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Scheda del film (179 Kb)
Il traditore - Scheda del film

 

 

 
 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE

S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna


PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO

Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS
 

 

 

Giovedì 16 gennaio 2020 – Scheda n. 12 (1068)

 

 

 

 

Il traditore

 

 

 

Regia: Marco Bellocchio

 

Sceneggiatura: Marco Bellocchio, Ludovica Rampoldi,

Valia Santella, Francesco Piccolo, Francesco La Licata.

Fotografia: Vladan Radovic. Musica: Nicola Piovani.

 

Interpreti: Pierfrancesco Favino (Tommaso Buscetta),

Maria Fernanda Cândido (Maria Cristina de Almeida Guimarães),

Fabrizio Ferracane (Pippo Calò),

Fausto Russo Alesi (Giovanni Falcone), Luigi Lo Cascio (Salvatore Contorno),

Nicola Calì (Totò Riina), Giovanni Calcagno (Gaetano Badalamenti),

Bebo Storti (l’avvocato Franco Coppi), Gabriele Cicirello (Benedetto Buscetta),

Paride Cicirello (Antonio Buscetta), Elia Schilton (giornalista),

Alessio Praticò (Scarpuzzedda), Pier Giorgio Bellocchio (Cesare),

Pippo Di Marca (Giulio Andreotti).

 

Produzione: IBC Movie, Kavac Film, Rai Cinema. Distribuzione: 01 Distribution.

Durata: 135’. Origine: Italia, 2019.

 

 

Marco Bellocchio

 

 

Il traditore è il ventisettesimo film (più molti corti) di Marco Bellocchio, nato a Bobbio, in val Trebbia, Piacenza, nel 1939, regista, sceneggiatore, produttore, docente, leone d’argento alla Mostra di Venezia per La Cina è vicina, nel 1967, leone alla carriera sempre a Venezia nel 2011. Scuola dai salesiani, ribelle ai modelli sociali conformisti, Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, studi di cinema anche a Londra, film d’esordio che ha l’effetto di una bomba: I pugni in tasca (1965), poi La Cina è vicina, ancora un film contro i valori borghesi. Nel 1969 dirige un episodio del film Amore e rabbia insieme a Pasolini, Bertolucci, Lizzani e Godard. Altri film: il grottesco Nel nome del padre (1972), il giornalistico e caustico Sbatti il mostro in prima pagina (1972), il basagliano antimanicomiale Nessuno o tutti - Matti da slegare (1975), co-diretto con Silvano Agosti, Sandro Petraglia e Stefano Rulli, il cechoviano Il gabbiano (1977). Arriva il periodo del rapporto con lo psichiatra Massimo Fagioli: i film sono Diavolo in corpo, La condanna, Il sogno della farfalla. Si riprende con Vacanze in Val Trebbia (1980), Enrico IV (1984) da Pirandello, Diavolo in corpo (1986) dal libro di Radiguet e La visione del sabba (1987). Ancora Pirandello, nel 1999, per La balia. Arriva una serie di capolavori: L’ora di religione (2002), Buongiorno, notte sulla prigionia di Aldo Moro (2003), Il regista di matrimoni (2006), Vincere (2009) sull’epoca fascista e sul figlio di Mussolini.  Domestico e familiare è Sorelle Mai (2010). Gli ultimi film sono Bella addormentata (2012) che affronta il tema dell’eutanasia, Sangue del mio sangue (2015), Fai bei sogni (2016). Infine, ecco Il traditore, in concorso a Cannes. A Bobbio, ogni anno, dirige il suo laboratorio Farecinema che è incontro con gli autori, scuola di regia e di recitazione. Ha anche diretto parecchie opere liriche.

