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Scheda del film (175 Kb)
In grazia di Dio - Scheda del film

 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 5 marzo 2015 – Scheda n. 20 (941)

 

 

 

 

 

In grazia di Dio

 

 

 

Regia: Edoardo Winspeare.

 

Sceneggiatura: Edoardo Winspeare, Alessandro Valenti.

Fotografia: Michele D’Attanasio. Montaggio: Alberto Facchini.

Musica: Valentino Giannì.

 

Interpreti: Celeste Casciaro (Adele), Laura Licchetta (Ina),

Gustavo Caputo (Stefano), Anna Boccadamo (Salvatrice),

Barbara de Matteis (Maria Concetta), Amerigo Russo (Vito),

Angelico Ferrarese (Cosimo), Antonio Carluccio (Crocifisso).

 

Produzione: Saietta Film, Rai Cinema. Distribuzione: Good Films.

Durata: 127’. Origine: Italia, 2014.

 

 

Edoardo Winspeare

 

 

Nato in Austria, a Klagenfurt, nel 1965, Edoardo Winspeare rappresenta al meglio il nostro cinema meridionale, in particolare il cinema pugliese, ancor più in particolare il cinema del Salento, punta estrema della Puglia. Una cultura specifica e magnifica. Un luogo dove la crisi morde.

Edoardo Winspeare ha ascendenze nobiliari. Il padre Riccardo Winspeare Guicciardi e la madre Elisabetta del Lichtenstein appartengono a una famiglia originaria dello Yorkshire che anticamente si è spostata nel Regno di Napoli, a causa delle guerre di religione. Cresciuto a Depressa, piccola frazione di Tricase, Winspeare studia a Firenze, poi a New York (fotografia) e a Monaco di Baviera dove si diploma in regia alla famosa “Hochschule für Fernsehen und Film”. Fa l’assistente alla regia, l’operatore alla macchina, il montatore, il tecnico del suono, gira qualche corto come A Toilette’s Short Story e dei documentari.

Il debutto nel lungo arriva con Pizzicata (1996), storia ambientata nel 1943 quando un pilota italo-americano viene abbattuto dai tedeschi sopra il Salento e riscopre le proprie radici. Dopo questo bel film, Winspeare si dà alla musica e fonda la band Zoe. Torna al cinema con Sangue vivo (2002). Il “sangue vivo”, secondo le credenze popolari, è quello che scorre nelle vene di chi è stato morso dalla taranta, un temibile ragno. Ed è solo grazie a una particolare musica tambureggiante, tipica del Salento, la pizzicata, che i malati possono guarire. Il film successivo, Il miracolo, è del 2003, storia di un bambino dodicenne che dopo essere stato investito da un’auto pirata diventa un veggente. Dopo Galantuomini (2008) e dopo il documentario Sotto il Celio azzurro (2010), Winspeare gira questo In grazia di Dio, presentato al festival di Berlino.

Sentiamo Winspeare: «Il fallimento dell’impresa familiare e il pignoramento della casa non lascerà alle nostre eroine altra possibilità che trasferirsi in campagna e lavorare la terra. Sarà proprio questa scelta obbligata l’inizio di una catarsi che le porterà a riconsiderare il loro stile di vita e soprattutto le loro relazioni affettive.

La fatica di sopravvivere solo con i prodotti del lavoro dei campi le farà disperare di non farcela, soffrire per le difficoltà di una nuova quotidianità, provocherà una rottura quasi definitiva fra madre e figlia, ma alla fine permetterà alle nostre donne che una luce inaspettata squarci il buio della loro dura esistenza. Questa luce è la rivelazione delle cose fondamentali nella vita di un uomo: la bellezza del creato, la scoperta del bene, la meraviglia, la gratitudine di stare su questa Terra, il senso di comunità, la comprensione del dolore e anche del male, la soddisfazione per il proprio lavoro e sopra ogni cosa l’amore che ci lega ai nostri familiari come a tutti gli abitanti della Terra. Solo pochi fortunati riescono a vivere così, in particolare nel nostro mondo occidentale troppo distratto dallo sfruttamento - spesso distruzione - delle risorse, dalla produzione e dal consumo, per ricordarsi chi è l’uomo.

La salvezza potrebbe arrivare da un cambiamento radicale del nostro stile di vita attraverso una nuova consapevolezza del nostro essere su questo pianeta. La crisi economica diventa allora una grande opportunità per cambiare le cose, un ritorno alla terra, un buon modo di cominciare.

Gli attori sono del posto, facce che ancora esprimono un’anima. Le ho trovate nel Finis Terrae d’Italia, in un paese salentino che, con i suoi abitanti, diventa metafora del mondo. Perché ogni storia di esseri umani è al centro dell’universo».

 

 

La critica

 

 

Visioni. “In grazia di Dio”**** di Edoardo Winspeare. Troppo forte la concorrenza dei cinesi. Giù nel Salento, la fabbrichetta similveneta che confeziona abiti per le ditte settentrionali deve chiudere. I proprietari sono pieni di debiti, il fratello se ne va con la famiglia, le due sorelle decidono di tornare dalla madre nelle campagne. Una vorrebbe fare l’attrice. La figlia dell’altra è ribelle, superficiale, senza voglia di studiare, agitata e furiosa contro tutte.

