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Scheda del film (184 Kb)
I villeggianti - Scheda del film

 

 

 
 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE

S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna


PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO

Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS
 

 

 

Giovedì 5 dicembre 2019 – Scheda n. 8 (1064)

 

 

 

 

I villeggianti

 

 

Titolo originale: Les Estivants

 

Regia: Valeria Bruni Tedeschi

 

Sceneggiatura: Valeria Bruni Tedeschi,

Agnès De Sacy, Noémie Lvovsky, Caroline Deruas.

Fotografia: Jeanne Lapoirie. Musica: Philippe Miller.

 

Interpreti: Valeria Bruni Tedeschi (Anna), Pierre Arditi (Jean),

Valeria Golino (Elena), Bruno Raffaelli (Bruno),

Noémie Lvovsky (Nathalie), Yolande Moreau (Jacqueline),

Vincent Pérez (Jonathan Dickinson), Laurent Stocker (Stanislas),

Riccardo Scamarcio (Luca), Marisa Borini (Louisa),

Xavier Beauvois (il produttore), Oumy Bruni Garrel (Célia).

 

Produzione: Ad Vitam, Agat Films & Cie - Ex Nihilo, BiBi Film Tv, Rai Cinema,

France 3 Cinéma, Canal+, Ciné+.

Distribuzione: Lucky Red.

Durata: 125’. Origine: Italia, Francia, 2018.

 

 

Valeria Bruni Tedeschi

 

 

Nata a Torino nel 1964, Valeria Bruni Tedeschi, attrice e regista, ha vissuto tra Italia e Francia. La sua famiglia era proprietaria della CEAT, azienda di pneumatici, venduta alla Pirelli dal padre Alberto Bruni Tedeschi, conosciuto compositore di musica colta. La madre, Marisa Borini, è una pianista, i suoi erano di Agrano, adesso fa l’attrice nei film della figlia (c’è anche in questo film nella parte di Louisa). La sorella è la celebre Carla Bruni, cantante e moglie dell’ex premier francese Nicolas Sarkozy. Valeria Bruni Tedeschi ha vinto numerosi premi come attrice: quattro David di Donatello come migliore protagonista per La seconda volta (1996), La parola amore esiste (1998), Il capitale umano (2014) e La pazza gioia (2017); in Francia ha vinto un César. La famiglia si trasferì da Torino a Parigi, per timore di rapimenti ai tempi delle Brigate Rosse. Ha frequentato corsi di teatro, ha poi interpretato numerosissimi film. Ne citiamo qualcuno: L’uomo che ha perduto la sua ombra di Alain Tanner (1991), La Regina Margot di Chéreau (1994), Le coeur fantôme di Philippe Garrel (1996), Il colore della menzogna di Claude Chabrol (1998), La balia di Marco Bellocchio (1999), Munich di Steven Spielberg (2005), Il capitale umano di Paolo Virzì (2014). Nel 2003 ha esordito nella regia con È più facile per un cammello..., film largamente autobiografico (come quasi tutti i suoi film da regista). Del 2006 è Attrici. Del 2009 è Baciami ancora. Del 2013 è Un castello in Italia, presentato a Cannes. Questo I villeggianti è stato presentato a Venezia nel 2018.

Sentiamo la regista: «Da quando sono nata trascorro tutte le mie vacanze in una grande e bella proprietà in Costa Azzurra. È un luogo che sembra fuori dal tempo, protetto dal mondo esterno. Un giorno mio fratello mi ha mostrato un filmino in super 8 girato dagli ex proprietari sulla terrazza della casa. Si vedono delle persone, dei bambini che vanno in triciclo, che giocano con un cane, adulti che si fanno degli scherzi, si spruzzano con l’acqua, camminano in equilibrio sul bordo di una fontana. Le stagioni e gli anni passano, diverse date appaiono sullo schermo in basso a destra, il film copre diversi decenni. Le generazioni si succedono, i bambini crescono, alcune persone spariscono, appaiono dei bebè. Ma la vita sulla terrazza sembra sempre la stessa: bambini che corrono, adulti che li sgridano, mangiano, fanno gli scemi, ridono. Ad un certo punto si scorge in lontananza, nel mare, la cima di un sottomarino che avanza. Allora viene in mente il mondo, la storia che scorre lontano da questa casa.

