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Drive My Car - Scheda del film

 

 

 
 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE

S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

 

 

Giovedì 12 maggio 2022 – Scheda n. 27 (1110)

 

 

 

 

 

 

Drive My Car

 

 

 

 

Titolo originale: ドライブ, Doraibu mai kā

 

Regia e sceneggiatura: Hamaguchi Ryūsuke,

dal racconto omonimo di Haruki Murakami.

 

Fotografia: Hidetoshi Shinomiya. Musica: Eiko Ishibashi.

 

Interpreti: Hidetoshi Nishijima (Yūsuke Kafuku), Tōko Miura (Misaki Watari),

Masaki Okada (Kōji Takatsuki), Reika Kirishima (la moglie di Kafuku),

Park Yoo-rim, Jin Daeyeon, Sonia Yuan.

 

Produzione: C&I Entertainment, Culture Entertainment, Bitters End.

Distribuzione: Tucker Film.

Durata: 179’. Origine: Giappone, 2021.

 

 

Hamaguchi Ryūsuke

 

 

Nato a Kanagawa nel 1978, Hamaguchi Ryūsuke, 濱口 竜介 è uno dei più stimati registi giapponesi di oggi. Abbiamo parlato di lui sulla scheda del suo Il gioco del destino e della fantasia, visto lo scorso 7 aprile. Drive My Car, presentato a Cannes, ha avuto recensioni entusiastiche da parte di tutti i critici.

Sentiamolo. «La prima volta che ho letto Drive My Car, il racconto di Murakami, è stato nel 2013. Un mio amico mi suggerì di leggerlo, era sicuro che mi sarebbe piaciuto. In effetti c’erano degli elementi che sentivo miei: una situazione drammatica e delle macchine, dei veicoli. Con le macchine, intendo le automobili, ho sempre avuto a che fare e le ho messe spesso nei miei film. Penso che l’interno di una macchina sia un posto perfetto per fare conversazioni intime: situazione questa che ho usato molte volte nei miei film. Penso che in questo film Kafuku e Misake, nello spazio chiuso della macchina, si sentano vicini e la loro relazione può così svilupparsi e la loro intimità può crescere. Questo rapporto esiste già nel racconto e diventa anche il cuore del film...

Nel racconto la macchina era una Cabriolet gialla; nel film è invece una Saab rossa e lo spazio è differente... All’inizio del lavoro, scrissi una lettera a Murakami per chiedergli i diritti per l’adattamento. Gli dissi che non era possibile nel film avere una Cabriolet gialla che non si sarebbe notata bene nelle inquadrature da lontano e che avremmo preso una macchina rossa...

Nel testo di Murakami, il protagonista Kafuku è un attore; nel film ho voluto che fosse un regista, questo perché volevo che avesse una connessione più stretta con Takatsuki, l’attore. In più ho sviluppato molto lo spazio dedicato a Zio Vanja di Čechov, che nel racconto è appena citato. Ho pensato che Zio Vanja avesse alcuni elementi che si univano bene con Drive My Car. Questo modo di vivere una vita, che era già finita, si relaziona bene all’esperienza di Kafuku. E Kafuku non è qualcuno che parla molto di se stesso e molte battute e dialoghi dello Zio Vanja riflettevano i suoi pensieri. Questo ha anche aiutato il pubblico a comprendere meglio cosa stava passando Kafuku...

Utilizzare l’audiocassetta in auto per preparare le battute di Zio Vanja era presente anche nel racconto, ma usare la voce della moglie è un’idea originale. Questo per mettere in scena il fatto che Kafuku sia ancora imprigionato dall’idea di sua moglie e quindi continui a parlarle. È sempre la stessa cosa e non c’è alcuna evoluzione...

Anche l’ambientazione a Hiroshima è un’invenzione del film. Molti mi chiedono come mai. In realtà si tratta di una coincidenza. Il copione originale raccontava che Kafuku sarebbe andato a un festival internazionale a Busan, in Corea del Sud, che era una delle città oltremare più vicine al Giappone. Ma poi c’è stata la crisi del Covid e girare all’estero era impossibile. Dovevo farmi venire in mente un altro luogo e Hiroshima è stata una città davvero amichevole e disponibile in tutta la lavorazione, inoltre era una località ideale. Con tutte queste domande che mi vengono fatte mi rendo conto di quanto Hiroshima sia un nome pesante, ma penso che alla fine ci sia una somiglianza tra questa storia e Hiroshima. Ci chiediamo quanto siamo vittime ma anche responsabili del dolore e delle lotte che ci sono state. Il Giappone ha invaso alcuni paesi e quindi era responsabile, ma Hiroshima, la città, era solo una vittima di quella tragedia. Quindi c’è questo equilibrio, questo dubbio tra l’essere vittima e l’essere esecutore e tutto questo si aggancia alla trama. Quindi alla fine l’aver girato a Hiroshima era in buon equilibrio con la storia...

Mi chiedono anche se ci sia qualche significato sul fatto che Misaki, la giovane autista, sia originaria dell’Hokkaido, l’estremo nord del Giappone. Misaki viene dall’Hokkaido, è cresciuta in un ambiente difficile, come è raccontato nella storia originale. Il perché del viaggio alla fine del film è dovuto al fatto che Kafuku non rivela molto di se stesso, ma c’era bisogno che parlasse a un certo punto, c’era bisogno che si aprisse. Perché questo fosse possibile nel film in maniera naturale, era necessario un lungo viaggio in auto dove ci fosse un grande momento di silenzio e poi la rivelazione. Ecco perché il viaggio tra Hiroshima e l’Hokkaido: è una distanza molto ampia e si trattava della location perfetta per loro. Così la storia poteva andare avanti...

