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Nomadland- Scheda del film

 

 

 
 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE

S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

 

 

Giovedì 14 aprile 2022 – Scheda n. 23 (1106)

 

 

 

 

 

Nomadland

 

 

 

Titolo originale: Nomadland

 

Regia, sceneggiatura, montaggio: Chloé Zhao.

 

Fotografia: Joshua James Richards. Musica: Ludovico Einaudi.

 

Interpreti: Frances McDormand (Fern), David Strathairn (Dave),

Linda May (Linda), Swankie (Swankie).

 

Produzione: Frances McDormand, Chloé Zhao, Searchlight Pictures,

Highwayman Films, Cor Cordium Productions.

Distribuzione: Walt Disney Studios.

Durata: 108’. Origine: Usa, 2020.

 

 

Chloé Zhao

 

 

Nata a Pechino nel 1982, Chloé Zhao, pseudonimo di Zhao Ting (趙婷,  赵婷) è regista, sceneggiatrice, produttrice cinematografica e montatrice cinese naturalizzata statunitense. Padre dirigente di acciaieria, madre infermiera. Fin da giovane si appassiona della cultura occidentale. A 15 anni ottiene di poter studiare in un collegio di Londra, completa gli studi superiori a Los Angeles, si iscrive all’università di arti liberali di Mount Holyoke, nel Massachusetts, dove ottiene un bachelor’s degree in scienze politiche. Brevi impieghi nel settore pubblicitario, in quello immobiliare e come barista, studia cinema alla Tisch School of the Arts dell’università di New York. Tra il 2008 e il 2011, Zhao scrive, dirige, monta e produce alcuni corti. Esordisce nel lungo, nel 2015, con Songs My Brothers Taught Me, su due fratelli Sioux Lakota che, in una riserva indiana del Sud Dakota, si ritrovano ad affrontare la morte del padre. Il film, presentato in concorso al Sundance Film Festival e alla Quinzaine des Réalisateurs a Cannes, riceve una candidatura come miglior film d’esordio agli Independent Spirit Awards. Nel 2017 scrive, dirige e co-produce The Rider - Il sogno di un cowboy (c’è il dvd), su di un giovane mandriano che si trova a ripensare la sua vita dopo che un incidente quasi fatale pone fine alla sua carriera nei rodei. Zhao utilizza un cast composto per la maggior parte da attori non professionisti. Alla Quinzaine di Cannes, il film ottiene il plauso della critica e quattro candidature agli Independent Spirit Awards. Nel 2020 scrive, dirige, co-produce e monta Nomadland che vince il Leone d’oro alla Mostra di Venezia, il Golden Globe per il miglior film drammatico e miglior regista, e tre Oscar per miglior film, miglior regia (seconda donna a ottenere l’Oscar per la regia dopo Kathryn Bigelow per The Hurt Locker) e migliore attrice protagonista a Frances McDormand. Non si contano gli altri premi in giro per il mondo. Il suo film più recente è, sorprendentemente, Eternals, un film di supereroi sugli “Eterni”, prodotto dalla Marvel, uscito in Italia nel novembre scorso.

Ascoltiamo Chloé Zhao. «Nell’autunno del 2018, mentre giravo Nomadland a Scottsbluff, Nebraska, vicino a un campo ghiacciato di barbabietole, mi ritrovai a sfogliare Desert Solitaire di Edward Abbey, un libro che mi aveva regalato qualcuno incontrato sulla strada. Sfogliandolo incappai in questo passaggio: “Gli uomini vanno e vengono, le città nascono e muoiono, intere civiltà scompaiono; la terra resta, solo leggermente modificata. Restano la terra e la bellezza che strazia il cuore, dove non ci sono cuori da straziare... a volte penso, senz’altro in modo perverso, che l’uomo è un sogno, il pensiero un’illusione, e solo la roccia è reale. Roccia e sole” (Edward Abbey, Desert solitaire. Una stagione nella natura selvaggia, Baldini & Castoldi, 2015). Per i successivi quattro mesi, mentre ci spostavamo per girare il film, fu un continuo andirivieni di nomadi; molti di essi conservavano rocce raccolte durante le peregrinazioni a bordo delle loro case su ruote alimentate dal sole. Dispensavano storie e saggezza davanti e dietro l’obiettivo della telecamera. Essendo cresciuta in città cinesi e inglesi, sono sempre stata profondamente attratta dalla strada aperta, un’idea che trovo tipicamente americana: la continua ricerca di ciò che sta oltre l’orizzonte. Ho tentato di catturarne uno scorcio in questo film, sapendo che non è possibile descrivere veramente la strada americana a un’altra persona. Bisogna scoprirla da soli...

Abbiamo incontrato tanti nomadi, ascoltato le loro storie e si sorprendevano del fatto che volevamo fare un film su di loro. Frances McDormand ė molto più di un’attrice, li trattava come se fossero loro i veri divi. Abbiamo trascorso molto tempo insieme, anche solo noi due. Non volevamo che il film sembrasse una grande produzione di Hollywood, volevamo inserirci nella comunità di nomadi...

Con Nomadland è la terza volta che mi ritrovo in una comunità che non è la mia. Credo che come approccio parlare di politica non funzioni, voglio trovare le cose che mi possano far relazionare con loro e non dividere perché non scegli chi incontrare quando vivi come nomade. Se ti si rompe la macchina devi sapere che troverai un amico pronto ad aiutarti, anche se magari voterà un Presidente diverso dal tuo. Devi comunque cercare di creare una comunità...

Ci siamo basate su un libro in cui si parla di donne che hanno passato tutta la vita in casa e che a un certo punto hanno deciso di mettersi in viaggio. Fren è una vera nomade nel suo cuore. La sua è una vera ricerca sulla strada per fare scoperte che in casa non farebbe...

