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Giovedì 16 aprile 2015 – Scheda n. 26 (947)
Song’e Napule
Regia: Antonio e Marco Manetti
Sceneggiatura: Antonio e Marco Manetti, Michelangelo La Neve.
Fotografia: Francesca Amitrano. Montaggio: Federico Maria Maneschi.
Musica: Aldo De Scalzi, Pivio.
Interpreti: Alessandro Roja (Paco Stillo/Pino Dinamite),
Giampaolo Morelli (Lollo Love), Serena Rossi (Marianna),
Paolo Sassanelli (Commissario Cammarota), Carlo Buccirosso (Questore Vitali),
Peppe Servillo (Ciro Serracane), Antonio Pennarella (Ezio Sanguinella),
Juliet Esey Joseph (Giuletta), Antonello Cossia (Torrione),
Ciro Petrone (Pastetta).
Produzione: Devon Cinematografica. Distribuzione: Microcinema.
Durata: 114’. Origine: Italia, 2013.
I Manetti Bros
I fratelli Antonio e Marco Manetti sono i Manetti Bros, cioè Brothers. Un fenomeno unico nel cinema italiano. Non perché siano fratelli registi: ce ne sono altre di coppie di fratelli dietro la macchina da presa. Quanto perché hanno le radici nel cinema popolare e, potremmo dire, ‘etnico’, sprofondato dentro un luogo, Roma... Napoli..., e dentro i generi, l’horror, il poliziesco, il thriller.
Marco è nato nel 1968. Antonio, nel 1970. Tutti e due a Roma. Antonio ha studiato sceneggiatura, poi si è messo con il fratello Marco per la regia di alcuni spettacoli teatrali e per la realizzazione di videoclip musicali. Così si sono dati il nome di Manetti Bros. Il passo successivo è stata la regia televisiva, quindi il cinema e anche internet dove hanno realizzato una serie di mini episodi scaricabili dal titolo Scum – The Web Series. Provocatori nati, appassionati per i film di genere, patiti per le loro storie particolari: questo sono i Manetti Bros, sempre molto legati alla realtà italiana degli immigrati, dei clandestini, della piccola e grande criminalità.
Il loro esordio al cinema arriva con un episodio, Consegna a domicilio, del film horror collettivo De Generazione (1994). Poi dirigono la commedia Torino Boys (1997), storia di un gruppo di tifosi nigeriani del Torino in trasferta a Roma per una partita di Coppa Uefa. Girano quindi Zora la vampira (2000), il thriller Piano 17 (2004), la miniserie gialla L’ispettore Coliandro e i film tv della serie Crimini. Del 2012 sono L’arrivo di Wang e l’horror Paura 3D. Song ’e Napule è stato girato nel 2013.
Sentiamoli: «Questo film nasce da un’idea che Giampaolo Morelli ci ha raccontato qualche anno fa. L’abbiamo sottoposta a Luciano Martino, che ci ha creduto fin dalla prima volta che l’abbiamo raccontata, convincendoci che questo era il film che dovevamo fare dopo L’Arrivo di Wang e Paura 3D. Siamo fieri di aver diretto l’ultimo film dell’uomo che consideriamo il più grande produttore italiano, oltre che il nostro maestro. Un incontro e un connubio durato pochi anni, ma che per noi ha significato tutto, oltre ad averci dato quello di cui avevamo bisogno, qualcosa che nessuno prima di lui era riuscito a darci: una direzione. Con Song ’e Napule torniamo al genere che ci ha regalato più soddisfazioni, la commedia poliziesca.
Volevamo raccontare Napoli e il fenomeno, unico al mondo, dei cantanti neomelodici (di successo nella loro città e sconosciuti dopo pochi chilometri). Facendo il film poi ci siamo innamorati della città e abbiamo avuto la presunzione di tornare a raccontarla come oggi non si fa più, con il centro città, la sua bellezza e la sua unicità, come hanno fatto in passato Nanni Loy ed Ettore Scola».
La critica
Il poliziotto che non sa usare la pistola suona un pianoforte confiscato, ama la musica alta ma è costretto a mischiarsi con la famigerata sottocultura neomelodica: infiltrato nella band incaricata di allietare un matrimonio di camorra, deve scovare un latitante e finisce per scoprire l’altra faccia della munnezza. Napoli centro, Napoli bella, Napule è mille culture e i Manetti Bros. fanno da sempre magie con la tavolozza. Autori di un cinema che porta il loro indiscutibile marchio di fabbrica, capaci di rinnovarsi senza tradirsi nonché di spiazzare (e fidelizzare) il pubblico tv afferrando l’ossimorico divertimento intelligente, mirano con orgoglio all’intrattenimento popolare e firmano il loro capodopera a oggi. Complice l’idea folgorante di Giampaolo Morelli, irresistibile nei panni tamarri della star locale Lollo Love, uomo de’ core e bonaria cazzimma che (ri)conosce l’anima oltre gli ‘scarabocchi’ di uno spartito. Esponente numero 1 di una famiglia attoriale che può ambire alla factory (gli sbirri Paolo Sassanelli & Juliet Esey Joseph evocano personaggi ‘coliandreggianti’, le new entry Alessandro Roja & Serena Rossi sono azzeccatissime), combatte la malavita con l’arma suprema del grottesco e smonta lo stereotipo del cantante ‘ammanigliato’ puntando con disarmante sincerità a Sanremo. “Song’e Napule” è satira esilarante di corruzione & raccomandazione, esorcismo affettuoso dei tempi che corrono e corsa ritmicamente infallibile tra i generi.
