in collaborazione con:
CINEMA SOCIALE – S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna
PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS
Giovedì 5 febbraio 2009 – Scheda n. 15 (773)
Nella valle di Elah
Regia: Paul Haggis.
Titolo originale: In the Valley of Elah.
Sceneggiatura: Paul Haggis, Mark Boal. Fotografia: Roger Deakins.
Montaggio: Jo Francis. Musica:
Mark Isham.
Interpreti: Tommy Lee Jones (Hank Deerfield), Charlize Theron (detective Emily
Sanders),
Jason Patric (tenente
Kirklander), Susan Sarandon (Joan Deerfield),
James Franco (sergente Dan
Carnelli), Barry Corbin (Arnold Bickman),
Josh Brolin (Buchwald),
Frances Fisher (Evie).
Produzione: Karim Abouobayd, Morocco. Distribuzione: Mikado.
Durata: 124’. Origine: Usa, 2007.
Paul Haggis
Paul Haggis è nato
nel 1953 a London, non quella in Gran Bretagna, ma un’altra London, in Canada,
nell’Ontario, nella zona dei grandi laghi, tra il lago Erie e il lago Huron. A
ventidue anni parte a cercare fortuna a Los Angeles e comincia a lavorare come
autore di telefilm, tipo Il mio amico Arnold e Love Boat. Nel
1973 crea una serie di successo, Walker Texas Ranger, poi debutta come
regista in un film musicale, Red Hot. Ritorna alla tv dove fa l’apprezzatissimo
sceneggiatore; poi, la svolta decisiva nel 2004: diventa sceneggiatore per il
cinema, anzi: per uno dei massimi registi mondiali, Clint Eastwood. Scrive la
sceneggiatura di Million Dollar Baby e Eastwood dirige il film che vince
Oscar su Oscar. Haggis, forte del successo, scrive un film per se stesso e
diventa regista: è Crash, contatto fisico (visto al cineforum). Stavolta
è lui a vincere tre Oscar, tra cui quello per il miglior film. Ritorna a
scrivere per Eastwood: Flags of Our Fathers,
anche questo visto al cineforum. Poi dirige il suo secondo film, questo Nella
valle di Elah.
Ha detto Paul Haggis:
«Durante la guerra del Vietnam i giornalisti facevano il proprio lavoro molto
bene assicurando un’adeguata copertura di notizie e il popolo americano veniva
informato di tutto. Ora questo non sta accadendo più, si è creato un vuoto di
comunicazione tra gli organi di stampa, che danno notizie parziali, e il
pubblico. Così tocca agli artisti colmare questo vuoto. Io sono considerato,
sia come sceneggiatore che come regista, un artista impegnato perché guardo
alla situazione politica, ma credo che tutti dovremmo parlare delle cose che ci
stanno a cuore. In futuro potrei girare un giallo o adattare un romanzo di
finzione, chissà. Per ora mi occupo di ciò che mi colpisce. È vera l’obiezione
di chi sottolinea il fatto che non solo in Iraq, ma in ogni guerra c’è
violenza. Però è vero anche che ci sono guerre, come quella contro i nazisti,
più facili da giustificare di altre. Questa, in Iraq, è una guerra urbana con
due fazioni che combattono mentre in mezzo a loro muoiono migliaia di civili
ogni giorno. (...) Il film sposa il punto di vista di un padre di famiglia, un
patriota che crede nei valori dell’America più tradizionalista. Tutti conoscono
la mia posizione su questa guerra e non ho fatto mistero della mia contrarietà
alla politica estera di Bush, ma è importante che nel film non trapeli il mio
punto di vista, ma quello del protagonista che è completamente diverso».
La critica
La valle di Elah, secondo la Bibbia, è il luogo dove
il ragazzo Davide affrontò il gigante Golia: ma l’analogia con il film non
risulta troppo chiara. Nella famiglia di un reduce dal Vietnam molto
patriottico è già accaduta una cosa atroce (il figlio maggiore, pilota
militare, è morto), ora accade una cosa misteriosa: il secondogenito, appena
tornato dalla guerra d’Iraq, è svanito da una base militare del Nuovo Messico.
Nessuno, non commilitoni né comandanti, sa dove sia andato a finire. Non ha
lasciato segni di sé, né messaggi né altro. Il padre Tommy Lee Jones va alla
base per cercarlo: e non lo trova, nonostante l’aiuto della poliziotta Charlize
Theron. Comincia a pensare che sia fuggito, magari in Messico, per evitare di
dover tornare in guerra dopo la licenza; oppure che sia venuto a sapere
qualcosa che ha indotto i suoi capi a eliminarlo. Una viltà, un complotto? In
realtà il ragazzo è morto durante una brutta rissa con i compagni. Era notte.
Erano tutti ubriachi e impasticcati. Tra loro c’era un esperto macellaio: era
parsa una buona idea farlo a pezzi, bruciarne i pezzi e abbandonarli agli
animali notturni. Così, Nella valle di Elah racconta quale pessima
ispirazione possa essere il patriottismo per un padre; quale sia la diffidenza
verso gli alti gradi militari; come, nel contesto della guerra d’Iraq, normali
ragazzi americani possano diventare irresponsabili e feroci; come, guerra o non
guerra, la vita umana possa essere fragile; cosa rappresenti un morto per le
famiglie della guerra. Paul Haggis è stato sceneggiatore dei più bei film di
Clint Eastwood, che forse avrebbe diretto meglio di lui questo film calmo e
crudele, comunque davvero bello. Susan Sarandon, la madre delle due vittime,
merita ammirazione per aver accettato di partecipare al film, benché la parte
fosse assai breve; e per la sua bravura. Quando entra all’obitorio per vedere
il corpo di suo figlio, e si trova davanti pezzi di carne nera e bruciacchiata,
il suo sguardo davvero spezza il cuore.
