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Dogman - Scheda del film

 

 

 
 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE

S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna


PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO

Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS
 

 

 

Giovedì 6 dicembre 2018 – Scheda n. 8 (1037)

 

 

 

 

 

Dogman

 

 

 

Regia: Matteo Garrone

 

Sceneggiatura: Ugo Chiti, Massimo Gaudioso, Matteo Garrone.

Fotografia: Nicolaj Bruel. Musica: Michele Braga.

 

Interpreti: Marcello Fonte (Marcello), Edoardo Pesce (Simoncino),

Nunzia Schiano (la madre di Simoncino), Adamo Dionisi (Franco),

Francesco Acquaroli (Francesco).

 

Produzione: Archimede Film. Distribuzione: 01 Distribution.

Durata: 120’. Origine: Italia, 2018.

 

 

Matteo Garrone

 

 

Nato a Roma nel 1968, Matteo Garrone cresce in una famiglia ben introdotta nell’ambiente dello spettacolo. Il padre è critico teatrale, la madre una fotografa. Negli anni della scuola, Matteo pratica il tennis e potrebbe avere una carriera davanti ma un grave infortunio lo blocca. Dopo il liceo artistico lavora come aiuto operatore e si dedica alla pittura. Poi, nel 1996, con il corto Silhouette vince il Festival Sacher organizzato da Nanni Moretti e si dà al cinema. Del 1997 è il suo primo lungo, Terra di mezzo, con tre storie di immigrazione in una Roma impersonale. Il film vince il premio speciale della giuria al festival Cinemagiovani di Torino. Sempre nel 1997 gira, a New York, il documentario Bienvenido Espirito Santo. Nel 1998, gira il corto Un caso di forza maggiore e poi il doc Oreste Pipolo, fotografo di matrimoni e il suo secondo lungo, Ospiti. Del 2000 è il terzo lungo, Estate romana, presentato a Venezia, una storia di finzione raccontata con le modalità del documentario. Arriva il 2002 e con L’imbalsamatore, presentato a Cannes, Garrone diventa regista completo e ammirato. Una storia nera, niente abbellimenti formali, solo l’essenziale. Stessa forza in Primo amore (2003) e in Gomorra (2008) dal bestseller sulla camorra e la criminalità napoletana di Roberto Saviano. Gomorra vince il Gran Premio al Festival di Cannes e molti David di Donatello. Garrone torna a Cannes nel 2012 con Reality che si aggiudica il Gran Premio della Giuria. Più discusso il film successivo, il fantastico Tale of Tales - Il racconto dei racconti (2015). Infine arriva questo Dogman, liberamente ispirato alla storia del Canaro della Magliana. A Cannes, l’attore protagonista, Marcello Fonte, vince il premio per la migliore interpretazione maschile.

Sentiamo Garrone: «Dogman è un film che si ispira liberamente ad un fatto di cronaca nera accaduto trent’anni fa, ma che non vuole in alcun modo ricostruire i fatti come si dice che siano avvenuti. Ho iniziato a lavorare alla sceneggiatura dodici anni fa: nel corso del tempo l’ho ripresa in mano tante volte, cercando di adattarla ai miei cambiamenti. Finalmente, un anno fa, l’incontro con il protagonista del film, Marcello Fonte, con la sua umanità, ha chiarito dentro di me come affrontare una materia così cupa e violenta, e il personaggio che volevo raccontare: un uomo che, nel tentativo di riscattarsi dopo una vita di umiliazioni, si illude di aver liberato non solo se stesso, ma anche il proprio quartiere e forse persino il mondo. Che invece rimane sempre uguale, e quasi indifferente».

 

 

La critica

 

 