Sentiamo Bellocchio: «La genesi del film è casuale, nasce da una proposta del produttore Beppe Caschetto. Non sapevo molto della vita di Buscetta, se non genericamente che era un pentito di mafia, ho cominciato così ad informarmi leggendo libri – e ce ne sono su di lui – e parlando con giornalisti e scrittori che lo avevano conosciuto. Da questo approfondimento, ho ideato un film che girasse intorno alla sua figura. Ho personalizzato la storia, l’ho fatta mia, senza tirare Buscetta nel mio mondo piccolo-medio borghese di provincia. Esattamente il contrario: sono io che mi sono calato nel suo mondo, cercando – e questa è stata la preoccupazione se non un’angoscia che mi ha accompagnato durante le riprese – di girare immagini che non fossero convenzionali né superficiali. Non volevo fare l’ennesimo film su Cosa Nostra, non ce n’era bisogno...

Buscetta ha collaborato con la giustizia e Falcone ha accettato la sua collaborazione ponendo dei limiti e dei confini all’interno dei quali Falcone stesso ha trovato informazioni estremamente utili che gli hanno permesso di istruire il processo che sappiamo. In questo senso, tra l’uno e l’altro c’è una profonda lealtà. In una scena Falcone rimprovera Buscetta: “Senta, questa idea, non dico cavalleresca, della vecchia mafia comunque nobile è una cosa falsa”. La risposta è eloquente: “Noi avevamo dei patti e io li ho rispettati”. La collaborazione è dentro quei confini. Poi Buscetta lo ricorderà spesso nella sua vita che ha sempre detto la verità, una verità parziale, ma la verità: “In tanti interrogatori non mi sono mai contraddetto”...

Buscetta è stato “un uomo coraggioso”. Lo dicono tutte le testimonianze, ha affrontato gli eventi della vita. Anche dei grandi criminali possono essere coraggiosi. Il coraggio di per sé dipende a cosa lo applichi, a quale ideale. In questo senso, certo, non è un eroe né un santo né un martire. Non è Salvo D’Acquisto che per salvare degli innocenti offre la sua vita. Fino all’ultimo ha cercato di salvare la sua di vita per ottenere un solo fine: morire nel proprio letto. Questa è stata la sua grande vittoria...

Una frase di Falcone resta impressa allo spettatore: “Ho più paura dello Stato che della mafia”. È un modo per denunciare i rapporti e la trattativa Stato/mafia. È una tesi che ha dei riscontri. La grande battaglia di Falcone coi Corleonesi è stata vinta – nel maxiprocesso si giunge a numerose condanne – ma il secondo livello viene appena scalfito. Pensiamo all’incriminazione di Giulio Andreotti o alle stesse dichiarazioni di Buscetta che nell’ultimo libro intervista con Saverio Lodato – intitolato appunto La mafia ha vinto – sostiene che a Falcone è stato impedito di giungere all’altro livello: a Roma...

Lo Stato ha utilizzato i mezzi necessari per sconfiggere e ridimensionare la mafia ma, sicuramente, non ci è stato raccontato tutto. Esistono dei buchi neri, delle omissioni né sappiamo esattamente come si è giunti all’arresto di Riina. Secondo Buscetta, la mafia aveva una sua razionalità ed aveva come fini il potere, il danaro e il controllo. Le bombe di Riina rappresentavano una logica estranea a quel codice...

È chiaro che la mia vena e le mie immagini sono contro il Potere. Come ho già detto altre volte, sono di un anarchismo moderato, e non distruttivo, però non credo di essere mai stato alla moda. Per piacere bisogna essere compatibili con quel Sistema».

 

 

La critica

 

 

