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Dio è donna e si chiama Petrunya - Locandina del film
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Scheda del film 188 Kb)
Dio è donna e si chiama Petrunya - Scheda del film

 

 

 
 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE

S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

 

 

Giovedì 10 marzo 2022 – Scheda n. 18 (1101)

 

 

 

 

 

 

Dio è donna

 

e si chiama Petrunya

 

 

 

Titolo originale: Gospod postoi, imeto i’ e Petrunija

 

Regia: Teona Strugar Mitevska.

 

Sceneggiatura: Teona Strugar Mitevska, Elma Tataragic.

Fotografia: Virginie Saint-Martin. Musica: Olivier Samouillan. 

 

Interpreti: Zorica Nusheva (Petrunya), Labina Mitevska (giornalista Slavica),

Stefan Vujisic (Darko), Suad Begovski (parroco),

Simeon Moni Damevski (ispettore capo Milan).

 

Produzione: Sister and Brother Mitevski, Entre Chien et Loup.

Distribuzione: Teodora Film.

Durata: 100’. Origine: Macedonia del Nord, 2019.

 

 

Teona Strugar Mitevska

 

 

Marzo: film al femminile. Nata a Skopje, capitale della Macedonia del Nord, nel 1974, vive oggi a Bruxelles. Famiglia di artisti, lavora nello spettacolo fin da bambina, studia grafica e pittura, ha un Master in Fine Arts alla Tisch School of Arts di New York. Il suo primo cortometraggio, Veta, viene premiato al Festival di Berlino nel 2002, mentre il suo esordio nel lungometraggio, How I Killed a Saint (2004) è in concorso al Festival di Rotterdam. Il film è anche il primo prodotto dalla Sisters and Brother Mitevski, la casa di produzione che Teona fonda insieme alla sorella Labina (che in Petrunya interpreta anche il ruolo della giornalista televisiva) e al fratello Vuk, scenografo. Nel 2007 dirige I Am from Titov Veles, premio speciale della giuria al Festival di Sarajevo. Anche The Woman Who Brushed Off Her Tears è presentato nel 2012 con successo al Festival di Berlino, nella sezione Panorama, mentre l’anno successivo la regista gira Teresa and I, un documentario su Madre Teresa che ne ripercorre vita e opere attraverso il punto di vista di una donna di oggi. When the Day Had No Name (2017) è ancora a Berlino nella sezione Panorama. Dio è donna e si chiama Petrunya è il primo film di Teona che entra nel concorso principale del festival, ricevendo un’accoglienza entusiastica da parte di pubblico e critica, ottenendo il Guild Film Prize assegnato dai cinema tedeschi e il Premio della Giuria Ecumenica. Il film ha vinto anche il Premio Lux 2019, riconoscimento attribuito dal Parlamento europeo ad opere cinematografiche europee che si distinguono per la capacità di trattare temi rilevanti nel dibattito socio-politico.

Sentiamo la regista. «Il lancio della croce in acqua è una tradizione tipica dei paesi ortodossi e si svolge il 19 gennaio di ogni anno. Nel 2014 a Štip, in Macedonia, è stata una donna a recuperarla e il suo gesto è stato considerato oltraggioso dalla comunità locale e dalle autorità religiose, non essendo di fatto permesso alle donne di partecipare al rituale. Questo è l’evento realmente accaduto che ci ha fornito lo spunto per Dio è donna e si chiama Petrunya... Quando Petrunya si ritrova nel luogo in cui sta avvenendo questa gara, decide di partecipare per capriccio e riesce a raccogliere la croce. Ciò provoca scalpore nella comunità locale e la chiesa la accusa di aver rubato la croce. Certo, non è un problema legale, ma piuttosto una questione di influenza della chiesa sulla polizia (e, per estensione, sullo stato), che d’altronde non sono sicuri di ciò che possono fare al riguardo...

In molti mi chiedono se è un film femminista, ma ogni film con un personaggio femminile fuori dagli schemi e dai ruoli consueti è un film femminista. È difficile per me anche immaginare di essere una donna e non essere femminista, non fare propri cioè dei principi necessari di giustizia e uguaglianza. Petrunya è un simbolo di modernità che si oppone a ben due poteri consolidati, la Chiesa e lo Stato. È un personaggio che cambia nel corso del film ed è la sua sete di giustizia a farle mettere da parte l’umiltà iniziale e trasformarla in ciò che realmente è: una donna consapevole dei propri diritti che incarna la forza del cambiamento...

L’aspetto più importante del film è l’arco del personaggio di Petrunya. Quando la incontriamo per la prima volta, non sembra minimamente interessata ai diritti delle donne, poiché pensa di avere problemi più grandi. Ma quando l’intera comunità le si rivolta contro, si rifiuta di arrendersi. “Perché non ho il diritto a un anno di fortuna?” chiede all’ispettore confuso. È diventata una donna che lotta per se stessa, e cosa potrebbe esserci di più femminista?»

