una sorta di canovaccio, preciso, ma sufficientemente aperto. Benché il film fosse pensato per essere recitato in stretto dialetto napoletano la sceneggiatura è stata scritta in italiano, per lasciare poi agli attori, in fase di preparazione, il compito di tradurla e di adattarla a sé. Ho così deciso già dall’inizio che i due attori principali sarebbero stati dei non professionisti. La preparazione e la ricerca degli attori è stata lunga. Attraverso scuole e associazioni di educatori, ho incontrato circa 200 adolescenti di quartieri popolari napoletani e ne ho selezionati una dozzina, più o meno 6 coppie di possibili protagonisti del film. Abbiamo lavorato con questi ragazzi per oltre tre mesi senza mai mettere mano alla sceneggiatura. Si è creato un bel gruppo e, tra noi adulti, già dall’inizio lamentavamo che la scelta finale avrebbe implicato l’esclusione della maggior parte dei selezionati. Parlavamo spesso di questo con i ragazzi e tutti ci ribadivano che per loro si trattava di un’esperienza utile e bella indipendentemente dall’esito. Solo quando ormai le scelte si erano ristrette a due coppie, abbiamo iniziato a lavorare sulla sceneggiatura. In questa fase abbiamo anche tradotto in napoletano i dialoghi, raccogliendo le suggestioni degli attori che penso li abbiano arricchiti e resi più aderenti al loro mondo... Anche in fase di ripresa volevamo che la macchina cinema fosse la più discreta e agile possibile per lasciare agli attori la massima libertà. Con Luca Bigazzi, il direttore della fotografia, abbiamo deciso di girare, a parte qualche necessario rinforzo nelle notturne, senza luci aggiuntive e con macchina a spalla per poterci adattare noi al modo degli attori di occupare lo spazio spontaneamente. Abbiamo inoltre optato per il super 16, perché capace di assorbire i forti contrasti di luce tra interno ed esterno. Tutto questo per raccontare una storia di adolescenti dove gli adulti non ci sono o sono al di “fuori”, avvertiti come minaccia o come portatori di regole e consuetudini da rispettare. Qui sono quelle della camorra che minaccia e blandisce e con le quali a gradi diversi è costretto a fare i conti chi continua a scegliere di vivere in questa città».

 

 

La critica

 

L’aspetto indubbiamente più interessante e peculiare di L’intervallo, del documentarista Leonardo Di Costanzo, non risiede nell’averci raccontato una delle tante vicende terribili che abitano la Gomorra quotidiana, ma nel come ce l’ha raccontato, particolare ancora più importante se si pensa, appunto, che il background di Di Costanzo non è quello di un tradizionale filmaker. Due personaggi, un ragazzo e una ragazza, un grande edificio abbandonato che solo in una panoramica nelle scene finali vediamo inserito in un quartiere immenso, sovrappopolato e caotico. (...) L’unità di tempo e di luogo configura una struttura teatrale che improvvisamente si spezza quando i due iniziano a muoversi, perpendicolarmente e parallelamente a quell’enorme stanza in cui Di Costanzo aveva iniziato a filmarli. Per Veronica e Salvatore inizia un lungo viaggio, fisico e mentale allo stesso tempo, che li catapulta in una realtà altra, in un essere altrove. Progressivamente l’atmosfera di tensione tra i due si scioglie, proprio nel momento in cui scoprono che esiste “un mondo” fatto di acqua (anche artificiale), di uccelli che si riparano dalla pioggia ma che, allo stesso tempo, la annunciano, un mondo in cui appaiono spontaneamente le prime pulsioni sessuali (quando Veronica si toglie la giacca di jeans e Salvatore la guarda quasi turbato e quando Veronica cerca un posto per far pipì.) Un mondo, degli spazi che si moltiplicano progressivamente, che sembrano senza limiti, senza restrizioni, senza leggi prestabilite. Di Costanzo, con un’intuizione autenticamente geniale, riesce a fare cinema documentaristico, in un certo senso pauperistico ed estremamente rigoroso da un punta di vista formale, ma allo stesso tempo metafisico, sognato. E soprattutto autentico, alimentato da vera compassione (per la ragazza che si uccise perché gravida e sulla cui fotografia abbandonata in un angolo di una stanza del palazzo i due adolescenti ripongono un mazzo di fiori raccolti all’esterno) dove improvvisamente ci si accorge della presenza inaspettata di una vita (la scoperta dei piccoli cuccioli di cane appena partoriti). Quel mondo che i signori di Gomorra negano tutti i giorni a ragazzi come Veronica e Salvatore. (...) C’è un dentro e un fuori, magnificamente inquadrato in una delle scene più rivelatrici del film. Salvatore e Veronica, dopo aver attraversato stanzoni tra la luce e il buio, tunnel sotterranei apparentemente minacciosi, risalgono. Su una terrazza, per la prima volta, si vede “il fuori”. Vedono Gomorra. Di fronte, speculare all’edificio in cui si trovano, un altro palazzone, questa volta sovrappopolato da unità abitative claustrofobiche e parcellizzate. Poi una strada caotica, divisa in piccoli territori di appartenenza che fanno riferimento a un clan più o meno piccolo, più o meno invasivo. Dentro e fuori. Due realtà, una palpabile e oppressiva, l’altra sognata, per certi versi la proiezione mentale di due adolescenti che tentano una via di fuga. E che si interrogano sul passato (si scopre che Salvatore non ha la madre, e che il “peccato” di Veronica è stato quello di “essersi messa” con il ragazzo sbagliato, sempre secondo le regole di Gomorra), sul presente (come finirà la giornata e come usciranno da quel luogo), ma anche su un ipotetico futuro (le aspirazioni e i sogni dei due). Incombe intanto il buio, e il luogo in cui Salvatore a Veronica hanno attraversato la giornata diventa sempre più tetro e minaccioso. Da altri dialoghi tra i due apprendiamo che per la ragazza si avvicina il momento della verità, l’incontro con Bernardino, evocato sin dall’inizio come figura misteriosa, assente ma incombente. Da questo momento, fino al finale, dentro e fuori non sono più separati. Si uniscono. Diventano un corpo solo. Nella penombra (grazie alla sapienza di Luca Bigazzi) Bernardino si avvicina sinuosamente a Veronica, spiegandole le semplici, ma ferree regole di Gomorra. Uno scambio mai sopra le righe, molto sottotraccia, con Bernardino che viene perfettamente caratterizzato nel suo desiderio di controllo del reale e del territorio, ma anche in una libido frustrata che si manifesta nell’evidente attrazione per la quindicenne. Un abbraccio, un bacio appena abbozzato. Salvatore non assiste ma, ancora una volta, si “immagina” quello che può accadere. Ancora in penombra, l’assistente di Bernardino, soddisfatto di come il ragazzo ha gestito nel corso della giornata la situazione, gli allunga cinquanta euro «per il suo disturbo», oltre al cellulare temporaneamente prelevato. Veronica torna a Gomorra, alla sera; Salvatore, come di consuetudine, monta il carretto per le granite assieme al padre. Termina così la loro giornata particolare.

AAntonio Termenini, Cineforum n. 518, ottobre 2012

 

 

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