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Il lato positivo - Scheda del film

 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 7 novembre 2013 – Scheda n. 5 (899)

 

 

 

 

 

Il lato positivo

 

 

 

Titolo originale: Silver Linings Playbook

 

Regia e sceneggiatura: David O. Russell,

dal romanzo L’orlo argenteo delle nuvole di Matthew Quick (Salani).

 

Fotografia: Masanobu Takayanagi. Montaggio: Crispin Struthers.

Musica: Danny Elfman.

 

Interpreti: Bradley Cooper (Pat Solitano), Jennifer Lawrence (Tiffany),

Robert De Niro (Pat Solitano Sr.), Jacki Weaver (Dolores Solitano),

Chris Tucker (Danny), Anupam Kher (Dott. Cliff Patel),

Shea Whigham (Jake).

 

Produzione: Mirage Enterprises. Distribuzione: Eagle Pictures.

Durata: 117’. Origine: Usa, 2012.

 

 

David O. Russell

 

 

Nato a New York nel 1958, David O. (Owen) Russell esordisce nel 1994 con la commedia Spanking the Monkey, premio del pubblico al Sundance Film Festival, storia della relazione incestuosa tra un brillante studente universitario e la madre depressa. Da subito viene messa in evidenza la caratteristica dei film di Russell: la loro imprevedibilità a livello di racconto visto che le sue storie sono bizzarre e balzane, anche assurde. Cosa che succede di nuovo in Amori e disastri (1996), film di comicità surreale e sottile. Cosa che succede ancora in Three Kings (1999), amara commedia di guerra in stile pop, ambientata all’indomani della Guerra del Golfo con quattro militari americani che trovano una mappa (nel – scusate – buco del sedere di un prigioniero iracheno) dove si indica il nascondiglio dell’oro rubato al Kuwait. Ancora più strambo è I love Huckabees (2004), divertimento metafisico-esistenziale e storia di un ragazzo ecologista che comincia a interrogarsi sulle strane coincidenze che dominano la sua vita. Il film successivo esce nel 2010, The Fighter, storia di un pugile e del fratellastro allenatore. Tanti premi e ben 8 nomination agli Oscar arrivano per questo Il lato positivo.

Sentiamo il regista: «A farmi conoscere il libro è stato Sidney Pollack, che lo aveva comprato assieme al produttore Harvey Weinstein. È stato prima che girassi The Fighter. Benché la trama fosse di fantasia, ho trovato L’orlo argenteo delle nuvole ugualmente ricco di personaggi intensi ed autentici, che rispecchiavano una dimensione precisa e ben nota all’autore: sfere domestiche cariche di sentimento, individui sottoposti a grandi pressioni, situazioni drammatiche e inattese e inconsapevoli venature comiche. Sono sempre stato molto attratto da questo genere di scenari, li trovo affascinanti. Viene descritto un determinato luogo, un determinato momento, cibi e rituali precisi, diversi da tutti gli altri, eppure risulta palese come certe emozioni, il bisogno di amore, rispetto e mezzi di sussistenza siano profondamente universali... Adoro le storie d’amore, così come adoro le trame che descrivono la vera vita di quartiere. Tra Bradley e Jennifer, inoltre, si è creata subito un’alchimia perfetta, quasi tangibile, incandescente: sono due persone speciali, un vero dono della natura. Un’altra cosa per cui sono grato è stato poter avere nel cast Robert De Niro, con il suo profondo desiderio di interpretare in modo autentico un ruolo tanto ricco di sfumature, che in più ci riguardava personalmente, in quanto genitori, e di cui, negli anni, avevamo parlato spesso. In conclusione, mi piace molto, come è accaduto in questa pellicola, poter sbirciare nelle vite delle persone che tentano di affrontare la realtà e, spesso, anche se stessi, immersi nel loro ambiente quotidiano, compiendo sovente sforzi commoventi e sovrumani, prima di riuscire a sfangarsela in qualche modo. Almeno per un po’. Poi si vedrà».

 

 

La critica

 

 