 

 

La critica

 

 

Dio esiste. E se fosse una donna? (...) Il film è una boccata di aria fresca, prova ulteriore che forse sarebbe il caso di smettere di etichettare un film (e dunque giudicarne automaticamente la presunta o meno onestà intellettuale) sulla base della notiziabilità della questione femminile stessa. Il femminismo non è certo un label (positivo o negativo che lo si voglia intendere) ma un tema complesso che ha assunto oggi una rilevanza troppo spesso gestita in modo piuttosto superficiale e controproducente. Dio è donna e si chiama Petrunya è un film girato e prodotto da donne che ha come protagonista un forte personaggio di donna e dunque, inevitabilmente, è un film “al femminile”. Ma soprattutto è un film che affronta in modo intelligente la possibilità reale di sovvertire – oggi – le convenzioni di una società ancora fondamentalmente patriarcale attraverso gesti simbolici. I gesti d’altra parte (come le parole) sono importanti. (...) Petrunya sta sotto il ponte alle porte del villaggio di Štip assistendo, come tutti, alla cerimonia annuale che vede il pope gettare una croce di legno nel fiume e i maschi del villaggio tuffarsi nelle gelide acque per recuperarla e garantirsi un anno di fortuna e prosperità. Petrunya sta lì infagottata in un vestito impostole dalla madre e coperta da un pellicciotto nero informe, sta lì, con la sua tormentata indolenza, con il peso di quel lavoro che non ha, con il fardello della sua laurea in Storia percepita da tutti come inutile, con la gravità della sua intelligenza e del suo essere fuori luogo appoggiati sulle spalle. Eppure a un certo punto, senza pensare, si tuffa, mettendosi in competizione diretta con i maschi e, colpa maggiore, vincendo la sfida. Quando riemerge dalla corrente fredda, il suo gesto ha rotto tutte le convenzioni e finirà per cambiare la sua vita e un po’ anche il mondo in cui vive. Ma Petrunya ancora non lo sa. Il film la accompagna da questo punto in poi in una battaglia che dura una notte e che prende forma a poco a poco intorno al suo corpo ingombrante, ai suoi occhi scuri e luminosi, alla cicatrice che ha sul naso. Un volto e un corpo che occupano spesso il quadro frontalmente, sempre più sicuri di sé, sempre più consapevoli del proprio ingombro e finalmente determinati a esserlo. Intanto gli uomini intorno (il pope, il commissario di polizia, i fanatici sconfitti che la vogliono linciare, l’agente che la sostiene) si dimenano per cercare, ognuno a suo modo, di ristabilire l’ordine e/o la tradizione. Finiscono però sempre agli angoli del quadro, spesso fuori fuoco, rendendo vano ogni tentativo di riportare lo sguardo su di loro; nel frattempo Petrunya e la giornalista che cerca di tirar fuori dal sul suo gesto un caso mediatico necessario a cambiare le cose, conquistano il loro spazio. Dio è donna e si chiama Petrunya è certo un film figlio di questi tempi, non tanto (o non solo) per il tema quanto piuttosto proprio per lo stile di messa in scena e di scrittura che sceglie; uno stile molto studiato ma che riesce a rimanere sincero, mai velleitario, talvolta un po’ sornione nel suo assoluto controllo ma mai gratuito. Semplicemente un film capace di raccontare una storia (per altro ispirata a un fatto di cronaca) e di farlo con meritevole leggerezza senza cedere al rischio di strumentalizzarne il messaggio e di caricare inutilmente i toni. Alla faccia della superficialità.

CChiara Borroni, 11 dicembre 2019, cineforum.it

 

Pochi tratti di una messa in scena sorprendentemente creativa, pronta a usare i colori e le forme di un paesaggio quasi astratto (l’interno di una gigantesca piscina vuota, le orme lasciate nella neve), dove a contare non sono tanto i caratteri delle persone, quanto la loro reazione, il loro comportamento. Prima quello del proprietario della fabbrica dove la protagonista Petrunya cerca lavoro (sintetico ed efficacissimo ritratto di un campione dell’umiliazione e del disprezzo antifemminile), poi quella dei muscolosi giovanotti pronti a tuffarsi nel fiume per recuperare la croce (che si sentono in diritto, in nome della loro mascolinità esibita, di offendere chi non risponde ai loro canoni di bellezza, come, appunto, Petrunya) e infine quella del prete ortodosso, talmente compreso dal suo ruolo da scatenare l’impazienza dei tuffatori. Contro tutti loro, con un gesto tanto inatteso quanto coraggioso, Petrunya si getta nel fiume per ripescare la croce che nessuno trovava e dare il via a uno scandalo che chiama in causa la polizia (la ragazza è addirittura arrestata, ma non si capisce in nome di quale legge) e che attira l’interesse di una giornalista (Labina Mitevska, sorella della regista), mandata a Štip per il ‘solito’ servizio di colore e finita invece nel bel mezzo di una guerra tra i sessi. E così il film si trasforma in una specie di braccio di ferro dove una donna tiene testa ai maschi che incarnano le varie facce del potere e rintuzza le loro pretese con la forza di una logica tanto più stringente quanto più semplice e diretta (come fa intuire il titolo: perché Dio non potrebbe essere donna?). I maschi umiliati, il pope senza pace, i poliziotti che non sanno cosa fare: sotto la telecamera di una cronista che vede nello ‘scandalo’ il simbolo della rivolta delle donne macedoni, il film di Teona Strugar Mitevska si dipana tra scontri e interrogatori, parentesi surreali e confessioni intime, mentre tutto scivola verso una divertita assurdità. Così la storia finisce per perdere le sue connotazioni cronachistiche per diventare lo specchio di un Paese che resta ancora imprigionato dentro i suoi compromessi e per mettere in discussione un ruolo femminile che si vorrebbe inchiodato al passato e alla subalternità.

PPaolo Mereghetti, Corriere della Sera, 9 dicembre 20109

 

 

 

 

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Film sorpresa

 

 

di      Shannon Murphy

 

 

 

Riguardo al film sorpresa, stavolta ve lo diciamo. È uno dei film che non abbiamo potuto mostrare per la sospensione del cineforum, nelle ultime serate dello scorso anno: è un gran bel film e vogliamo proporvelo adesso. È Tutti pazzi a Tel Aviv del regista palestinese Sameh Zoabi.

Una storia di guerra, di confini, di israeliani e di palestinesi e di qualcos’altro che teniamo segreto...

Durata: 100 minuti.

 

 

 

Giovedì 10 marzo, ore 21

 

Cinema Sociale di Omegna

 

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