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CINEMA SOCIALE – S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna
PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
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Giovedì xx ottobre 2013 – Scheda n. x (89x)
La parte degli angeli
Titolo originale: The Angels’ Share
Regia: Ken Loach
Sceneggiatura: Paul Laverty. Fotografia: Robbie Ryan.
Montaggio: Jonathan Morris. Musica: George Fenton.
Interpreti: Paul Brannigan (Robbie), Siobhan Reilly (Leonie),
John Henshaw (Harry), Gary Maitland (Albert),
William Ruane (Rhino), Jasmin Riggins (Mo),
Roger Allam (Thaddeus), Charles MacLean (Rory McAllister),
Scott Dymond (Willy), Scott Kyle (Clancy),
James Casey (Dougie), Caz Dunlop (Caz).
Produzione: Sixteen Films. Distribuzione: BIM.
Durata: 101’. Origine: Gran Bretagna, 2012.
Ken Loach
Quante volte su queste schede è stato fatto il nome di Ken Loach? Tante. Quanti suoi film sono stati presentati al Cineforum? Tanti. Loach è sulla breccia da decenni e ultimamente, insieme ai film politicamente impegnati, si è concesso delle deviazioni verso la commedia, pur mantenendo sempre il suo atteggiamento socialmente esplicito di fervida adesione al proletariato. Nato nel 1936 a Nuneaton (UK), di famiglia operaria, Ken Loach studia giurisprudenza a Oxford dove si appassiona al teatro e fa il regista della compagnia universitaria. Poi entra alla BBC e comincia a raccontare storie di contenuto sociale e politico in molti docudrammi. Il debutto al cinema di produzione televisiva avviene con Poor Cow (1967), seguito da Kes (1969) e da Family Life (1971), tre film dai toni duri e dolorosi. Poi passa al cinema da sala e arrivano L’agenda nascosta (1990), Riff Raff (1991), Piovono pietre (1993), Ladybird Ladybird (1994), Terra e libertà (1995), La canzone di Carla (1996), My Name Is Joe (1997), Bread and Roses (2000), Paul, Mick e gli altri (2001), Sweet Sixteen (2002), gli episodi dei due film collettivi 11 settembre 2001 (2002) e Tickets (2004). Vince la Palma d’oro a Cannes con Il vento che accarezza l’erba (2006, che non è uno dei suoi film migliori). Arrivano infine In questo mondo libero (2007) e Il mio amico Eric, interpretato da un grandissimo del calcio come Eric Cantona, presentato con successo di pubblico e di critica al festival di Cannes (e al Cineforum). Nel 2012 vince il Gran Premio della Giuria sempre a Cannes con questo La parte degli angeli.
Ascoltiamo Loach: «Quando eravamo giovani volevamo fare la rivoluzione e uccidere il capitalismo. Non abbiamo fatto la rivoluzione, ma il capitalismo è morto. La crisi del capitalismo è ora. Stiamo facendo a pezzi tutti gli elementi che rendono civile una società. Togliamo il sostegno ai disabili, costringiamo i giovani a stare a casa con i genitori senza speranza di lavoro e di una casa, affolliamo gli ospedali e abbassiamo la qualità dei servizi, non possediamo più nulla e gli standard della vita civile sono distrutti. Abbiamo bisogno di un nuovo motore, mai come ora... Il whisky ha un gran bel posto in La parte degli angeli. Grazie al whisky, scopriamo il talento di Robbie, il personaggio impersonato da Paul Brannigan. È un modo per osservare l’energia del personaggio e la sua determinazione a fare qualcosa nella vita. Quanto al whisky, ha diverse funzioni nel film: è un’arte, c’è gente molto fiera di produrlo ed è un piacere gustarne il risultato. Ma la realtà sono i personaggi di Robbie, Rhino e gli altri... Con il mio sceneggiatore di sempre, Paul Laverty, volevamo prendere una situazione tragica e presentarla in modo che gli spettatori ridessero o sorridessero. Le commedie sono difficili da girare, ma il nostro approccio consisteva nel non dirigere questo film come se si trattasse di una commedia cercando di far ridere per forza. Il nostro metodo era di presentare i personaggi e la storia in tutta la loro verità. Poi, come nel mondo reale, ci sono momenti di crisi profonda e altri un po’ divertenti. Non siamo in una sorta di mondo senza emozioni e lineare. C’è sempre un po’ di tragedia e un po’ di commedia in ogni momento. Si potrebbero pure prendere i personaggi del film e raccontare una storia tragica. Da regista, cerco di raccontare la storia del momento e il criterio non è stabilire se si farà ridere o piangere, ma se è reale... La commissione della censura inglese mi ha chiesto di eliminare alcune parolacce dal film. Alla fine abbiamo avuto diritto alla parola “culo” solo sette volte, mantenendola solo laddove non era aggressiva. È surreale. Sul piano linguistico, la classe media britannica è ossessionata dalle parole volgari. Bisognerebbe ridefinire il concetto di volgarità».
