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L'ordine delle cose - Scheda del film

 

 

 
 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE

S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna


PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO

Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS
 

 

 

Giovedì 22 novembre 2018 – Scheda n. 6 (1035)

 

 

 

 

 

L'ordine delle cose

 

 

 

Regia: Andrea Segre

 

Sceneggiatura: Marco Pettenello, Andrea Segre

Fotografia: Valerio Azzali. Musica: Sergio Marchesini.

 

Interpreti: Paolo Pierobon (Corrado Rinaldi),

Giuseppe Battiston (Luigi Coiazzi), Valentina Carnelutti (Cristina, moglie di Corrado),

Olivier Rabourdin (Gérard), Roberto Citran (Grigoletto),

Fabrizio Ferracane (Terranova).

 

Produzione: Jolefilm. Distribuzione: Parthénos.

Durata: 112’. Origine: Italia, 2017.

 

 

Andrea Segre

 

 

Nato a Dolo (Venezia) nel 1976, Andrea Segre ha cominciato con il documentario. Ne nominiamo solo alcuni dei tanti che ha girato: Lo sterminio dei popoli zingari (1998), Ka Drita? (2001), Pescatori a Chioggia (2001), Dio era un musicista, sull’Africa (2005). È sempre stato molto attento ai problemi del suo territorio veneto: Marghera Canale Nord e La mal’ombra. Ha studiato sociologia della comunicazione con un interesse particolare per i temi delle migrazioni verso l’Europa: A sud di Lampedusa (2006), Come un uomo sulla terra (2008), Il sangue verde (2010), Mare chiuso (2012). Il suo primo lungometraggio di finzione è Io sono Li, (2011) presentato in numerosi festival (e anche al nostro cineforum) e premiato con molti riconoscimenti, come il Premio LUX 2012 del Parlamento Europeo. Del 2013 è il doc Indebito, scritto con Vinicio Capossela. Sempre del 2013 è il suo secondo lungometraggio La prima neve, presentato a Venezia. Nel 2014 dirige Come il peso dell’acqua, nell’anniversario della strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013. Nel 2015 il suo doc I sogni del lago salato è al festival di Locarno. Questo L’ordine delle cose è stato presentato a Venezia.

Ascoltiamo Andrea Segre: «Quando tre anni fa ho iniziato a lavorare a questo film non sapevo che le vicende tra Italia e Libia sarebbero andate proprio come le abbiamo raccontate, ma purtroppo lo immaginavo. Per molti mesi ho incontrato insieme a Marco Pettenello alcuni “veri Corrado” e parlando con loro ho intuito che l’Italia si apprestava ad avviare respingimenti di migranti nei centri di detenzione libica. Nessuno lo diceva pubblicamente, ma ora che il film esce è tutto alla luce del sole. Mi auguro che il film aiuti a riflettere su cosa stiamo vivendo in questi giorni e sulle lunghe conseguenze che vivremo ancora per anni. Infatti credo che quella di Corrado sia la condizione di molti di noi in quest’epoca che sembra aver metabolizzato l’ingiustizia. La tensione tra Europa e immigrazione sta mettendo in discussione l’identità stessa dell’Europa. Corrado e la sua storia raccontano questa crisi di identità. Ho cercato in lui, nel suo ordine e nella sua tensione emotiva, quelle della nostra civiltà e del nostro tempo. Sappiamo bene quanto stiamo abdicando ai nostri principi negando diritti e libertà a essere umani fuori dal nostro spazio, ma proviamo a non dircelo o addirittura a esserne fieri. È questa crisi che mi ha guidato eticamente ed esteticamente nel raccontare il mondo di Corrado, un mondo tanto rassicurante quanto inquietante».