Film di donne che, quando passano dalla cittadina e dalla fabbrica alla campagna e alla terra, portano dietro se stesse, difetti e pregi, rabbie, delusioni, fatiche e quel senso di dover comunque stare insieme. Cercare di vivere la vita, per male che vada.

Winspeare non bara, non crede in nessun miracolo ecologico: i pomodori, gli ulivi e i carciofi non è detto che cambino l’esistenza. Però, qualcosa possono fare.

Film che avanza claudicante: e anche questo è il suo bello. Film che non ricompone i pezzi: e anche questo è il suo bello. Film che non concede soluzioni banali: e anche questo è... Film che vive di una storia minimalista ma non inconsistente: e anche questo... Che guarda i suoi personaggi da una giusta e accorata distanza: e anche... Che vive di incertezze sbalestramenti ritorni attorcigliamenti: e... Di disarmonie tra le quattro donne e di armonie carsiche che affiorano di rado ma ogni tanto affiorano...

Attrici non professioniste, cioè donne come sono le donne quando sono così come sono queste. Film dove le imperfezioni sono perfette. Forse non è questa la grazia di Dio, ma potrebbe anche esserlo: per come, oltre ogni guaio (Equitalia!), oltre ogni sfuriata, al di là di tutti i disaccordi, si può stare insieme regredendo e progredendo insieme. Cinema che si lascia andare verso dove le cose stanno andando, che non si impone alle situazioni, che finisce per portarti dentro quella campagna, quella casa, quelle quattro donne, dentro un nuovo amore della nonna, le escandescenze della figliola, la resistenza attiva della madre.

Il Sud o, come si dice laggiù, il Zud: così com’è, con la z, allo stato di natura. L’essere scaraventati fuori, il togliersi di mezzo, il ricominciare da un’altra parte che è quella di cui non ci si ricordava più. E la serenità può essere – dopo la fine del film – il dono generoso della grazia. Serenità incerta, un po’ arcaica e un po’ pagana, lenta e zoppa, calda e sfrontata, semplice e viva. Nobilmente isolata e muliebre: ben aldilà della stupida modernità (anche quella degli addomesticati agriturismi).

Madre nonna figlia sorella nipote. Un gineceo vitale presente resistente esistente consistente.

BBruno Fornara, facebook, aprile 2014

 

Quattro donne diverse in tutto, unite non solo da legami di sangue. Un’azienda familiare che fallisce, strangolata dalla concorrenza e dalle finanziarie, costringendo tutte a trasferirsi in campagna e a reinventarsi una vita fatta di prodotti della terra e baratto. Lo splendore della natura nel Salento, così aspra e generosa, che sembra contenere una promessa di felicità. E al tempo stesso sfida le protagoniste a meritarsi quella felicità, a desiderarla davvero. A saperla riconoscere quando si presenta.

Secondo titolo italiano alla Berlinale, In grazia di Dio di Edoardo Winspeare è un film imperfetto quanto insinuante che suscita mille dubbi vedendolo ma resta dentro a lungo, dopo la proiezione, come accade spesso con i lavori di questo regista salentino di remote ascendenze anglosassoni, che qui torna al dialetto e ai toni aspri, esaltati dalla cornice fortemente ‘locale’ delle sue cose migliori (come Sangue vivo), dirigendo un sorprendente cast di non professionisti in cui spicca sua moglie, l’intensa Celeste Casciaro.

È lei, la volitiva Adele, bellezza segnata e fiera, il centro del film. Lei, madre e lavoratrice perennemente in tensione, severa con tutti a partire da se stessa, a non esser capace di lasciarsi andare al sentimento e capire chi ha vicino. Lei che non tollera la carnale sventatezza di Ina, quella figlia adolescente e ignorante, ma così libera e piena di vita da non sapere nemmeno chi l’abbia messa incinta (e sì che le basterebbe poco per riavvicinarsi e guidarla). Ed è sempre Adele che, stufa di dover pensare a tutto, compie un gesto vile e inspiegabile ai danni della più indifesa, la sorella che sogna di fare l’attrice. Intanto la madre delle due sorelle, vedova e ormai quasi anziana, la prima a trasferirsi in campagna, non a caso, sembra trovare un po’ di pace e perfino d’amore in quel vecchio fattore che le accoglie e le aiuta (forse la parte più risolta e felice del film: finalmente due amanti maturi, una figura non così comune sugli schermi in questi anni, a cui si crede con emozione e fino in fondo).

L’intenzione insomma è chiara, i conflitti tra le quattro protagoniste sono portati al calor bianco, il messaggio fin troppo sottolineato (l’ex marito di Adele, mascalzone ma con un cuore, si chiama Crocefisso, la nonna benevola Salvatrice...). E quando un antico compagno di scuola di Adele, da sempre innamorato di lei, riappare per corteggiarla goffamente e dare ripetizioni alla figlia scapestrata parlandole anche di Kierkegaard e dei tre stadi della vita - estetico, etico, religioso - viene quasi da sorridere. Eppure questo anomalo ‘western’ salentino, carico di simbolismi e insieme misteriosamente naturale, oltre che attraversato da echi quasi dostoevskiani, scava nello spettatore più dubbi che nei suoi stessi personaggi. E regala, come accade a volte col cinema di Olmi, momenti preziosi fatti dell’ingrediente oggi più raro. La semplicità.

FFabio Ferzetti, Il Messaggero, 12 febbraio 2014

 

 

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