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Solo gli amanti sopravvivono - Scheda del film

 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 22 gennaio 2015 – Scheda n. 14 (935)

 

 

 

 

 

Solo gli amanti sopravvivono

 

 

 

Titolo originale: Only Lovers Left Alive

 

Regia e sceneggiatura: Jim Jarmusch

 

Montaggio: Affonso Gonçalves. Fotografia: Yorick Le Saux.

Musica: Jozef van Wissem, sqürl [Carter Logan].

 

Interpreti: Tilda Swinton (Eve), Tom Hiddleston (Adam),

Anton Yelchin (Ian), Mia Wasikowska (Ava),

John Hurt (Marlowe), Jeffrey Wright (il dottor Watson),

Slimane Dazi (Bilal), Carter Logan (Scott),

Aurelie Thepaut (l’assistente di volo), Ali Amine (il tassista di Detroit),

Yasmine Hamdan (Yasmine), Marc Codsi (il suonatore di chitarra),

Hanane El Kami, Hamza Kadri (i giovani amanti marocchini).

 

Produzione: Recorded Picture Company.  Distribuzione: Movies Inspired.

Origine: Gran Bretagna, 2013. Durata: 123’.

 

 

Jim Jarmusch

 

 

Nato nel 1953 ad Akron, Ohio, Usa, Jim Jarmusch si trasferisce prima a Chicago dove studia giornalismo, poi a New York dove studia letteratura alla Columbia University. Scrive racconti e poesie, soggiorna nove mesi a Parigi per fare ricerche sui surrealisti, frequenta la famosa Cinémathèque, torna negli Usa, si iscrive alla Film School della New York University, fa l’assistente per il grande Nicholas Ray per Lampi sull’acqua (1980) e gira il suo primo film, Permanent Vacation (1980), come prova di laurea. Del 1984 è Stranger than Paradise, che ottiene un bel successo a Cannes dove vince la Caméra d’or per il miglior esordiente. Il film vince anche il Pardo d’oro al festival di Locarno. Nel 1985 Jarmusch è in giuria al festival di Salsomaggiore dove conosce l’altro giurato Roberto Benigni che fa recitare da protagonista in Daunbailò con Tom Waits e John Lurie. Del 1989 è Mystery Train. Del 1992 è Tassisti di notte. Molto bello è il western spiritualista Dead Man (1995). Bello il doc musicale Year of the Horse (1997), sul gruppo rock Crazy Horse, con Neil Young. Nel 1999 dirige un altro bel film, Ghost Dog – Il codice del samurai. Del 2003 è il film minimalista Coffee and Cigarettes. Broken Flowers (2005, presentato al Cineforum come parecchi altri film di Jarmusch) è un delizioso film con Bill Murray. Dopo il thriller inedito in Italia The Limits of Control (2009), nel 2013 presenta in concorso al Festival di Cannes questo  fantasioso, fantastico e riflessivo, acuminato e... incisivo Solo gli amanti sopravvivono.

Ecco qualche dichiarazione di Jarmusch: «Il mio film è una storia d’amore non convenzionale fra un uomo e una donna, Adam e Eve. La mia sceneggiatura è stata in parte ispirata dall’ultimo libro pubblicato da Mark Twain, I diari di Adamo e Eva, anche se non c’è in realtà altro riferimento al libro se non i nomi dei personaggi. Questi due amanti sono l’archetipo degli outsider, classicamente bohémien, estremamente intelligenti e sofisticati, eppure ancora in possesso dei loro istinti animali. Hanno percorso in lungo e in largo il mondo e vissuto diverse esperienze notevoli, sempre però restando nell’ombra, ai margini della società. Come la loro stessa storia d’amore, il loro sguardo non comune sulla storia umana copre interi secoli, dal momento che sono vampiri. Ma questa non è la solita storia di vampiri.

Ambientata a Tangeri e Detroit, città particolari, e quasi del tutto di notte, la storia di Adam e Eve è segnata dal bisogno di sangue umano per sopravvivere. Ora però vivono nel mondo del ventunesimo secolo, dove mordere al collo uno sconosciuto sarebbe avventato e da retrogradi. Per sopravvivere, devono essere certi che il sangue che li  sostenta sia puro, incontaminato e privo di malattie. E, quasi fossero ombre, hanno imparato da molto tempo a evitare prontamente l’attenzione delle autorità.

Per il mio film, il vampiro è una metafora ‘riflettente’, un modo per inquadrare meglio le mie intenzioni. Questa è una storia d’amore, ma anche la storia di due outsider d’eccezione che, dato il loro inusuale punto d’osservazione, hanno una visione molto vasta della storia naturale e umana, dai suoi risultati più sbalorditivi, ai fallimenti e alle tragedie. Adam e Eve sono loro stessi metafore dello stato attuale della vita umana, sono fragili e in pericolo, esposti alle forze della natura e al comportamento irresponsabile di chi detiene il potere».

 

 

La critica

 

 

Il trentatré giri, appunto, fa il suo dovere e gira su se stesso, e la macchina da presa lo inquadra in plongèe. Accanto, sdraiata, Tilda Swinton/Eve. C’è già nell’incipit tutto il film, come in un ologramma: un giro in tondo sulla rotta Tangeri/Detroit/Tangeri, Est/Ovest, con la musica a farla da padrona. L’uomo di Eve, infatti, ovviamente, è Adam, un musicista colto e sofisticato, e la coppia, nomen omen, assume il peso di una fine, non di un inizio, della razza umana. Sono vampiri, vivono in eterno, e la loro capacità di durare si scontra, nel film, con la decadenza inarrestabile del mondo fatiscente attorno a loro. L’atmosfera di decadimento non è certo una novità per Jim Jarmusch, come non lo sono i personaggi di marginali, il tema del vagabondaggio (nello spazio e, qui, anche nel tempo) e il ruolo centrale della musica come sublimazione e risarcimento simbolico di una precaria condizione esistenziale.