LLietta
Tornabuoni, La Stampa, 30 novembre 2007
Ne La valle di Elah di Paul Haggis, un padre
indaga sulla misteriosa uccisione del figlio, reduce dalla guerra in Iraq. Ciò
che scopre è più banale e truce del previsto. È chiuso dentro di sé come in una
corazza, l’Hank Deerfield (Tommy Lee Jones) di Nella valle di Elah. A
niente sembra arrendersi, nemmeno allo strazio del suo Mike (Jonathan Tucker),
fatto a pezzi in un prato polveroso, vicino alla base di Fort Rudd, in New
Mexico. Non ha lacrime negli occhi, ma solo una volontà caparbia di sapere. Da
chi è stato ucciso quel figlio tanto amato? E che cosa ha visto in Iraq, prima
di tornare in patria? Di padri e di figli, di durezze eroiche e di orrori: di
questo ci raccontano Paul Haggis e il cosceneggiatore Mark Boal. E lo fanno
sullo sfondo della vecchia storia di Davide che uccise Golia. Di lui racconta
Hank al piccolo David (Devin Brochu), e di come avesse avuto dal re Saul il
permesso d’affrontare il filisteo mostruoso, nel fondo della valle di Elah.
Quel ragazzo, gli spiega Hank, era poi riuscito a guardar fisso negli occhi il
nemico, aspettandolo con freddezza. Così, avendo ingannato la paura, la mano
gli era rimasta salda come il cuore. Questa storia narra Hank al figlio di
Emily Sanders (Charlize Theron), la detective che indaga sulla morte di Mike.
Ed è certo che il suo racconto abbia una morale. Così lui stesso ha fatto
sempre, fin dal tempo del Vietnam: ha guardato la paura negli occhi, e l’ha
affrontata. Con lo stesso “eroismo” affronta ora il più mostruoso dei mostri:
la morte di un figlio. Davanti al vetro oltre cui stanno i resti di Mike, ben
diversamente si comporta la moglie Joan (una grandissima Susan Sarandon).
Niente sa di attese eroiche, Joan. È il corpo smembrato del figlio che i suoi
occhi vedono, e non è paura quel che la invade, ma strazio del cuore. Oltre a
questo, sul suo viso c’è posto solo per un rimprovero ostinato. Mike è il
secondo dei figli che l’eroismo del marito le ha tolto. Come potevano non
volerlo affrontare anche loro, un Golia, nel fondo della valle di Elah? E ora
sono morti. Hank invece è troppo saldo nella sua corazza, per lasciarsi
vincere. Così, duro e fermo, affronta il proprio dolore, e pretende di
guardarlo negli occhi. Ed è ai suoi occhi che quel dolore comincia davvero a
parlare. Lo fa attraverso immagini recuperate dal cellulare di Mike: foto e
film resi incerti dal calore del deserto, ma che ancora raccontano storie, per
quanto ridotte in frammenti.
C’è un mistero, nella storia di Nella valle di Elah.
Come se il suo film fosse un poliziesco, Haggis ce ne fa sentire la presenza
continua. E noi, in platea, ci aspettiamo che ce lo sveli. Immaginiamo e
speriamo che la morte di Mike abbia un senso, uno fra i tanti possibili. Molti
sono gli indizi, da certi messicani che trafficano in droga al sospetto che ci
sia l’esercito, dietro il coltello che l’ha ucciso. Come noi, certo anche suo
padre ha bisogno d’arrivare a una verità “sensata”. Da vecchio militare, dunque,
con mano e cuore freddi s’addentra nelle molte contraddizioni di quell’omicidio.
Unico conforto alla sua ricerca solitaria sono le antiche abitudini da caserma:
le scarpe lucide messe di fianco al letto, per esempio, o i pantaloni “stirati”
sullo spigolo d’un mobile. Come il suo cuore, anche i suoi gesti sono ordinati,
metodici, imprigionati dentro se stessi. Solo qualche volta, ribellandosi, il
suo corpo arriva a parlare una lingua diversa. Accade così che, al telefono con
Joan, si lasci vincere dalla sofferenza. Percorse da un fremito, le spalle
accennano a muoversi lente, avanti e indietro, avanti e indietro, in un pianto
muto e senza lacrime. Oppure accade che le mani si cerchino e si tormentino.
Qui, in questi gesti non esibiti, e tenuti quasi nascosti, Jones è grande come
mai è stato.
Qualcosa si muove dentro Hank, sotto la sua corazza,
dunque. E non si tratta dell’avvicinarsi d’una verità sensata. Anzi, man mano
che il film procede, tutti gli indizi svaniscono. È un altro il segreto, e ben
più orridamente banale. Sarebbero bastati occhi migliori, cioè meno fissi e
orientati, per vederlo già nei frammenti di storie del suo cellulare. Anche
quelle hanno una morale, ed è la stessa che il piccolo David subito riconosce
in quella antica di Davide. Come ha potuto Saul lasciare che un ragazzo, e anzi
proprio un “figlio”, affrontasse il mostro? Come ha potuto mandarlo a perdersi,
e a perdere ogni umanità, nell’odio e nel sangue? Questo ha fatto Hank, e
questo fanno i padri: mandano i figli contro Golia, e poi ne piangono la morte.
Ma anche qui sbagliano, suggerisce Haggis. Quel che dovrebbero piangere è d’averli
costretti dentro la loro stessa prigione del cuore, riducendoli a mostri
abituati a uccidere e disposti a morire. Questo è il segreto, questa è la
verità. Quando Hank lo scopre, scopre anche il vero assassino di suo figlio.
RRoberto
Escobar, Il Sole-24 Ore, 9 dicembre 2007
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