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Nebraska - Scheda del film

 

 

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PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 27 novembre 2014 – Scheda n. 8 (929)

 

 

 

 

 

 

Nebraska

 

 

 

Regia: Alexander Payne

 

Sceneggiatura: Bob Nelson. Fotografia: Phedon Papamichael.

Musica: Mark Orton. Montaggio: Kevin Kent.

 

Interpreti: Bruce Dern (Woody Grant), Will Forte (David Grant),

June Squibb (Kate Grant), Bob Odenkirk (Ross Grant),

Stacy Keach (Ed Pegram), Mary Louise Wilson (la zia Martha),

Rance Howard (lo zio Ray), Tim Driscoll (Bart),

Devin Ratray (Cole).

 

Produzione: Blue Lake Media. Distribuzione: Lucky Red.

Origine: Usa, 2013. Durata: 115’.

 

 

Alexander Payne

 

 

Constantine Alexander Payne, nato a Omaha (Nebraska) nel 1961, è bi-laureato in storia e letteratura spagnola a Stanford e in regia all’Università di Los Angeles. Il suo esordio per il grande schermo arriva, insieme al suo futuro sceneggiatore di fiducia Jim Taylor, con il film realizzato come tesi per la scuola di cinema, Passion of Marty (1991). Del 1996 è il drammatico La storia di Ruth, seguito dal film che lo farà conoscere Election (1999), satira sociale, ironica e scolastica, politicamente molto scorretta. Ancora maggior successo tocca a A proposito di Schmidt (2002, visto al Cineforum), con Jack Nicholson. Sideways – In viaggio con Jack (2004) è un road movie di due amici, uno malinconico, l’altro sfrontato, lungo le vie del vino californiano, raccontato con felice simpatia. Dopo un episodio del film collettivo Paris, je t’aime, Payne dirige Paradiso amaro (2011, visto al Cineforum), storia hawaiana su un uomo di mezza età (Clooney) con la moglie in coma. Il suo film più recente è questo Nebraska, presentato in concorso a Cannes 2013, dove il protagonista Bruce Dern ha vinto il premio come miglior attore. Il film ha anche ottenuto sei candidature agli Oscar 2014, tra cui quella per il miglior regista.

Ecco qualche dichiarazione di Payne: «La scelta di girare il film in bianco e nero mi è da subito sembrata la via più giusta. D’altronde il bianco e nero ha lasciato il cinema per ragioni commerciali, non certo per motivi artistici. Per questa storia modesta e austera il bianco e nero era perfetto. Riguardo al tono agrodolce e malinconico che caratterizza le mie opere, sono stato attratto dallo humour e dalla malinconia della sceneggiatura. Mi piace questo stile perché è come la vita. Potrei dire in modo pretenzioso, che Nebraska è un film sull’era piuttosto deprimente che stiamo vivendo....

Con gli attori ho un mio modo di lavorare. Molte settimane prima di girare, usciamo e parliamo del film, di modo che quando poi siamo sul set il lavoro può semplicemente fluire...

Il centro del film è ovviamente il rapporto padre-figlio. Il figlio vuole offrire al suo anziano padre un momento di dignità. Questa è una questione a cui penso spesso perché i miei genitori stanno invecchiando e vorrei che lo facessero con assoluta dignità. La vecchiaia ci può sminuire. Dobbiamo tenere duro. La vicenda raccontata in Nebraska è centrata sulle emozioni, avrebbe funzionato solo se sorretta da interpretazioni naturalistiche, grazie ad attori disposti ad assumersi dei rischi. Anche i miei due genitori sono anziani. Conosco quello che prova David, il figlio del vecchio Woody. In più il film è ambientato nello stato del Nebraska, dove sono nato. Per molti versi questo racconto potrebbe essere ambientato in qualunque posto degli Stati Uniti, ma dato che si svolge in un luogo che conosco bene, mi ha dato modo di tirar fuori molti dettagli. Io sono di Omaha, che è più grande della cittadina da cui vengono i Grant, e così il film mi ha dato l’opportunità di esplorare un Nebraska rurale che ha per me qualcosa di quasi esotico. Certo i luoghi dove sono cresciuto e dove avevo girato i miei primi tre film, La storia di Ruth, donna americana, Election e A proposito di Schmidt, sono molto cambiati. Adesso ci sono lunghe file di cittadine decadenti con poche prospettive di sopravvivenza economica, ma che continuano ad alimentare quello stile di vita che un tempo definiva gli Stati Uniti nel loro insieme».

 

 

La critica

 

 

