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Richard Jewell - Scheda del film

 

 

 
 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE

S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

 

 

Giovedì 13 gennaio 2022 – Scheda n. 10 (1093)

 

 

 

 

 

 

Richard Jewell

 

 

 

 

Titolo originale: Richard Jewell

 

Regia: Clint Eastwood

 

Sceneggiatura: Bill Ray. Fotografia: Yves Belanger. Musica: Arturo Sandoval

 

Interpreti: Paul Walter Hauser (Richard Jewell), Sam Rockwell (Watson Bryant),

Kathy Bates (Barbara ‘Bobi’ Jewell), Jon Hamm (Tom Shaw),

Olivia Wilde (Kathy Scruggs), Nina Arianda (Nadya),

Ian Gomez (Dan Bennet), Wayne Duvall (Richard Rackleff).

 

Produzione: Malpaso, Clint Eastwood, Tim Moore, Jessica Meier, Leonardo DiCaprio.

Distribuzione: Warner Bros. Pictures.

 

Durata: 129’. Origine: Usa, 2019.

 

 

Clint Eastwood

 

 

Nato a San Francisco nel 1930. Attore, regista, produttore e compositore. Due volte premio Oscar per la miglior regia. Padre operaio, madre impiegata. Peso alla nascita 5,2 kg: le infermiere lo chiamano Samson. Un suo antenato era sulla Mayflower. Cambia dieci scuole nei primi dieci anni per seguire gli spostamenti di lavoro del padre. Timido e introverso, viene affidato alla nonna che aveva un allevamento di galline. Quando il padre riesce a trovare un lavoro stabile, Eastwood si iscrive a una scuola tecnica e diventa uno studente diligente. Si impegna nello sport, nella locale squadra di basket (statura 1,93 m). Lavora in estate come guardia forestale, taglialegna, benzinaio, magazziniere. Comincia nel 1955 con piccoli ruoli di attore. Poi Sergio Leone lo sceglie come protagonista di Per un pugno di dollari (1964), Per qualche dollaro in più (1965) e Il buono, il brutto, il cattivo (1966). Torna negli Usa e nel 1971, diretto da Don Siegel, esce il poliziesco Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! Comincia a dirigere film da Brivido nella notte (1971) a una lunga serie di titoli tra cui Lo straniero senza nome (1973), Breezy (1973), Il texano dagli occhi di ghiaccio (1976), Bronco Billy (1980), Honkytonk Man (1983), Il cavaliere pallido (1985), Bird (1988), Cacciatore bianco, cuore nero (1990), Gli spietati (1992), Un mondo perfetto (1993), I ponti di Madison County (1995), Potere assoluto (1997), Mezzanotte nel giardino del bene e del male (1997), Space Cowboys (2000), Debito di sangue (2002), Mystic River (2003), The Blues (episodio Piano Blues, 2003), Million Dollar Baby (2004), Flags of Our Fathers (2006), Lettere da Iwo Jima (2006), Changeling (2008), Gran Torino (2008), Hereafter (2010), J. Edgar (2011), Jersey Boys (2014), American Sniper (2014), Sully (2016), Ore 15:17 - Attacco al treno (2018), Il corriere - The Mule (2018) e Richard Jewell (2019): e il già in sala Cry Macho - Ritorno a casa (Macho, 2021). Vincitore due volte del Premio Oscar per la miglior regia. Un altro Oscar alla memoria di Irving G. Thalberg. Altri due come miglior film. Un Premio César. Sei Golden Globe. Quattro David di Donatello. E a novantadue anni gira ancora un film dopo l’altro. E tanti li abbiamo visti al Cineforum.