A sessant’anni suonati, JJ rimane un regista battagliero e ironico, amante del profumo della libertà e dell’indipendenza. Che puntualmente trasferisce sui suoi personaggi, quasi sempre individui marginali ed eccezionali, very stylish, staccati dal contesto, innamorati del loro isolamento e fieri della loro diversità. Personaggi che diventano metafora della condizione contemporanea dell’essere umano: fragili e costantemente in pericolo, Adam e Eve sono alla mercé delle forze della natura e in balia della miopia di coloro che detengono il potere. Personaggi rarefatti che vagano senza meta. JJ si diletta, da un po’ di tempo, nella oculata e personalissima rilettura dei generi: il road movie, il western, il film di gangster, il melodramma familiare, e ora anche l’horror. Comune a tutti questi è una dimensione tragico-profetica, di testimonianza stoica dello “stare al mondo” senza compromessi, nella fedeltà a se stessi. Da questo punto di vista, i vampiri del film si accomunano al killer dall’etica samurai di Ghost Dog oppure al contabile in viaggio nel West di Dead Man: outsider esistenzialisti, eroi fumettistico-mitologici dalla dimensione simbolica e sacrale, che lottano per sopravvivere a una società corrotta, mafiosa, inquinata dal denaro, grottesca, in sfacelo morale. La società del tardo capitalismo, un cancro che corrode tutto.

Nel film, Adam è chiaramente connesso col mondo del passato, che lui trova preferibile in ogni aspetto al presente: colleziona cose vecchie, ama la musica rétro. Eve lo sostiene in questa resistenza à rebours, e la macchina da presa di Jarmusch mostra di apprezzare questa disposizione d’animo, esaltando la loro bellezza fragile quasi in modo iconico, ad esempio inquadrandoli dall’alto nudi e addormentati, in una posa che rammenta le fotografie di Newton. Attorno ai due, si agita una fauna umano/vampiresca strepitosa, che allinea, come figurine di un tempo che fu e che mai più sarà, Christopher Marlowe e Fibonacci, il dottor Faust e il dottor Watson... Anche la scelta degli eroi del tempo è significativa. Nessuna speranza viene dai giovani, vedi l’inquietante sorella minore di Eve, totalmente fuori controllo, che viene da Los Angeles per mettere in crisi la coppia. E poi ci sono i luoghi, le città. Detroit, metropoli in sfacelo del sogno americano andato distrutto nella decadenza economica che ha polverizzato l’industria automobilistica. Tangeri, luogo di un altro sogno, quello dell’abbandono ai sensi e al misticismo, marcito e ormai solo morboso. Occidente e Oriente non sembrano offrire più alcuna via di uscita alla crisi che attanaglia l’uomo contemporaneo: l’unica possibilità offerta è quella del ritorno al passato, della nostalgia e, quando anche questa va in crisi, della pura sopravvivenza fisica, affidata all’approvvigionamento della risorsa indispensabile ai vampiri: il sangue.

Il rovesciamento è paradossale: come viene detto nel film, gli umani sono gli zombies, i vampiri sono i veri eredi di un’umanità perduta. Il capovolgimento è totale. Sono i vampiri i depositari rimasti e minacciati di un’idea di umanità che rischia di soccombere per sempre. Popolano i luoghi di un’alterità smarrita, i caffè da Mille e una notte di Tangeri, oppure le strade notturne di una Detroit spettrale. Come sempre, JJ non si fa certo mancare l’ironia, di cui è maestro fin dai tempi di Stranger than Paradise e Daunbailò, i suoi film più leggeri: uno humour nero e stralunato, bizzarro e paradossale. Simboleggiato, ad esempio, da quel ghiacciolo al gusto di O Negativo che potrebbe assurgere a brand, a marchio del film. Oppure, da quella parete ricoperta dei ritratti di Poe e Burroughs, Keaton e Marlowe. I vampiri, eleganti e bohémien, cercano spazi tenebrosi per salvarsi da un mondo impazzito. Vivono rinchiusi in spazi traboccanti di cultura, uniche enclaves rimaste della saggezza e della sapienza antica del mondo. Fuori, il Nulla. La morte di Marlowe ha un effetto scioccante su Adam e Eve. Per un attimo, sembra che l’intera stanchezza dell’Occidente si riversi su di loro, annichilendoli. La macchina da presa li inquadra mentre si appoggiano a un muro, definitivamente esausti. Ma entra la musica a offrire l’ennesima salvezza: le note che escono da un locale ridanno la vitalità perduta. Sangue giovane sta attendendo i due stanchi amanti, per rigenerarli una volta ancora. Il regalo di un prezioso mandolino di Eve a Adam, dopo che una introvabile Gibson del 1905 è andata distrutta, scuote l’uomo. Si ritorna in pista, ci si approvvigiona del sangue di due giovani amanti che si stanno baciando («Fa tanto XV secolo!»).

Insomma, pare che per Jarmusch il problema della sopravvivenza, nel mondo contemporaneo, sia ormai ridotta a una questione puramente fisica, animalesca, una faccenda di liquidi e secrezioni vitali. Bisogna ormai abbandonare ogni velleità di coltivare una storia e una tradizione culturale. Oppure il romanticismo di una relazione d’amore normale. Siamo tornati a un darwinismo assoluto, totale. La vita (eterna) è solo un fatto fisico, appunto. Gli amanti si adeguano e sopravvivono, nelle loro tenebre.

AAlberto Morsiani, Cineforum, n. 535, giugno 2014

 

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