Girato in bianco e nero e nell’ampiezza del cinemascope, Nebraska ha il sapore del cinema classico, ma non ne è una ripetizione nostalgica. Alexander Payne e lo sceneggiatore Bob Nelson raccontano un’America di provincia sconfinata e piatta, che si direbbe ancora immersa negli anni Settanta. Lo fanno attraversandone il paesaggio e l’anima con un’ironia sarcastica che niente concede al rimpianto. Anzi, come accadrà al loro Woody Grant (Bruce Dern), sembrano volerne prendere congedo. Il vecchio Woody ha vinto un milione di dollari, o così crede dopo aver ricevuto una strana lettera. Deve solo andare a ritirarli a Lincoln, in Nebraska, a due giorni d’auto da Billings, la citta del Montana in cui vive da quarant’anni con la moglie Kate (June Squibb). Ma non ha più la patente. Non gli resta che mettersi per strada e camminare. Poco importa che ogni volta la polizia lo riporti indietro. Ostinato e di poche parole, sempre torna a incamminarsi. Se le gambe sono malferme, la meta è certa. Nella vita non ha combinato granché, e ora quel milione gli serve per comperarsi un furgone e un compressore, e per lasciare qualcosa ai figli Ross (Bob Odenkirk) e David (Will Forte). Alla fine, proprio David si convince a portarcelo con la sua vecchia Subaru, nel Nebraska. Sa che il padre si illude, ma sa anche quanto ne abbia bisogno, non tanto di vincere quanto di illudersi. Nebraska è un viaggio, in senso stretto e in senso lato. In compagnia del figlio, Woody attraversa iI grigio desolato del suo Paese, e anche quello del suo passato. Lungo la strada, i due fanno tappa nella minuscola città dove Woody è nato, e dove ritrova parenti, amici, memorie sbiadite e rancori sepolti nel tempo. Quanto a noi, in platea, impariamo a conoscerne le generosità lontane, gli amori, le delusioni. E soprattutto impariamo ad amarne la cocciutaggine silenziosa. È stato sconfitto dalla vita, il vecchio Woody. Meglio, ha perso una guerra che non ha voluto combattere. In fondo non se ne duole. Non ha molto da rimproverarsi, se non qualche bottiglia di troppo, e troppi amici interessati. Ma ha pur sempre una buona moglie e due buoni figli. Se riuscisse ad aggiungerci quel tale milione di dollari, potrebbe dire di non aver perso del tutto. Così la pensa anche David. E così la pensano Payne e Nelson. Basterà riaggiustare un

Po’ le cose, e Woody avrà il suo premio. E dopo? Dopo si lascerà il Nebraska alle spalle, senza curarsi che il passato torni a sprofondare nel tempo.

RRoberto Escobar, L’Espresso, 23 gennaio 2014

 

Dopo i recenti detour nella California del Nord e alle Hawai, Alexander Payne torna a casa con Nebraska, film plurinominato nella corsa all’Oscar. Letteralmente - è nato nello stato che dà il titolo al film (a Omaha) - e metaforicamente, perché in questo suo ultimo lavoro (il primo basato su una sceneggiatura originale e non scritto da lui) Payne ritrova il tocco graffiante di film come lo stesso Citizen Ruth, col quale aveva debuttato al Sundance come altri registi nella corsa alla statuetta, e Election che era andato scemando nella malinconia di Sideways e nel sentimentalismo di Paradiso amaro. Dietro allo scope in bianco e nero un po’ prezioso (la fotografia è del collaboratore abituale di Payne, Phedon Papamichael), che ricorda il Midwest anni ’50 di Bogdanovich in L’ultimo spettacolo, omaggio al neorealismo che Payne ama tanto, alle musiche caratteristiche troppo presenti e al finale ‘caruccio’, sta infatti un film per niente edulcorato o elegiaco. Un road movie che ha artigli affilati. Il filiforme, elettrico, attore dei golden sixties cormaniani Bruce Dern - nella cinquina degli Oscar per il miglior attore - è Woody Grant, un vecchio ex meccanico, probabilmente alcolizzato e con lo sguardo spento. Lo incontriamo mentre, camminando a fatica lungo una statale, abbandona i confini della città di Billings, in Montana, per andare a riscuotere il milione che dice di aver vinto in una lotteria del Nebraska, a circa 1.500 chilometri di distanza. Quando il figlio David (Will Forte, un ex del Saturday Night Live) lo va a recuperare alla stazione della polizia locale, il famoso certificato vincente della lotteria è chiaramente una di quelle pubblicità truffa che arrivano nella posta e promettono soldi se compri qualcosa. David cerca di spiegarglielo e la moglie di Woody, Kate (June Squibb, già con Payne in A proposito di Schmidt), impreca che è un buono a nulla e minaccia di farlo rinchiudere in un ospizio per vecchi. Ma lui riparte alla volta del premio. “Papà, ma cosa vuoi fare di un milione di dollari?”, gli chiede David quando lo intercetta nuovamente. “Un pick up nuovo fiammante e un compressore d’aria” (il suo lo ha prestato a un amico che non glielo ha mai reso) risponde lui, che non può più guidare e non lavora - la crudele misura di un ‘American dream’ nell’anno 2013. Perché Nebraska non è tanto, come ha scritto Scott Foundas su Variety, un film sul rimpianto nei confronti di un’America che non c’è più (rurale, semplice, idilliaca e altri stereotipi cari ai critici) ma un’istantanea del presente, che suggerisce tra l’altro che quell’idillio originale potrebbe anche non esserci mai stato. Abbandonato dalla fidanzata e incapace di distogliere il padre dal suo ridicolo proposito, David decide di accompagnarlo in Nebraska. Montana e Dakota scorrono magnifici e incontaminati fuori dai finestrini della loro Subaru Outback ma nessuna conversazione e nessun paesaggio distraggono Woody dal suo milione. Nemmeno il monte Rushmore – i grandi presidenti Usa scolpiti su una montagna – significa qualcosa: “Sembra che si siano stufati prima di finire di scolpirlo”. Quando Woody cade e si fa male alla testa, i due sono costretti a parcheggiarsi qualche giorno a Hawthorne, appena passato il confine del Nebraska, il paesino da dove viene tutta la famiglia. L’incidente di Woody crea l’occasione per un’inaspettata riunione...

GGiulia D’Agnolo Vallan, Il Manifesto, 24 gennaio 2014

 

 

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