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Giovedì 26 febbraio 2009 – Scheda n. 18 (776)
Persepolis
Regia e sceneggiatura: Marjane Satrapi, Vincent Paronnaud.
Titolo originale: Persepolis.
Montaggio: Stéphane Roche. Musiche: Olivier Bernet.
Produzione: 2.4.7. Films, Sony Pictures Classics. Distribuzione: Bim.
Durata: 95’. Origine: Francia, 2007.
Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud
Marjane Satrapi, che in persiano si scrive (leggere da destra verso sinistra: مرجانه ساتراپی) è una disegnatrice di fumetti e illustratrice iraniana, nata a Rasht, nel 1969. Infanzia a Tehran, famiglia progressista. Ha frequentato il liceo francese ed è stata testimone del processo che ha portato l’Iran dalla monarchia dello scià alla repubblica teocratica degli ayatollah dopo la rivoluzione islamica. Il trisnonno di Marjane Satrapi era Nasser-al-Din Shah, scià di Persia dal 1848 al 1896. Dice lei stessa: «I re della dinastia Qajar avevano centinaia di mogli. Le quali hanno partorito migliaia di bambini; se si moltiplica il numero di tali bambini per le generazioni si ottengono, non so, da dieci a quindicimila tra principi e principesse. Non c’è nulla di particolarmente eccezionale in tutto questo». Nel 1983 i genitori di Marjane, allora quattordicenne, decidono di mandarla a Vienna, in Austria, allo scopo di tenerla lontana da un regime divenuto sempre più oppressivo, in particolare verso le donne. Poi Marjane andrà a Parigi, dove oggi vive e lavora come fumettista e disegnatrice. È così che è nata la serie di libri a fumetti Persepolis, pubblicati anche in Italia, serie che le ha dato fama mondiale e dalla quale viene questo film. Nei libri di Persepolis la Marjani racconta appunto la sua vita, dall’infanzia in Iran fino alla Francia. Il passo successivo, dopo i libri a fumetti, è stato la trasformazione in film, con l’aiuto di Vincent Paronnaud.
Ecco qualche dichiarazione della Satrapi: «La maggior parte delle persone normali sceglie: o è “omosessuale” oppure è “etero”. Noi fumettisti, invece, dobbiamo essere “bi”. Perché non sappiamo mai deciderci tra lo scrivere e il disegnare!... L’immagine parla a tutti. Coi fumetti parlo della mia vita. Certo avrei potuto scrivere una biografia. Ma i fumetti sono una forma di rappresentazione molto più breve e di conseguenza molto più incisiva. Per questo ho scelto il fumetto. Per me è importante usare poche parole e pensare in bianco e nero... Ridere è una forma di comprensione globale. L’umorismo, se associato all’illustrazione non conosce confini... Non amo il cinismo che si cela dietro la guerra in Iraq: quello che chiamiamo democrazia in realtà non è altro che petrolio. Secondo Bush, Saddam era il male assoluto. Tolto di mezzo Saddam, tutto sarebbe dovuto andare per il meglio. E invece la situazione è soltanto peggiorata. Bisogna avere le idee ben poco chiare per pensare che con le bombe si possa costruire una democrazia... Non c’è dubbio che l’11 settembre sia stato una tragedia spaventosa. Dietro alla quale si cela l’ombra nera dei fondamentalisti islamici. Prima, però, altri fanatici religiosi avevano organizzato due terribili attentati a Oklahoma City e Atlanta. Eppure nessuno se ne ricorda».