Ho anche voluto cambiare qualcosa nella messinscena dello spettacolo teatrale. Nel mio Zio Vanja gli attori parlano ciascuno una lingua diversa. Questo cast multilingue – anche con un’attrice muta che usa il linguaggio dei segni – non può comunicare a parole ma deve farlo tramite altri mezzi e in qualche modo tutti si avvicinano tra di loro perché sono più stretti dal punto di vista emotivo. Sono emotivamente molto intimi e questa intimità è possibile solo perché c’è appunto questa distanza fisica. Credo che questo fosse quello che volevo descrivere nella relazione tra Kafuku e Misaki».

 

 

La critica

 

 

Una delle cose più belle dei festival è entrare in sala totalmente vergini. Sedersi in platea senza sapere assolutamente nulla del film che stai per vedere. Titolo, regia e cast sono solo vaghe indicazioni, ma tutto il resto è un viaggio nell’ignoto da gustare immacolati. Apriamo la nostra recensione di Drive My Car, film giapponese in concorso a Cannes 2021, raccontandovi come ci siamo approcciati alla nuova opera di Ryūsuke Hamaguchi. Sapevamo che era un adattamento cinematografico dell’omonimo racconto di Haruki Murakami e avevamo visto soltanto una fotografia. Una foto vaga e anonima. Quasi come stessimo sfogliando il catalogo di una concessionaria, Drive My Car aveva svelato solo l’auto protagonista del film: una Saab 900 rosso fuoco. Una macchina senza conducente. La celebre automobile svedese è davvero il simbolo di un film che prende strade impreviste e ci conduce con pazienza verso un viaggio lungo esattamente 3 ore. Un viaggio rilassato, eppure mai davvero sereno, in cui Hamaguchi sembra guidare sempre in terza, senza accelerare mai, procedendo a fari spenti verso un dramma intimo e dolente...

Lui e lei stanno facendo l’amore. Durante l’amplesso lei inizia a raccontare la storia di un’altra donna, e mentre fantastica sulla vita altrui, prova grande piacere. Una volta finito, lui e lei continuano a immaginare racconti con voracità, affascinati dal poter decidere le sorti di personaggi partoriti dalla loro immaginazione. Drive My Car è la storia di Yusuke e di sua moglie. Lui attore di teatro, lei sceneggiatrice. I due si alimentano a vicenda in un rapporto simbiotico dove intesa fisica e intellettuale sono stretti come un nodo. Per questo quando la vita separa le loro strade, Yusuke è costretto a iniziare un viaggio interiore lungo e doloroso, diretto verso una consapevolezza che forse è sempre stata al suo fianco. Ryusuke Hamaguchi dirige con grande maestria un dramma on the road che gira quasi in tondo. E non è un caso che Yusuke cambi posto in macchina: non più pilota ma passeggero. Perché quest’uomo deve guardare fuori dal finestrino per riflettere e risentire senza distrazioni le battute che sua moglie registrava sulle musicassette. Drive My Car, però, non è un film di paesaggi, di luoghi, di spazi da attraversare. Drive My Car è un film statico, tutto dedicato all’introspezione di un uomo che impara poco per volta ad ascoltare gli altri invece di ripetere sempre lo stesso copione. Per farlo, Hamaguchi si prende tutto il tempo che serve con un ritmo molto dilatato e tante, tante parole. Il che non significa che Drive my car sia verboso. Anzi, i dialoghi riflettono il tipico gusto giapponese per battute secche e ficcanti. Perché i fiumi di parole che attraversano questo film riguardano sempre la finzione: copioni da imparare a memoria per affogare il dolore della realtà...

La finzione come orgasmo, come desiderio costante. E la recitazione come maestra di vita. Quanto serve fingere per essere felici? E soprattutto quanto c’è di vero nelle storie che inventiamo? Drive My Car si aggira in questa terra di mezzo in cui il bisogno di messa in scena cammina al fianco di un profondo bisogno di verità. Nella loro relazione, Yusuke e sua moglie si curano di storie, riversando nei loro copioni tutto quello che vorrebbero e che hanno perso per sempre. Come se per i due amanti immaginare mille vite aiutasse a capirne almeno una: la loro. In questa allegoria lampante ma mai didascalica, Hamaguchi trova nell’ascolto la chiave per ambire alla consapevolezza. In un mondo dominato dall’ego di chi è autore e attore di se stesso, Drive My Car ci ha regalato una meravigliosa lezione di empatia. Ecco che quella Saab 900 diventa un piccolo confessionale mobile, dove Yusuke si sfoga e ascolta, fa incontri nuovi e conoscenze destabilizzanti. Avviene tutto in un film mai ostico nonostante la sua durata consistente. Perché girato, recitato e scritto con un tatto, una cura e una misura che non lo rendono mai ostico. Rimane la piacevole sensazione di essere stati passeggeri di un viaggio bellissimo. Un viaggio in cui abbiamo spiato nella vita di Yusuke senza alcuna voglia di scendere dalla sua Saab 900 rosso fuoco. Un viaggio lungo 3 ore nella vita di un uomo. Un viaggio dolente, lento e approfondito. In questa recensione di Drive My Car vi abbiamo raccontato quello che abbiamo provato lungo la strada, dentro un racconto on the road statico, in cui la finzione serve a definire la realtà e le storie aiutano a vivere meglio.

GGiuseppe Grossi, 13 luglio 2021, movieplayer.it

 

 

 

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