«No Manure, no Magic» (senza letame, niente di magico). Sono queste le parole che Jason Schwartzman rivolgeva al suo alter ego Mark Wahlberg nel finale del vorticoso viaggio filosofico-esistenziale del film di David O. Russell I Love Huckabees – Le strane coincidenze della vita (2004): se la vita è inevitabilmente legata all’umana sofferenza, solo uscendo con fatica dal letame che la caratterizza può originarsi l’incanto di una nuova (e altrettanto stravagante) consapevolezza. Osservando la costruzione delle storie e le elaborate conclusioni allestite da David O. Russell nelle sue manifestazioni più leggere, pare proprio che questo complesso percorso caratterizzi ogni aspetto delle sue commedie. Immersione nella crisi e insperato riaffiorare in virtù di certezze labili ma di segno differente. (...) È così anche per il Pat Solitano interpretato da Bradley Cooper di Il lato positivo. Caduta e redenzione. Ipotesi esistente già nella tradizionale struttura della commedia. Ciò che cambia è la farcitura tra il punto di una crisi già in atto (e spesso compresa in corso d’opera) e quello di approdo, in cui le carte si mischiano lasciando intravedere un happy end inevitabile, problematico e falsamente consolatorio. (...) E se la farneticazione come categoria dello spirito era il tratto di Amori e disastri e Le strane coincidenze della vita, ancora di più lo è in Il lato positivo, che sullo sproloquio crea la stessa natura dei rapporti tra i personaggi. Pat Solitano, dall’evidente cognome nostrano in luogo del più generalizzante Peoples del romanzo di Matthew Quick, è affetto da sindrome bipolare. Insegnante di storia, ha trascorso otto mesi in un centro di riabilitazione da cui è uscito guadagnandosi un’ordinanza restrittiva che lo obbliga a non vedere l’amatissima e fedifraga moglie, con cui vorrebbe rappacificarsi, nonostante il traumatico tradimento con un altro insegnante. Pat incontra Tiffany, cognata del suo amico Ronnie, una giovane vedova che per elaborare il suo lutto ha scelto la via del sesso cieco e furibondo con tutti i suoi colleghi fino a ricavarne il licenziamento. Mancanze che si incontrano, frustrazioni che si sovrappongono, come è sempre prevedibile in questi casi. Stato di alterazione mentale e dolore per la perdita sono trattati in modo molto convenzionale, quasi banalizzati attraverso tratti edulcorati per rendere leggibile e attraente la crisi da parte del pubblico. (...) Ossessione (la passione per i Philadelphia Eagles, unico punto di contatto tra padre e figlio), superstizione (il fazzoletto verde piegato accuratamente in mano), atteggiamenti compulsivi (i telecomandi disposti uno accanto all’altro e spostati insieme), paranoia (pensare che l’assenza di Pat significhi una sconfitta sicura degli Eagles) e irresponsabilità (scommettere tutto su una partita per poter aprire un ristorante con la vincita) sono i tratti distintivi con cui il Robert De Niro che interpreta il padre di Pat mostra i suoi tic ritenuti assolutamente congrui e al limite un po’ eccentrici, frutto di una passione autentica, tutta americana. Allo stesso modo, l’amico di sempre di Pat, Ronnie, appare totalmente oppresso dalla sua vita coniugale, nei confronti della quale mostra un atteggiamento tristemente remissivo. (...) Di contro a un’esposizione superficiale della crisi, appare invece più interessante la costruzione del racconto e il linguaggio utilizzato da Russell per elaborare stilisticamente la soluzione dell’intreccio. Innanzitutto, la bipolarità caratterizzante è anche schema strutturale in un film esattamente diviso in due, con una prima parte incentrata sull’elaborazione della malattia, sui tentativi di riconnessione con un passato da cui si è stati prima rifiutati, poi espulsi e infine riaccettati dietro condizione, e una seconda parte che si trasforma in un’eccentrica romantic comedy fondata comunque sulle consuete fasi (incontro, conflitto e perdita) prima dell’ovvio congiungimento finale. Non solo la struttura ma anche l’andamento narrativo appare schizofrenico, svolgimento a cui Russell ha da sempre abituato il suo pubblico con sequenze frante, irrequiete, movimentate in funzione dei tanti personaggi presenti in scena. Il ritmo è incostante, pronto a innalzarsi improvvisamente dopo segmenti interlocutori, in cui pare che la serenità sia finalmente una conquista possibile. (...) Ancora più interessante è la modalità stilistica con cui Russell accompagna lo sviluppo del progressivo avvicinamento tra Pat e Tiffany per mezzo della semplicità del fuoricampo e della rilevanza dovuta al fuoco e agli obiettivi utilizzati per realizzarlo. Tiffany, inizialmente, è la ragazza proveniente da una realtà completamente avulsa rispetto all’universo costruito da Pat, il quale la ignora come eventualità possibile, ancorato com’è alle sue fallaci certezze matrimoniali. Tiffany, rispetto a Pat, è la presenza estranea irrompente. Non a caso il suo ingresso in scena (e nella vita di Pat) è sempre improvviso, mai preannunciato, proveniente direttamente dal fuoricampo, sia quando fa il suo ingresso in casa di Ronnie (che si sta raccomandando con Pat di non chiederle in che modo sia morto il marito), sia quando sbuca repentinamente nelle traiettorie che Pat percorre durante il suo forsennato jogging quotidiano. Il primo bizzarro appuntamento a cena (a base di cereali) è il punto di svolta stilistico e narrativo, in cui al principio del fuoricampo subentra quello della percezione focale. Ben e Tiffany sono in costante contatto, ma le inquadrature che li legano tendono all’esclusione vicendevole di uno dei due personaggi, dal quadro e dalla vita dell’altro, attraverso l’utilizzo di obiettivi dalla focale lunga che tendono a restituire i ripetuti campi e controcampi sfocando le forme del personaggio di spalle. Procedura che si ripeterà con le medesime caratteristiche fino alla risoluzione sentimentale dell’intreccio, quando Pat raggiungerà Tiffany in fuga dopo l’esibizione alla gara di ballo: il bacio fra i due avviene dopo una rapida transizione focale che rende velocemente nitido (anche) Pat mentre la ragazza gli si avvicina per dargli il tanto sospirato bacio risolutore. Forse l’amore per Russell non è altro che un complicato percorso per percepire la vita con maggiore nitidezza.

GGiampiero Frasca, Cineforum, n. 523, aprile 2013

 

 

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