CChiara Bruno, FilmTv, aprile 2014
Come tra l’uovo e la gallina, la disputa per la primogenitura tra genere e messa in scena si perde nella notte dei tempi. Almeno da quando la crisi del cinema e la disaffezione del pubblico hanno spinto alla ricerca di facili formulette per risolvere un problema troppo grande. Così, per qualcuno, l’unica soluzione sarebbe un ritorno massiccio al cinema di genere - giallo, horror, poliziesco - convinto in questo modo di poter ritrovare l’entusiasmo al botteghino degli anni in cui, per restare in Italia, dettavano legge i film mitologici e i western all’italiana, i poliziotteschi e le commediole sexy. Dimenticando magari che al box office “Nell'anno del Signore” umiliava “Tepepa”, “Ultimo tango a Parigi” batteva “Più forte ragazzi” e “Amici miei” doppiava “Profondo rosso”. E che, a partire dalla rinascita hollywoodiana degli anni Settanta, la vera ‘rivoluzione’ cinematografica è stata quella di trasformare l’autore-regista in una specie di genere cinematografico ad personam, per cui il nome Steven Spielberg era più importante (e più profittevole economicamente) di qualsiasi scelta narrativa. Allo stesso modo del nome di Kitano, di Scorsese e di Almodovar o, per il provinciale mercato nazionale, di Boldi/De Sica e di Zalone. Questo per spiegare che la bella sorpresa dell’ultimo film dei fratelli Manetti, “Song’e Napule”, non nasce certo dall’adozione di un’ottica di genere ma piuttosto dall’aver finalmente raggiunto una padronanza registica che ha fatto loro superare i limiti delle volonterose ma limitanti scelte di campo precedenti. I due registi, Antonio e Marco, restano fedeli a un investimento produttivo da serie B di buona qualità (qui il produttore è Luciano Martino, ‘l’inventore’ della Fenech, scomparso l’estate scorsa prima di poter vedere il film presentato al Festival di Roma), che li tiene lontani da certi volti noti del nostro cinema - ma anche dalle loro imposizioni e pretese -, epperò non li limita nel coinvolgere interpreti interessanti e spesso sorprendenti. Dove invece compiono un bel balzo in avanti è nell’articolare la sceneggiatura, firmata insieme a Michelangelo La Neve, che si libera da certe ambizioni ‘post moderne’ che finivano per appesantire inutilmente i film precedenti (qui ci sono solo un paio di inutili pallottole al ralenti) e dimostra invece di voler fare i conti solo con la coerenza narrativa e la capacità di coinvolgere lo spettatore. Protagonista del film è il poliziotto controvoglia Paco Stillo (Alessandro Roja), diplomato in pianoforte ma entrato tra le forze dell’ordine per disoccupazione e successiva raccomandazione (raccontata in un’esilarante scena prima dei titoli di testa, dominata da un magistrale Carlo Buccirosso nei panni del questore). Gli sarebbe toccata una vita da anonimo travet in divisa se le sue doti musicali non ne avessero fatto la persona perfetta da infiltrare nel complesso neomelodico di Lollo Love (Giampaolo Morelli), idolo delle teenager napoletane e per questo invitato al matrimonio della figlia di un boss, a cui dovrebbe partecipare anche l’imprendibile e misterioso Ciro Serracane. Nessuno sa che faccia abbia, nemmeno il coriaceo commissario Cammarota (Paolo Sassanelli) che spera appunto con il suo agente infiltrato di identificarlo - sa che gli manca una falange al dito medio - per poi arrestarlo. A far la differenza con le troppe serie televisive sullo stesso argomento, entra in gioco la totale inefficienza dell’agente Stillo, che per l’occasione si è ribattezzato Pino Dinamite, imbranato con le armi ma nemmeno troppo a suo agio con l’universo neomelodico (e neotamarro) di Lollo Love, che per giunta ha una sorella (Serena Rossi) di cui si innamora immediatamente. In questo modo la struttura del poliziesco si stempera nei toni della commedia farsesca, complicata da una serie di equivoci che aumentano man mano che ci si avvicina alla data del matrimonio (e del riconoscimento). Alcuni elementi di genere rimangono, a cominciare dalla durezza professionale del commissario, ma stemperati dall’ironia più o meno involontaria del protagonista diventano un ulteriore momento di divertimento, con l’eroe-suo-malgrado Stillo trascinato dentro a situazioni più grandi di lui. Proprio come i “soliti ignoti” di Monicelli o i “mostri” di Risi. Certo, non tutto funziona alla perfezione e le fasi finali sono più concitate che davvero convincenti (abbiamo visto inseguimenti in auto ben più realistici) ma alla fine la simpatia degli attori - i due protagonisti, Roja e Morelli, ma anche i comprimari di lusso Sassanelli e Buccirosso e il ‘misterioso’ Peppe Servillo – la vince su tutto. E ti sembra di aver finalmente trovato quel tipo di cinema artigianale e piacevole che non entrerà negli annali della storia ma che può costituire la struttura portante di una industria produttiva forse meno altisonante ma certamente più popolare e dinamica.
PPaolo Mereghetti, Il Corriere della Sera, 5 aprile 2014
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