 

 

La critica

 

 

Gli avvenimenti delle ultime settimane hanno reso ancor più attuale il film di Andrea Segre, ‘recuperato’ come evento speciale dalla selezione veneziana. Per fortuna: perché si tratta di un film bello e importante, che parla di migranti, profughi e hotspot in maniera precisa, emozionante, senza retorica e senza colpi bassi, costruendo sapientemente una vicenda ma dimostrando soprattutto che, al di là della cronaca, il cinema di finzione può avere i mezzi per andare in profondità, per cercare il filo di un discorso intrecciando vicende individuali e collettive. Il fatto è che il progetto del film nasce anche da un lavoro pluriennale del regista in quello che si chiama ‘documentario partecipato’: un’esperienza di lavoro video in cui sono i migranti medesimi a raccontarsi in prima persona. Segre l’ha seguita con l’associazione ZaLab di Roma e da lì ha tratto i riferimenti e il metodo per L’ordine delle cose. Non solo perché ha preso spunto dai racconti in prima persona, ma anche perché, dice, “le comparse che si vedono nel film sono veri rifugiati che hanno vissuto quell’esperienza, e sono stati selezionati non con un casting tradizionale ma attraverso una rete di soggetti attivi nell’accoglienza e si è fatto in modo che fossero coinvolti in prima persona e ci aiutassero”. Per questo motivo, nelle scene ambientate nel centro di accoglienza libico, il regista ha lavorato con due videocamere, lasciandone una libera di seguire gli avvenimenti alla maniera del documentario. Ma anche il soggetto prende spunto da testimonianze dirette, seppure dall’altro fronte. Protagonista è Corrado, funzionario del Viminale mandato dal ministero in Libia perché cooperi con le autorità e i centri locali per bloccare il più possibile l’afflusso, dall’altra parte del mare. Aiutarli a casa loro, insomma: il che, nello specifico, significa stringere contatti con un losco potente locale, che accoglie profughi provenienti da varie parti dell’Africa, li blocca ed eventualmente, dietro congruo pagamento, li rilascia e li fa proseguire (a interpretarlo è un’altra figura che è stata un riferimento per il film, il giornalista libico Khalifa Abo Kraisse). Il problema è che Corrado entra in contatto con una donna somala che gli consegna qualcosa da portare in Italia e da lì l’uomo s’incuriosisce e comincia a conoscerla a distanza, trovandosi diviso tra il dovere di solerte funzionario, e l’impulso ad aiutare un essere umano secondo coscienza. “I molti Corrado che abbiamo incontrato” racconta Segre “ci hanno ripetuto che la regola numero uno, la cosa principale per riuscire a fare il loro lavoro, è proprio non estrarre dai numeri la persona, rimuovere il fatto che si tratta di singoli esseri umani. Insomma, evitare di incontrare l’altro. Che è curiosamente il contrario di quel che deve fare di solito un poliziotto, cioè mettersi nei panni dell’altro, ragionare col cervello dell’avversario. Perché in questo caso, si tratta di un falso avversario, e loro lo sanno. Questa situazione psicologica ha fatto scattare l’idea del film”. Segre aveva già raccontato personaggi di immigrati in due lungometraggi di finzione, Io sono Li e La prima neve, ma questo è il suo film migliore. La morale non è consolatoria, i dilemmi e il contesto vengono spiegati in maniera non semplicistica. Il protagonista, ben interpretato da Paolo Pierobon, i suoi andirivieni con la Libia (ricostruita per lo più in Sicilia e in parte in Tunisia), sono raccontati con credibilità, e la regia rende visibile la sua crisi personale inserendolo in inquadrature eleganti, composte, che vengono poi incrinate leggermente con l’uso della macchina a mano. Come accompagnando il vacillare del protagonista e delle sue certezze.

