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Babyteeth - Tutti i colori di Milla - Locandina del film
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Scheda del film 182 Kb)
Babyteeth - Tutti i colori di Milla - Scheda del film

 

 

 
 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE

S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

 

 

Giovedì 4 novembre 2021 – Scheda n. 2 (1085)

 

 

 

 

 

Babyteeth

Tutti i colori di Milla

 

 

Titolo originale: Babyteeeth

 

Regia: Shannon Murphy

 

Sceneggiatura: Rita Kalnejais. Fotografia: Andrew Commis.

Musica: Amanda Brown.

 

Interpreti: Eliza Scanlen (Milla), Toby Wallace (Moses),

Emily Barclay (Toby), Eugene Gilfedder (Gidon), 

Essie Davis (Anna), Ben Mendelsohn (Henry).

 

Produzione: Screen Australia, Entertainment One. Distribuzione: Movies Inspired.

Durata: 120’. Origine: Australia, 2019.

 

 

 

Shannon Murphy

 

 

Cresciuta tra Hong Kong, Singapore, Sud Africa e Australia, dove adesso vive, la regista Shannon Murphy ha studiato al National Institute of Dramatic Art (NIDA), ha fatto teatro e ha diretto alcuni cortometraggi, uno dei quali, Kharisma, è stato presentato al festival di Cannes. Ha anche diretto alcune serie televisive, ad esempio On the Ropes.

Questo Babyteeth - dentini da latte - è il suo primo lungometraggio ed è stato presentato con successo di critica e di pubblico alla Mostra del Cinema di Venezia del 2019 dove l’attore Toby Wallace, che interpreta Moses, ha vinto il premio Marcello Mastroianni come miglior attore emergente.

Sentiamola. «Desideravo trovare un linguaggio cinematografico in grado di rispecchiare il particolare tono di irriverenza e sentimentalismo del brillante copione di Rita Kalnejais. Sono stata ispirata dalla sfida di armonizzare questa dualità di umorismo e dolore in ogni fotogramma del film. Non ci potevano essere mezze misure nel mio approccio per rappresentare in modo autentico la protagonista, che a quindici anni si trova sul punto di sentirsi più viva che mai, ma allo stesso tempo deve fare bruscamente i conti con la sua mortalità. Il linguaggio del film presenta dei momenti di rottura resi stilisticamente attraverso testi, musica e l’abbattimento della quarta parete: questo ci consente di muoverci al passo veloce di Milla. L’adolescente si innamora di Moses: lo vede come vede un’opportunità per spingersi oltre i limiti in modo estremo. Mano a mano che ci addentriamo nelle vite dei genitori della ragazza, scopriamo le disfunzioni e le complicate tensioni che li caratterizzano mentre affrontano il loro incubo peggiore. Entrambi vengono così spogliati fino a mettere in luce la loro natura più cruda. Spero che gli spettatori abbiano un’esperienza viscerale, profonda, nel guardare Babyteeth, che li spinga a desiderare e celebrare le loro relazioni...

Sono una grande fan delle tecniche brechtiane e penso che, se usate in maniera corretta, la ricompensa emotiva sia molto forte, indipendentemente dal tipo di storia che si racconta. Non vuol dire che lo spettatore debba sentirsi necessariamente disconnesso dalla storia però non vuol dire neanche che lo si debba accompagnare per mano fino alla fine. Credo ci sia un modo corretto per bilanciare questi due aspetti, mantenendo un legame genuino con lo spettatore che poi fa sì che si riesca ad avere un responso emotivo dallo stesso... È seguendo questa idea che ho scelto di rompere il quarto muro, con Milla che guarda direttamente lo spettatore. Quello che amo di quei momenti è il fatto che siano tutti pensati per Milla, per far sì che lo spettatore, dopo averla conosciuta, potesse penetrare anche la sua anima e capire cosa succede dentro di lei. All’inizio sono usati in maniera giocosa, per mostrare cosa prova in momenti diversi della storia, ma poi assumono un carattere quasi spirituale...