 

 

La critica

 

 

Clint Eastwood crede nella Legge, nell’idea astratta di Stato, non nelle persone che lo rappresentano. In Richard Jewell lo dice apertamente l’avvocato Watson Bryant, quando il suo assistito sta per affrontare i tre agenti federali che lo accusano di aver piazzato una bomba nel villaggio olimpico di Atlanta ’96, causando un morto e più di cento feriti: quelli non sono lo Stato, dice il personaggio interpretato da Sam Rockwell, ma solo tre stronzi che lavorano per l’FBI. Il nucleo morale del cinema di Eastwood sta lì, nello scontro fra individui per la negoziazione della Legge nella vita quotidiana. Che è corrotta, violenta, insensata, lontana dallo spirito autentico dell’America. Che la simpatia vada sempre a un eroe minore e in lotta contro un’ingiustizia perpetrata dallo Stato, è una scelta di campo precisa, una forzatura narrativa che per Eastwood è un banco di prova sia delle sue convinzioni sia della tenuta dei suoi personaggi. Nel caso di Richard Jewell il modello è reso più ambiguo e sottile dalla presenza di una persona mediocre, un uomo che fa la cosa giusta, salvando decine di vite grazie alla sua abnegazione, perché fa sempre la stessa cosa, sostanzialmente prendendo alla lettera la Legge e applicandola in maniera ottusa. E l’FBI e i media, rappresentati da un agente viscido (Jon Hamm) e da una giornalista arrivista e non proprio casta (Olivia Wilde), sono a loro volta inefficaci, stupidi o rapaci, non perché dietro ci sia chissà quale spirito di denuncia o autocritica, ma proprio perché Eastwood non crede nelle emanazioni dello Stato, e dunque, rispettando il dato storico di un’accusa nata dalla volontà di trovare un colpevole o realizzare uno scoop, le ridicolizza nella funzione del loro potere. In Richard Jewell non succede sostanzialmente nulla, a parte il momento perfettamente gestito dell’attentato, per altro noto e atteso. Richard non fa nulla di sbagliato, se non applicare il protocollo in maniera così precisa da risultare fastidioso; allo stesso modo il suo avvocato, che naturalmente è anch’egli una figura emarginata e anti-sistema, yuppie degli anni ’80 diventato nei ’90 un professionista senza clienti, non pensa a particolari strategie che non siano l’affermazione di una verità evidente ed elementare. È insomma la forzatura delle autorità a generare l’ingiustizia, attraverso un ribaltamento di prospettive rispetto a film come Un mondo perfetto o Sully che però non cambia la sostanza delle cose: qui l’FBI non agisce eliminando l’aspetto umano dal contesto (come succedeva al cecchino che uccideva l’evaso di prigione infischiandosene dell’affetto di un bambino), ma al contrario cerca l’uomo, le sue debolezze e le sue contraddizioni, laddove c’è soltanto il suddito rispettabile e rispettoso. Il discorso sul rapporto fra individuo e Stato si fa così ancora più esplicito e radicale, in quanto Richard Jewell è un dropout con cui è difficile empatizzare (obeso, solo, illuso, legatissimo alla madre: il perfetto profilo del bombarolo) e i suoi accusatori rappresentanti di quell’intellighenzia e quell’autorità federale (l’FBI, la giornalista, il rettore dell’università...) che per il pensiero conservatore sono da sempre emblema dell’antiamericanismo. Di tutti gli ultimi film di Eastwood, Richard Jewell è senza dubbio il più curato e riuscito: la regia è quasi sempre in controllo del racconto (a parte forse la sequenza del sogno e il montaggio alternato fra le ricerche dell’avvocato Watson e la corsa da record del mondo di Michael Johnson sui 200 metri); la direzione degli attori è straordinaria (non solo Sam Rockwell e Kathy Bates, candidata all’Oscar per l’interpretazione della madre di Richard, ma anche il bravissimo Paul Walter Hauser); il livello di tensione tenuto perfettamente in sospeso, soprattutto nella scena dell’attentato realizzata con un uso del montaggio ‘anti-De Palmiano’ per il modo in cui tempo e spazio non sono manipolati, ma anzi mantengono una naturalezza classica. Resta però la ripetizione di un discorso che rischia sempre più di sclerotizzarsi, coerente e onesto come si deve a un grande regista, ma ripiegato in una visione della realtà anch’essa ottusa nel ribadire l’esistenza di un autentico spirito americano anti-statalista, contro la massa e dalla parte del singolo.