C’è qualcosa di irresistibile nella storia del Canaro della Magliana. Qualcosa che trascende il puro fatto di cronaca e anche i dettagli più scabrosi della vicenda (benché questi ultimi abbiano sempre attratto in maniera morbosa l’opinione pubblica). Qualcosa che ha a che fare con l’universale, l’atavico, l’ancestrale. E che è molto di più dell’eterno conflitto tra il forte e il debole, il prepotente e il sottomesso o il bullo e il perseguitato. La storia di Pietro De Negri, detto er Canaro, proprietario di un negozio di toelettatura per cani alla Magliana è nota: nel febbraio del 1988 stufo delle continue vessazioni e umiliazioni subite per mano di Giancarlo Ricci – ex pugile e piccolo delinquente della periferia romana – De Negri rinchiuse Ricci in una gabbia per cani sul retro del suo negozio e lo uccise senza pietà. Agli investigatori e ai magistrati che lo interrogarono l’uomo raccontò di aver inflitto alla propria vittima – in preda al delirio e alla cocaina – una serie di indicibili torture prima di ammazzarlo. Le indagini tuttavia appurarono che una gran parte del racconto del Canaro era stato frutto di fantasia e che soprattutto le mutilazioni (effettivamente riscontrate sul cadavere di Ricci), furono inflitte post mortem e non, come sosteneva De Negri, durante le fasi della tortura. Matteo Garrone ha studiato per dodici anni la vicenda; come tutti quelli che ne hanno letto, sentito parlare o se la ricordano, ne è stato attratto in maniera profonda e Dogman è prima di tutto il risultato di questa suggestione. Il film però – che si svolge ai giorni nostri – non è affatto un reenactment (ricostruzione, rievocazione) e non nasce dall’intenzione di raccontare la storia del Canaro così come tg, giornali e reportage televisivi l’hanno ripercorsa e messa in scena già molte volte nel corso degli anni. Il cinema del regista romano si concentra sulle sfumature, sulla genesi della vendetta e di come essa diventi non tanto una catarsi inevitabile o necessaria, quanto più un tentativo di redenzione (per quanto illusorio). Come in passato Garrone si concentra su volti e corpi dei personaggi e il suo Canaro (che nel film si chiama Marcello) ha il viso gentile e «antico» (come dice il regista stesso) di Marcello Fonte. Minuto e segaligno Marcello è inoffensivo per condizione antropologica: di fronte all’imponenza e alla stazza di Simoncino (il Ricci della finzione) si fa ancora più piccolo e impotente, si trova schiacciato come un insetto sotto la suola di una scarpa. Garrone insiste a più riprese su questa disomogeneità fisica e ci mostra i due quasi sempre in campo insieme oppure, nei controcampi, inquadrati alla stessa distanza. Proprio per sottolineare la differenza con cui occupano lo spazio, lo abitano e si relazionano ad esso. In nessun momento si è portati a pensare che Marcello possa essere una minaccia per Simoncino: è l’ontologia stessa dell’evoluzione, dell’esistenza e della storia dell’uomo a smentire una simile eventualità. Anche perché Marcello è sensibile, mite – molto diverso sia dal vero Canaro che da Giovanni Vivaldi, il Borghese piccolo piccolo monicelliano con cui molti hanno letto un’affinità –, un uomo tranquillo. Ama i cani Marcello – testimoni involontari della bestialità umana e che nel film sono una sorta di emblema dell’insopprimibilità dell’istinto –, ama il suo lavoro e ama la figlia. Ma non ama se stesso. Sì, perché Dogman prima che di vendetta, e quindi dei rapporti con gli altri, descrive la relazione con la soggettività, come siamo fatti e non vorremmo essere. Marcello è la parte di noi che emerge quando non siamo capaci di dire «no», quando rinunciamo consapevolmente a compiere una scelta giusta o non riusciamo a rispettarci per quello che facciamo, per come pensiamo o agiamo. E in ultima analisi l’esasperazione di Marcello nasce per la presa di coscienza del proprio essere, non per le umiliazioni subite da Simone. Non è (solo) la perdita del rispetto da parte degli amici, della moglie o financo della figlioletta a scatenare la violenza. Ma del rispetto per se stesso. E allora sì che il Canaro si trasforma in quella minaccia che – per natura e conformazione fisica – non era mai potuto essere. Ma la brutalità che esplode nel finale è ancora più cruda, cieca e senza speranza per via del fatto che esiste e risiede unicamente nello spazio della sua durata. Una volta esauritasi dà esito soltanto a una sconfitta ancora più dolorosa. Ma non c’è alcuna morale, e soprattutto nessun moralismo, in questa risoluzione. Quando nelle scene conclusive del film – dove di nuovo sono i corpi a parlare più di tutto il resto – Marcello si porta sulle spalle il cadavere di Simoncino cercando qualcuno da cui farsi notare mentre regge quel corpo immenso, greve e opprimente, si accorge che nessuno lo nota, nessuno si accorge di lui, che la sua vendetta, appunto, non ha nulla di catartico o di necessario. Ma anche che il suo trofeo è solo un fardello troppo pesante da esibire e sopportare. E che lo affanna e lo schiaccia. Proprio come un insetto sotto la suola di una scarpa.

LLorenzo Rossi, cineforum.it, 17 maggio 2018

 

Un personaggio che perde la sua innocenza e un regista che ce lo racconta con tutto l’amore possibile. Non comprensione, che implicherebbe un qualche tipo di ‘complicità’, ma amore, affetto, partecipazione. Dogman, il nuovo film di Matteo Garrone presentato ieri a Cannes in concorso, oscilla tra questi due poli e da loro trae la sua straordinaria forza emotiva e visiva, storia di un uomo trascinato in un ingranaggio mortifero di sopraffazione e che di questa discesa ai limiti dell’incolpevolezza finisce per farsi carico. Come un povero cristo laico e sprovvisto di santità. Lo spunto viene della cronaca, quella del ‘canaro della Magliana’, ma sbaglierebbe chi ne aspettasse gli aspetti più trucidi e crudeli. Altro interessa a Garrone ed è piuttosto la solitudine di un uomo, Marcello, mite anche se costretto a vivere in un mondo dove la sopraffazione e la forza sembrano sempre vincere. La sua mitezza si rivela nel rapporto con la figlia Alida che ogni tanto viene a trovare il padre separato: insieme si regalano escursioni solitarie sott’acqua, lontani e come protetti dalle brutture del mondo. Con cui però Marcello deve fare i conti per il resto della sua vita. Evidente che si trovi meglio con gli animali, come i cani che lava e custodisce e con cui arriva a dividere anche il cibo (una delle piccole scene con cui Garrone sa sintetizzare l’umanità e insieme il degrado del suo personaggio). Gli uomini sono più aggressivi, più ostici, a cominciare dall’amico e complice Simoncino, specie di energumeno che impone a Marcello le sue scelte e lo trascina in furti e altre illegalità, a cui però il ‘canaro’ resta attaccato come a un fratello maggiore, protettivo e spavaldo (...).

PPaolo Mereghetti, Il Corriere della Sera, 17 maggio 2018

 

 

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Film potente e premiatissimo, grande sceneggiatura, regia secca, due Oscar, tre interpreti eccezionali: lei, Frances McDormand, lo sceriffo Woody Harrelson, il poliziotto Sam Rockwell. Tragica e comica la vita nel Midwest...

Durata: 121’.

 

 

Giovedì 13 dicembre, ore 21

 

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