Anche noi vivevamo in quella casa con l’illusione di sfuggire al mondo e al trascorrere del tempo. Tutto è là, immutabile, mentre gli anni passano. E la storia resta sullo sfondo. Mi piaceva raccontare la vita di un gruppo di persone in quella casa, la famiglia dei proprietari, gli amici e i domestici, la solitudine che prova ciascuno nonostante si trovi insieme ad altri, i rapporti di forza, le paure, la vergogna, la ribellione, i desideri, gli amori...

Avere o no il diritto di scrivere della nostra vita, delle persone che ne fanno parte, il dolore che questo potrebbe causare loro: questo dubbio è per me fonte di passione e allo stesso tempo di dolore. Quando scrivo ho bisogno e ho voglia di lavorare a partire da una realtà vicina, che conosco. Ma lavorare su un materiale autobiografico implica non poter essere gentili con se stessi e con i propri cari. Per comprenderli meglio, per amarli di più, devo sentirmi libera di maltrattarli. I personaggi ai quali osiamo guardare con crudeltà sono molto più umani, più teneri e suscitano maggiore empatia di quelli che cerchiamo di proteggere...

Fin dall’inizio sono stata ispirata da due pièce teatrali: “La trilogia della villeggiatura” di Goldoni e “I villeggianti” di Gorkij. Ma, in generale, sono Čechov e la sua visione del mondo che mi aiutano a lavorare. I suoi drammi e i suoi racconti mi fanno ridere, mi commuovono, mi consolano, agiscono come una lente di ingrandimento che mi permette di osservare meglio la vita. Ho scoperto Čechov quando avevo vent’anni. I personaggi delle sue pièces, dall’aria consunta e fallita, avevano spesso solo qualche anno più di me. Mi identificavo con loro e con la sensazione di non riuscire a vivere pienamente la vita mentre il tempo passa. Il fallimento dell’amore. L’inutilità della propria esistenza. I brandelli di speranza e di gioia. La paura della morte. E poi una battuta che fa ridere e distrae dalle angosce più profonde. A Čechov torno costantemente. “Nella vita non ci sono cose a effetto, né soggetti ben distinti: tutto è mescolato, la profondità e la meschinità, il tragico e il ridicolo”, diceva Čechov».

 

 

La critica

 

 

Autobiografia immaginaria. Piace, a Valeria Bruni Tedeschi, questa definizione del suo cinema, e di questo nuovo I villeggianti in particolare. Piace perché è evidente che dentro il film ci sia molto della sua vita, a partire da familiari e amici che ha messo nel cast; e perché è chiaro che nel tentativo di elaborare il lutto della sua separazione da Louis Garrel attraverso il suo lavoro, da regista, sceneggiatrice e attrice ha voluto comunque creare, divagare, giocare col cinema con quella leggerezza svagata e colta che le è propria. In I villeggianti Valeria si chiama Anna, che come lei è una regista, e che alla vigilia della partenza per le vacanze nella bella villa della Costa Azzurra della sua famiglia - dove incontrerà madre, sorella, zie e amici vari, e la servitù ovviamente, in un andirivieni di personaggi, in una sarabanda di parole, in una giostra di stati d’animo e di nevrosi coccolate ed esibite, e fin troppo reiterate da tutti i personaggi - viene piantata dal suo compagno. Che si parli di quello, di una separazione, di un divorzio, viene esplicitato dalla Bruni Tedeschi fin dall’esergo. Che quello lì sia un lutto, è chiaro dal fatto che pur essendo vitalissimo, e a suo modo perfino gioioso, e tutt’altro che privo di momenti che spingono alla risata, I villeggianti è un film che parla comunque di morte (quella del fratello della protagonista, quella di un’amica storica della mamma di Anna) e di fallimenti (quello del cognato di Anna, finanziario, e quello sentimentale di molti personaggi) e di decadenza (quella della villa). Però - lo dice il personaggio di Noémie Lvovsky, sceneggiatrice nel film e del film - I villeggianti non poteva essere un film che si chiude su una morte, o sulla morte. Doveva essere un film che spingeva ad abbracciare la vita. E quindi ecco che è una commedia, magari un po’ sgangherata, una versione aristo-chic dell’ultimo Muccino (anche qui una vicenda corale e familiare in un contesto vacanziero e isolato), dove alla vitalità sguaiata di noi italiani si mescola quella più nonchalante e acida dei francesi. È un film sincero ma costruito, libero ma sempre consapevole (anche delle sue derive meno azzeccate), capace di ridere del suo dolore, che sceglie di chiudersi nella nebbia del cinema, tra un fallimento reale e una vittoria che, se pur immaginaria, comunque spinge verso il futuro.