Per me occuparmi di regia significa “risolvere i problemi”. Non è un’abilità come un’altra, come la musica o la pittura, non significa essere padroni di una tecnica ma è un lavoro manageriale. Ogni giorno arrivi sul set e inizi ad affrontare problemi e ogni 5 minuti ne insorgono di nuovi e tu li devi risolvere, devi organizzare una squadra e li devi risolvere. Insomma significa essere disposti ad avere un costante spirito di ‘sopravvivenza’ e questo può comportare un bel po’ d’ansia. Quando scrivo mi capita spesso di avere ansia, ma quando dirigo ho la sensazione di dover sopravvivere alla fine della giornata! Però in effetti si tratta di una specie di processo meditativo perché così dimentico i problemi della mia vita...

Credo che il fenomeno della regia al femminile sia finalmente un dato di fatto e stiamo raggiungendo questo traguardo che ci siamo imposte, anche se naturalmente la strada è ancora lunga e ci vorrà del tempo. Sento attorno a me tutta l’emozione del momento e credo che sia sempre più inevitabile che si abbia l’esigenza di “vedere il mondo” attraverso prospettive diverse...

Mi è stato detto che sono una “malata di lavoro”! Credo che la ragione di ciò sia, qualora mi dovessi giustificare, che sono sempre stata una persona abbastanza solitaria per tutta la mia vita. Anche quando mi sono ritrovata in grandi città mi sono sempre sentita abbastanza sola. Scrivere una storia, o fare un film o andare a una proiezione e parlare di lavoro è il mio modo di chiedere: “Ehi, c’è qualcuno là fuori?” e ogni tanto sento come un’eco, una risposta, e allora penso “non sono sola” e questa cosa mi motiva nel profondo...

Accanto a Frances, che è anche produttrice, recitano dei veri camperisti nomadi, che hanno accettato di partecipare al nostro progetto. Vedere Frances improvvisare di fronte alle loro azioni e ai loro racconti è stato incredibile. A volte non sapevo nemmeno quali confessioni le avrebbero fatto, quali storie le avrebbero raccontato. Frances li ascoltava attentamente, reagiva a tutto quello che dicevano. Era nel ruolo, ma allo stesso tempo era estremamente presente a se stessa...

Gli Stati Uniti sono un paese vasto, vario, in cui l’orizzonte si perde a vista d’occhio. Un paese destinato a vivere di contrasti feroci, di opposizioni binarie. Un paese con cui è impossibile non avere una relazione complicata. Ma diciamo la verità: non sono proprio le relazioni complicate, quelle che ci piacciono di più?...

Ho studiato l’italiano per due anni [dice in italiano, ndr]. Da piccola mi sono appassionata al vostro calcio. Il mio mito era Roberto Baggio, non dimenticherò i momenti cruciali, i mondiali Usa del 1994, quei calci di rigore strazianti, quel gol sfiorato nel 1998 con la Francia. Chiedevo: chi è quel ragazzo con il codino? Mi ha conquistata la sua sofferenza. E mi piace urlare come fate voi, “Forza azzurri”. Al college ho studiato italiano, sognavo Milano, mio padre me lo proibì, “Ti innamorerai di un italiano, non tornerai”. Così ho scelto Londra. Non vedo l’ora di venire in Italia».

 

 

La critica

 

 

“Ci vediamo lungo la strada”. Nessuno si saluta veramente, per sempre, fra i nomadi sempre in cammino. Ci si rincontra; dopo un mese, un anno, o magari ancora di più. Fern diventa una di loro, dopo che la crisi economica provoca la chiusura dell’azienda per cui lavora, nel Nevada rurale, e addirittura l’abbandono di tutta una cittadina costruita attorno, dall’oggi al domani sparita dalla mappa, inglobata dagli arbusti e dal deserto, senza neanche più un codice postale. (...) Ispirato all’omonimo romanzo di Jessica Bruder, accompagnato dalle note coinvolgenti di Ludovico Einaudi, Nomadland è un viaggio nell’America della deindustrializzazione e della crisi economica, fra persone sperdute e spaventate, con la paura di aver perso, con il proprio ruolo professionale, anche quello nella società in un’età ormai non più giovane. Con notevole potenza politica, oltre che sociale, racconta le precarietà e gli sconvolgimenti sulla quotidianità di tanta gente proveniente da quell’America profonda che ha guardato (e guarda ancora?) a Trump. Nomadi in movimento dalle mille risorse, capaci di risollevarsi senza perdere la speranza, costruendo una struttura di supporto, una nuova famiglia mobile per farsi forza a vicenda. Uno dei migliori ritratti dell’America on the road degli ultimi anni, alla ricerca di un senso oltre l’orizzonte di quelle strade sempre dritte, con qualche sali e scendi inatteso, che tanto continuano a sedurci e a spingerci a percorrerle».

MMauro Donzelli, 11 settembre 2020, comingsoon.it

 

 

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Marx può

 

aspettare

 

 

di      Marco Bellocchio

 

 

 

 

Quanti film abbiamo visto di Marco Bellocchio da quel primo I pugni in tasca del 1965 che ci sorprese e ci sconvolse tutti? Ne ha girati 26 più alcuni documentari memorabili, come Matti da slegare (1975) e Addio del passato (2002). Questo Marx può aspettare è uno dei suoi film più belli, più profondi, più sentiti, più personali. Bellocchio raduna i suoi familiari e trascina fuori dal passato un episodio doloroso. Il film è un capolavoro di umanità che ci travolge, ci meraviglia, ci appassiona. (Perché questo titolo? Cosa c’entra Marx?).

Durata: 96 minuti.

 

 

 

 

Giovedì 21 aprile, ore 21

 

Cinema Sociale di Omegna

 

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