EEmilano Morreale, La Repubblica, 1 settembre 2017

 

È un uomo perbene, il Corrado Rinaldi di L’ordine delle cose. Campione di spada in gioventù, oggi è un alto funzionario del Ministero degli Interni, un poliziotto, come si definisce con orgoglio. Ha una moglie, due figli e una bella casa, pulita e ordinata al pari di tutta la sua vita. Gli è capitato di eccedere nel proprio mestiere - lo confessa alla figlia, con dolore -, ma non se ne fa un vanto, e ancora ne porta il cruccio. È un uomo perbene, appunto. Come tale, a suo tempo ha combattuto la camorra, e ora si occupa dei migranti che vengono dalla Libia. Andrea Segre e il suo cosceneggiatore Marco Pettenello ‘vedono’ il loro film attraverso lo sguardo del poliziotto, nel senso che non sovrappongono alla sua prospettiva (anche) morale la propria. Non ci sono pregiudizi, nella narrazione che ci porta da Padova e da Roma a Tripoli, e poi di nuovo a Roma e a Padova. Alla fine non ci sono neppure giudizi dichiarati, per lasciar posto invece a quelli che gli spettatori eventualmente formuleranno, così come il poliziotto formula il proprio. La missione di Rinaldi è complessa. Un sottosegretario si attende da lui ‘fatti notiziabili’ nella vicenda dei migranti che dalle coste libiche iniziano il loro viaggio della speranza verso l’Europa. Per quanto lessicalmente barbarico, è l’aggettivo che qui conta. I fatti devono poter diventare notizie, devono cioè poter essere usati dal ministro per tranquillizzare l’opinione pubblica. E in che cosa possono consistere, questi fatti, se non nel blocco del traffico dei cosiddetti scafisti? Giunto in Libia, il poliziotto deve trattare con un paio dei molti capi che lì si dividono il potere. Uno comanda la guardia costiera a Tripoli, l’altro controlla il territorio in cui sono ‘raccolti’ i migranti. (...) Rinaldi è un uomo perbene. Non si nasconde che i migranti continueranno a subire violenze e soprusi, e a morire. Ma sa che tutto avverrà in Libia, e che l’ordine delle cose in Italia sarà salvo. Questo è il suo mestiere, si dice, questo è il suo dovere. D’altra parte, in quanto uomo perbene, sulla propria strada incontra un ostacolo, un inciampo. Fra i migranti in un centro di raccolta, Swada gli chiede aiuto. Tutti ne hanno bisogno, ma lei lo ha chiesto proprio a lui, per raggiungere il marito in Finlandia. E a lui capita di vederla davvero, la giovane donna che viene dal Corno d’Africa. La vede per quello che è, un individuo, questo individuo con paure e speranze, non un numero in una massa. La sua storia non è notiziabile, ma è tanto vicina, tanto calda, che se ne lascia coinvolgere. Si possono abbandonare migliaia di esseri umani al loro destino, ma è difficile farlo per uno, se lo si guarda in faccia. Oltre che perbene, Rinaldi è un uomo d’ordine - lo è anche per gli oggetti che stanno sulla sua scrivania -, e Swada lo contraddice, quell’ordine. Forse potrebbe aiutarla, lei fra tutti gli altri. Certe cose non si potrebbero fare, ma alla fine si possono fare. Basterebbe accettare il rischio, per sé e per i fatti notiziabili del ministro. Il film si chiude sulla bella casa di Rinaldi, vista nell’ombra della sera attraverso le sue grandi finestre, piena di luce e ordine. Ha giudicato e ha scelto, da uomo perbene. Ora tocca a noi. Anche a noi, uomini e donne perbene, Segre e Pettenello chiedono di giudicare e scegliere.

RRoberto Escobar, Il Sole 24 Ore, 17 settembre 2017

 

 

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di Robert Guédiguian

 

 

 

Una bellissima storia di uomini e donne superati dalla storia, andata in un’altra direzione. E che però vogliono ancora credere e fare. Si sono ritirati nella calanque, la piccola baia tra le scogliere, vicino a Marsiglia. I due fratelli e la sorella. Il vecchio padre. Una tragedia li ossessiona. Due vicini di casa. E Joseph e la sua fidanzata. E poi arrivano gli altri: chi? Durata: 107’.

 

 

 

 

Giovedì 29 novembre, ore 21

 

Cinema Sociale di Omegna

 

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