FFederico Gironi, comingsoon.it, 6 settembre 2018

 

La dimensione autobiografica è chiara anche nel bilinguismo con cui è costruito tutto il film, con dialoghi continuamente alternati tra italiano e francese, con un cast di attori importanti da una parte all’altra delle Alpi. Bruni Tedeschi definisce la sua opera da regista come una continua autobiografia immaginaria. Il suo alter ego sullo schermo si è separato da poco, con Luca interpretato da Riccardo Scamarcio, e ancora sta rielaborando quella condizione; ha una bambina adottiva di colore, Célia, la stessa Oumy Bruni Garrel, adottata nella realtà con l’ex-compagno Louis Garrel. Ma la realtà autobiografica dirada nel sogno per la presenza fantasmatica di Marcello, morto anni prima. E tutte le presenze sono in fondo fantasmatiche, aleatorie, tanto che la notizia della scomparsa di Bruno viene data con irrealistica nonchalance. Si parla di migranti, anche nella villa in Costa Azzurra, paragonati a quei cinghiali che minacciano la proprietà: il razzismo strisciante e dilagante non risparmia quella che sembra un’isola felice...

Ci sono servi che baciano i padroni, ricordi di violenze e stupri, lutti, ci sono tensioni, ci sono persone che hanno voglia di vivere e persone che non ne hanno o ne hanno di meno. «In questa casa ognuno ha i suoi problemi» si dice. Le parabole dei personaggi che vi transitano sono inconcluse, come è la vita. Dopo il pastrocchio narrativo di Un castello in Italia, Valeria Bruni Tedeschi realizza un’opera narrativamente ‘sformata’, irregolare come è la condizione umana. In fondo «la gente deve uscire dalla sala con la voglia di vivere», dice la regista alter ego, e Valeria Bruni Tedeschi mette in scena il circo della (sua) vita.

GGiampiero Raganelli, quinlan, 9 settembre 2018

 

 

 

 

 

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Vice

L’uomo nell’ombra

 

 

 

Il “vice” è Dick Cheney, vicepresidente degli Stati Uniti, l’uomo che ha gestito personalmente, da un bunker della Casa Bianca, la crisi gravissima dell’11 settembre, con il presidente al sicuro nei cieli sull’Air Force One. L’ex uomo forte delle amministrazioni Nixon, Ford e Bush Sr. era un non-eroe sottile e furbissimo (un “vice”, appunto), capace di diventare un incubo.

Eccolo qui. E noi, in tempi di trumpismo, torniamo alle vergogne dei teoconservatori.

Il film usa, insieme, ironia, giornalismo, fact checking e mascherate per dimostrare come la Storia sia una tragedia e una farsa vergognosa.

Durata: 132 minuti.

 

 

 

Giovedì 12 dicembre, ore 21

 

Cinema Sociale di Omegna

 

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