I capitoli erano già nel copione di Rita, ma me ne sono accorta solo quando l’ho riletto. Naturalmente ho cambiato qualcosa qua e là ma sin dal primo momento mi hanno creato un nodo allo stomaco. Dopo essermi incontrata con Rita di persona a Londra, ho deciso di mantenerli e usarli nelle transizioni, per dare un senso di temporalità a una storia in cui ti chiedi spesso quanto tempo resti ancora a Milla da vivere. Per non parlare del fatto che contribuiscono a creare quel senso di ironia che interrompe un po’ i toni drammatici della vicenda...

Penso di aver cercato, attraverso i colori, di trasmettere le emozioni e le sensazioni dell’adolescenza, un momento in cui tutto è acceso ed elettrico e le cose si vedono a una frequenza molto diversa. Volevo che i colori comunicassero questo, rimanendo in sintonia con i ragazzi di oggi, che sono molto più coraggiosi nelle loro scelte di stile e osano cromaticamente molto di più rispetto al passato. Personalmente, sono ossessionata dai colori, i miei lavori teatrali sono sempre stati molto colorati e musicali. Poi sono anche cresciuta a Hong Kong circondata dalle luci al neon. Forse sono rimasta intrappolata nella mia adolescenza, ma mi piacciono le cose forti, che ti arrivano dritte in faccia. In più, i colori dovevano riflettere la personalità di Milla che, nonostante tutto quello che sta attraversando rimane la luce più splendente nella stanza. Volevo che le immagini riflettessero il più possibile questo fatto...

Penso che la scena a cui sono più affezionata sia quella del cuscino. È una scena molto lunga e ho sempre pensato che, probabilmente, sarebbe stata tagliata per accorciarla, ma alla fine funzionava così bene che è rimasta. È una scena talmente intima e toccante che ho sentito sin dal giorno che l’ho girata che avrebbe funzionato. È una scena che non mi stanco mai di vedere!...

La colonna sonora è un mix di contemporaneo e classico, è molto particolare. Ogni brano ha un po’ la sua storia ma in generale volevo che il background musicale della famiglia risultasse credibile. Per esempio, la scelta di Come My Way è dettata dal fatto che avevo bisogno di un pezzo che solo uno come Gideon potesse conoscere ma che fosse anche adatto a far capire come lui sia, in fin dei conti, la famiglia che Milla non ha mai avuto. La canzone finale, invece, l’ho sentita per la prima volta in un programma per bambini e, in fase di montaggio, ho deciso di usarla dopo tante riflessioni per ritornare, in un certo senso, all’infanzia di Moses e anche per trasmettere quel senso che la bambina dentro Milla era finalmente libera...

Quello che mi ha colpito in Eliza Scanlen, la giovane attrice che fa Milla, è la grande varietà di cose che può fare, fatto abbastanza terrificante per un regista. Eliza è un’attrice che può fare veramente di tutto. È stato importante per me passare del tempo con lei per parlare, analizzare il copione e prepararla. Eliza è un’attrice molto attenta ai dettagli, prende un sacco di note e ha persino imparato a suonare il violino in due settimane. Per entrare nella parte, spesso mi mandava dei video in cui ballava al ritmo di musiche diverse e poi, insieme, li guardavamo per capire in quali aspetti emergesse Milla. Abbiamo fatto anche un lavoro molto accurato sui costumi, scegliendo insieme i vestiti che meglio potessero sottolineare la transizione e i cambiamenti di Milla».

 

 

La critica

 

 

C’è qualcosa che sta fluttuando nell’acqua, e che lentamente cade a fondo. È un dente. Ma non si ha nemmeno il tempo di capirlo che già compare sullo schermo Babyteeth, denti da latte. La parola scritta del titolo che presenta l’immagine, rendendola chiara, evidente. Un modus operandi che viene adottato durante tutto il film, scandito in brevi capitoli, ognuno dei quali introdotto, appunto, da una didascalia. Una parola, una frase, il titolo di una canzone che spiegano cosa sta per accadere ancora prima che effettivamente accada.