Marco Bellocchio ha dimostrato come il suo cinema possa interpretare, forse capire, la storia italiana attraverso la prospettiva del sogno e della fantasia: un mondo di fantasmi personali che intercetta l’ombra di fantasmi collettivi. Il segno della croce dei brigatisti in Buongiorno, notte, la via crucis per le strade di Roma in L’ora di religione, l’esibizionismo a metà tra imitazione e derisione del figlio non riconosciuto di Benito Mussolini in Vincere, sono solo alcuni dei passaggi onirici, fuori tono e fuori contesto che per una improvvisa illuminazione del loro creatore arrivano inattesi a sintetizzare fenomeni culturali, sociali, storici, anche psicologici, che riguardano la storia d’Italia e degli italiani. Non c’è ragione, nemmeno documentazione: sono idee, di pancia più che di testa, che trasportano la rappresentazione storica nel regno dell’immaginario. In Il traditore, biografia del pentito di Cosa Nostra Tommaso Buscetta, di questi momenti che hanno reso unico, a volte fin troppo riconoscibile, il cinema di Bellocchio, ce ne sono solo alcuni, e sono rapidi e sfuggenti: i flash improvvisi e irrealistici che all’inizio del film isolano e introducono i volti dei mafiosi appartenenti ai due clan in lotta, i corleonesi e i perdenti Bontate, Inzerillo e Badalamenti, tutti minacciosi, tutti ridicoli, sciatti e mediocri; oppure l’Andreotti in mutande e calzini visto di sfuggita dallo stesso Buscetta in una sartoria di Roma; o ancora il boss rinchiuso all’Ucciardone negli anni ’70, che chiude pietosamente gli occhi a un anziano prigioniero morto, prima di fare sesso con una prostituta («Tutti fuori: Buscetta deve scopare!»). A differenza di quanto fatto con il terrorismo, il cattolicesimo, il fascismo, la politica contemporanea, e prima ancora con la scuola e la famiglia borghese, Bellocchio racconta la mafia come un mondo che non gli appartiene, di cui sa di non far parte nemmeno inconsapevolmente, nonostante ne riconosca come tutti il grado di pervasività nelle istituzioni pubbliche. Cosa Nostra come un corpo estraneo all’Italia e agli italiani. Anzi no, meglio: come un corpo altro, che si oppone allo Stato ma al tempo stesso lo infiltra e condiziona. Nasce presumibilmente da questa consapevolezza il realismo di Il traditore, che a partire dalla prova mimetica di Pierfrancesco Favino non è la versione bellocchiana e sinistramente grottesca (come forse era lecito aspettarsi e come forse l’avrebbe fatta Sorrentino) di una figura ambigua e fondamentale del nostro recente passato, il supertestimone grazie al quale Giovanni Falcone imbastì la struttura del maxi processo alla mafia siciliana. Le ragioni di Buscetta, che sosteneva di non essere un traditore in quanto i primi ad aver tradito Cosa Nostra erano stati gli stessi corleonesi, offuscati dalla sete di potere e allontanatisi dal presunto ideale di una mafia buona e morale, sono usate da Bellocchio e dai suoi sceneggiatori Rampoldi, Santella e Piccolo per rappresentare il mondo mafioso, doppio rispetto alla realtà del Paese, ma agli occhi dei suoi affiliati fondato su una percezione unica e veritiera. I dialoghi tra Buscetta e Falcone, girati con una rigida successione di campi e controcampi, sono letteralmente il confronto fra due opposte idee di stato; un momento di scambio (la verità da un lato, la protezione dall’altro) in cui emerge soprattutto lo sfasamento percettivo del mafioso. Di contro, un altro confronto tra due grosse personalità, ancora Buscetta e l’ex compagno e nemico Pippo Calò (Fabrizio Ferracane), è invece girato con i due personaggi non l’uno di fronte all’altro, ma l’uno al fianco dell’altro, in guerra l’uno contro l’altro ma insieme nel campo di battaglia (l’aula di giustizia) che lo Stato italiano fatica a gestire. (…)

RRoberto Manassero, cineforum.it, 27 maggio 2019

 

 

 

 

 

 

 

 

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Giornata della Memoria.

Varsavia divisa nel 1940. Polacchi, nazisti e in mezzo gli ebrei.

Il film, prodotto da Nancy Spielberg, sorella di Steven, racconta di quegli intellettuali che raccolsero testimonianze, foto, documenti per salvare tutto dall’oblio. Il loro nome era, in Yiddish, Oyneg Shabes, La gioia del Sabato.

Il Talmud dice che ‘chi salva un uomo salva il mondo intero’. Sono centinaia, forse migliaia, le ‘vite’ salvate dagli Oyneg Shabes rispettando semplicemente la loro volontà di “non essere dimenticati”.

Durata: 95 minuti.

 

 

 

 

Giovedì 23 gennaio, ore 21

 

Cinema Sociale di Omegna

 

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