La critica
«Every year about 2% of the spirit is actually lost. It just disappears and evaporates into thin air. Gone forever. It’s what we call the “angels’ share”». “Ogni anno circa il 2% dell’alcol va semplicemente perduto. Scompare così nell’aria sottile. Sparito per sempre. È quello che chiamiamo ‘la parte degli angeli’”. È uno dei momenti centrali nel film: una inserviente di una grande cantina di whisky spiega segreti e magie del prodotto invecchiato in ampie botti di legno. In una pellicola rigorosamente ancorata alla realtà, un piccolo spazio ai limiti dell’onirico e del trasognante lascia disorientati spettatori e protagonisti, rimasti a bocca aperta di fronte alle parole della ragazza. In qualche modo il cinema di Ken Loach è tutto qui, in un istante in cui la poesia riempie un mondo che sembrava non avere più spazio da riservarle. (...) Nonostante possa apparire come un grigio dramma sociale, in piena sintonia con le corde del regista, La parte degli angeli è una sorta di curiosa favola contemporanea, originale e divertente a partire dall’evolversi della trama. Robbie è aiutato da Harry, il suo tutore responsabile, che, scoperta la particolare sensibilità gustativa del ragazzo nei confronti di vari tipi di whisky, decide di introdurlo nell’ambiente degli amatori del malto: è così che al giovane, e al suo gruppo di rieducazione, viene l’idea di un “colpo” tutt’altro che convenzionale, in grado di offrir loro un futuro sereno. (...) Anarchico e persino sovversivo nel suo andamento narrativo, La parte degli angeli è un’intensa parabola esistenziale che offre diversi spunti di spessore per riflettere su ironie e contraddizioni dell’età contemporanea: dalla ricerca tragicomica di un lavoro alla necessità di trovare nuovi affetti e passioni. Ken Loach ha dichiarato che l’idea del film è nata analizzando un dato preoccupante: nel 2011 i giovani disoccupati in Gran Bretagna hanno superato il milione. Con questa premessa, il regista e il fidato sceneggiatore Paul Laverty hanno scelto di raccogliere storie di ragazzi nella zona di Glasgow: tra questi hanno trovato Paul Brannigan, il futuro protagonista della pellicola, che non aveva mai lavorato per il cinema. Brannigan, ennesima scoperta di un autore che continua a scovare attori di talento, ha alle sue spalle una storia molto simile a quella del personaggio che avrebbe interpretato. Le premesse di una dura opera di denuncia c’erano dunque tutte, ma il tema sociale riesce ad alleggerirsi lasciando spazio a una commedia positiva e solare. Se già in Riff Raff o in Piovono pietre Loach aveva dato sfogo alla sua verve umoristica, in La parte degli angeli fa un ulteriore passo avanti, lavorando per contraddizione: le scene più buffe sono anche quelle dove la drammaticità si fa più intensa e dove il tragico s’incorpora nel comico. Il mondo di oggi sembra dire ai giovani che non c’è bisogno di loro e questi, per risposta, sono vitali, fantasiosi e ancora ottimisti per il futuro. Proprio come Robbie che, freddo e brillante, non si limita a chiedere soldi al ricco compratore del prestigioso Malt Mill appena rubato. Sa che spenderebbe il semplice denaro inutilmente, come faranno i suoi compagni di sventura, e allora aggiunge una clausola: avere un lavoro. Trova la via dell’onestà soltanto dopo un ultimo crimine, senza il quale non sarebbe mai riuscito a sfuggire a un’esistenza segnata da un’interminabile sequenza, moralmente abietta, di vendette e pestaggi tramandati stupidamente di padre in figlio. Vuole salvare il suo Luke (che «si chiamerà sempre così», ripete in una struggente sequenza di fronte al padre della sua compagna) da quel destino degradato, fuggendo da quella realtà e dedicando il resto della vita alla sua nuova passione. Ci riesce, ma senza dimenticare di ringraziare il suo angelo custode Harry con una parte importante del suo bottino. In fondo, La parte degli angeli è, paradossalmente, una triste ballata che brinda alla bellezza di una vita, dove la prova più dura è non smettere mai di cercare la felicità: la si può trovare dietro l’angolo oppure dentro una botte di whisky. (...) Arrivando ai limiti dell’ossimoro, la coppia Loach-Laverty ci mostra un allegro brindisi in cui non manca la malinconia, in cui la speranza di un futuro migliore si mescola (più che scontrarsi) all’angoscia per l’apparente impossibilità di un cambiamento. Mimetizzando (e proprio per questo esaltandolo ancor di più) l’impegno sociale sull’argomento, il regista regala un’opera ottimist(ic)a, in cui ribadisce a chiare lettere le sue convinzioni e la sua idea di cinema. In attesa di tornare al documentario, una delle sue prime passioni, con The Spirit of ’45 (incentrato sulla nascita del welfare state post-seconda guerra mondiale), Loach, arrivato a settantasei anni, ci offre una delle pellicole più sentite della sua carriera, un vero e proprio messaggio di speranza che mai dimentica e mai manca di rispetto alle dolorose situazioni che racconta. Una poesia moderna (e morale) i cui versi mettono in rima verbi scurrili e parole di conforto. In un certo senso un film di cui il mondo di oggi ha davvero bisogno. Da vedere, possibilmente, con un bicchiere di whisky in mano, ma ricordatevi: la parte degli angeli offritela a Ken Loach.
AAndrea Chimento, Cineforum, n. 520, dicembre 2012
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