Babyteeth, opera prima dell’australiana Shannon Murphy, è così, è un film che mette in chiaro le cose da subito, senza mezzi termini. Tutto ciò che vediamo è esattamente come lo vediamo, non si scappa, nel bene e nel male. Una sincerità disarmante e a tratti grottesca che non risparmia nemmeno i personaggi, in una sceneggiatura da cui traspare fortemente la verve tragicomica dell’opera teatrale di Rita Kalnejais, da cui il film è tratto. Non risparmia Milla, quindicenne malata di cancro che non ha ancora perso il suo ultimo dente da latte; né i suoi genitori Henry, uno psichiatra, e Anna, ex musicista in cura dal marito; né tantomeno Moses, il giovane sbandato per cui Milla si prende una cotta al primo sguardo. È grazie a lui se Milla ritrova la voglia di essere viva, è sempre lui che le fa battere il cuore. Nel senso più letterale del termine, come se fosse proprio Moses l’unico in grado di mantenere costante il ritmo delle sue pulsazioni e tenerla in vita. E il suo cuore continua a battere, batte forte nel momento del loro primo incontro, quando lui finge di buttarsi sulle rotaie, batte ancora più forte quando lei gli chiede di portarla al ballo della scuola. Milla e Moses cominciano a conoscersi e a sfiorarsi. E come due corpi dalle diverse temperature che pian piano si scambiano calore, ognuno diventa sempre più simile all’altro. L’energia si trasforma ma non si disperde, perché è un bene prezioso che da Moses fluisce a Milla, e da Milla a Moses. Come quando lui le taglia i capelli, rendendole più facile la trasformazione che segue la chemioterapia, o come quando lei insegna a lui come suonare il pianoforte. La musica è il punto di contatto attraverso cui il calore si diffonde. Quella classica che scivola sulle corde del violino di Milla e, dalle sonate di Mozart e Šostakóvič, si scioglie nei toni del rhythm and blues, del reggae e del pop. Così Milla si lascia andare e balla, balla felice come un’adolescente al suo primo amore. Se è la musica a sincronizzare i sentimenti, a esprimerli sono i colori. Colori pop che si sfaldano nei giochi di luci e ombre sui visi, colori saturi che rivestono i sentimenti di una storia d’amore. Colori che si richiamano e si rincorrono da una scena all’altra, rendendo tangibile una sintonia delicatissima e altrettanto potente. Tanto potente da tenere in vita una ragazza che potrebbe morire da un momento all’altro. E così, un ventitreenne tossicodipendente cacciato di casa diventa indispensabile non solo per la malata terminale Milla, ma anche per Anna ed Henry, che a fatica lo accolgono in casa per stare al fianco della figlia, come un farmaco salvavita. Purtroppo è un placebo, perché una volta svanito l’effetto, il dolore ritorna. E a quel punto non resta che cercare il proprio angolo di cielo, e sorridere prima che il sorriso s’infranga in pianto. Ridere e abbandonarsi alla vita, fin quando c’è.

LLinda Magnoni, 5 settembre 2019, cineforum.it

 

 

 

 

 

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La cordigliera dei sogni

 

 

Il cileno Patricio Guzmán ha diretto una trilogia, con Nostalgia della luce, La memoria dell’acqua e ora conclusa con La cordigliera dei sogni.

Il Cile attraverso una ricerca sulla mitologia del paesaggio e sul realismo della storia. La dittatura, la memoria delle vittime, la Cordigliera come frontiera enorme e l’immenso Oceano Pacifico. Emozionante.

Durata: 84 minuti.

 

 

 

 

Giovedì 11 novembre, ore 21

 

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