RRoberto Manassero, 15 gennaio 2020, cineforum.it

 

Il capitano Chesley Sullenberger interpretato da Tom Hanks in Sully salvava la vita a 155 persone grazie alla sua abilità di pilota; eppure, veniva messo processo, e accusato di aver compiuto una manovra pericolosa e eterodossa rispetto alle procedure standard. Al Richard Jewell del film omonimo, che ha il volto e il corpo di Paul Walter Hauser, va pure peggio: dopo aver sventato, almeno in parte, l’attentato al Centennial Olympic Park durante le Olimpiadi di Atlanta nel 1996, riducendo drasticamente il bilancio di quella che avrebbe potuto essere una strage, si vede accusato di essere lui stesso il folle attentatore. Se allora ci si poteva concentrare soprattutto sulla contrapposizione tra fattore umano e dogmatismo tecnocratico, e ancora di più sull’epica e l’etica dell’agire secondo coscienza, nel tentativo di fare al meglio il proprio dovere, qui le cose sono cambiate. Anche il Richard di questo film è uno che vuole fare al meglio - a volte anche con eccesso di zelo - il suo lavoro, ma come e più di Sully è prima di tutto una vittima di un mondo sempre più ottuso, pigro, sensazionalista, aggressivo e violento. Un mondo ingiusto, come chiaramente appare agli occhi del quasi novantenne Eastwood: come quello che costringe un anziano signore a diventare un corriere della droga per campare. Lì, in The Mule, il borbottare di Eastwood contro la contemporaneità era rivolto, in superficie, soprattutto ai cellulari e a internet. Qui sotto accusa ci sono i media, e quell’attitudine sciacalla che poi oggi si è riversata sui social di fare gogne e processi pubblici. E sotto accusa, qui, c’è anche l’America stessa, il suo governo; un’America che - sembra dire Eastwood - ha smesso di incarnare i suoi veri valori, tradendoli, e che preferisce seguire ottusamente le piste più facili, invece che perseguire la verità e la giustizia. Perché il potere può trasformare in mostri, come viene detto a Richard all’inizio del film. Come già in Ore 15:17 - Attacco al treno, l’America che Eastwood ama e che trionfa è quella magari goffa, sempliciotta, ingenua e grossolana, a tratti perfino ottusa, ma alla fine buona e candida. Quella incarnata da Jewell in maniera magari fin troppo ideale e idealista, ma che è l’unica - con la sua naturale e istintiva propensione al bene - capace di arginare la terribile deriva dei nostri tempi. Tutto questo rende senza dubbio Richard Jewell un film di Clint Eastwood a tutti gli effetti, l’ennesimo tassello di un discorso etico e poetico che l’americano sta portando avanti da anni con rigore e ostinazione.

FFederico Gironi, 14 gennaio 2020, comingsoon.it

 

 

 

 

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The Father

 

 

 

Nulla è come sembra

 

 

di      Florian Zeller

 

 

 

Florian Zeller: nome nuovo per il Cineforum. Francese, del 1979, scrittore, drammaturgo, regista; The Father, primo film: Oscar per la migliore sceneggiatura non originale.

Il padre è un grande Anthony Hopkins, Oscar per la migliore interpretazione maschile. Sua figlia è la bravissima Olivia Colman. Il vecchio non ci sta con la testa. Spazio e tempo non funzionano più. La realtà si sfarina.

Regia abilissima. Attori perfetti. Film ammirevole e umanissimo. “Per lo spettatore è come cercare la strada in un labirinto”.

Durata: 97 minuti.

 

Giovedì 20 gennaio, ore 21

 

Cinema Sociale di Omegna

 

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