La critica
Qualche informazione, per altro non del tutto necessaria perché ‘il caso Satrapi’ è noto ormai anche ai non appassionati di comics (la sua ‘popolarizzazione’ e consacrazione, per esempio in Italia, è attestata dalla distribuzione della sua opera in edicola, attraverso la collana di fumetti de La Repubblica). In breve: Persepolis è uno straordinario graphic novel nel quale la giovane autrice ha narrato circa un ventennio della propria vita, destino ovviamente particolare perché il mestiere della novellizzatrice a fumetti non può essere scontato per una ragazza iraniana, cresciuta nell’Iran degli ayathollah (infatti da diversi anni la Satrapi - dopo un periodo adolescenziale passato a Vienna - è costretta a vivere in Francia; e tanto per ribadire il concetto, l’Iran ha protestato vivamente contro il festival di Cannes, subito dopo la proiezione del film). Si tratta di un’autobiografia a tutti gli effetti, che però in maniera inevitabile si incrocia con la storia di un regime inaccettabile innanzitutto per una donna; un’opera che narra l’itinerario di un riscatto al femminile (e del femminile) a partire dalla caduta di Reza Pahlevi sino ai primi anni Novanta, redatta in quattro volumi, ridotti in un unico racconto per la versione di questo cartone animato, pensato sicuramente in grande stile, visto che vede il contributo, per le voci, di Danielle Darrieux, Catherine Deneuve e Chiara Mastroianni, tra gli altri. Sì, la chiamata in causa di attori popolarissimi in Francia (secondo la prassi di doppiaggio - a volte insopportabile - del cartone animato contemporaneo, che sembra ormai non avere diritto d’esistenza senza l’ausilio di voci note al grande pubblico), e poi l’anteprima nel festival per eccellenza, la distribuzione quasi sicura nel circuito internazionale... Ce n’è abbastanza per sospettare che la trasposizione animata per il grande schermo possa essere un tradimento, una volgarizzazione dell’originale su carta. Ce n’è soprattutto per sospettare un venir meno dell’autenticità dell’opera, per motivi per così dire contingenti. Il fumetto è in fondo ancora un mezzo di espressione diretta, un campo privilegiato di autonomia artistica, all’interno del quale la voce e l’universo personale del creatore si prolungano nel lavoro della sua mano. Laddove il cartone animato è, come sappiamo, una forma d’arte semi-autonoma: in parte riproduzione meccanica, come tutto il cinema, e in parte il frutto del lavoro artigianale della mano, soprattutto una ‘mano altra’ però, perché è necessario affidare poi il proprio disegno (il proprio personalissimo immaginario) alla matita altrui, quella degli animatori e dei tecnici che sorreggono ogni lungometraggio d’animazione. Tuttavia, la differenza non si nota, e considerato il risultato possiamo solo sospettare che ci deve essere stato un accordo pieno tra la Satrapi e il proprio staff, e in particolare tra la giovane artista iraniana e Vincent Paronnaud, il co-regista, noto anche come Winshluss, ottimo fumettaro di gusto underground. E non si tratta solo di constatare nel film la fedeltà, evidente, al segno grafico degli albi a fumetti originali. C’è di più. Perché una cosa va detta. Questo non è ‘fumetto filmato’ ma un cartoon a tutti gli effetti, nella misura in cui reinterpreta a suo modo la tradizione ‘grafica’ del disegno animato, quella già presente nell’animazione cinematografica delle origini, capace di dare espressione in primo luogo ai territori della soggettività e della fantasia personale, contrariamente allo stile dominante, internazionale e disneyano, più rivolto all’oggettivo, a inseguire - seppure nell’imperativo di un infantilismo forzato – un’ipotesi di realismo il più possibile simile a quello del cinema live action, dal vivo, con attori. La Satrapi e Paronnaud hanno quindi bandito quasi interamente il colore, e con esso la seduzione del pieno e dell’organico, del rotondeggiante infantilistico tipica del cartone animato di questi giorni (magari sintetizzato digitalmente). Hanno fatto un film tutto di superficie, elevato il contrasto del bianco e nero nel gioco dell’animazione, di proposito rivalutato e sfruttato al massimo grado il valore della linea tracciata con la china, in una rappresentazione che preservasse il tratto soggettivo ma anche infantile del disegno, e al tempo stesso combinasse il più moderno grafismo del fumetto contemporaneo con la stilizzazione tradizionale di matrice mediorientale e persiana. L’infanzia e la maturità sono tutto in questo caso. Persepolis è un film ‘storico’ nella maniera in cui può esserlo un romanzo di formazione, un progetto che conferisce la memoria collettiva di un paese (Persepolis, la città dei persiani ... ) solo nella memoria più intima, familiare, nel sogni e nella crescita tutta al femminile di una bambina e un’adolescente. Ma come nella migliore tradizione autobiografica, il dire io si dà solo nell’evidenza dell’io come altro, e forse ancor più che nel fumetto per la Satrapi il vedere se stessa e la propria vita al cinema è un rivedersi, uno specchiarsi nella caricatura disegnata da altri. Ne deriva un consapevole gioco ironico con se stessa, particolarmente leggero e libero, privo di rivendicazioni troppo esplicite di stampo politico o di genere (femminile), all’interno di un’economia narrativa perfettamente calibrata. Il tutto però - sia chiaro - senza eliminare la pesantezza del contesto, la realtà assurda (a tratti ridicola) di una situazione politica e storica sì stilizzata e evaporata a livello immaginario, ma dalla quale nella maniera più assoluta il film non può (e non vuole) prescindere: vale a dire, la spietatezza di un potere che si oppone - come il bianco con il nero - alla liberazione dell’interiorità femminile. Perché sta qui il paradosso e la verità espressa in tutta evidenza dal film. Ci voleva cioè un cartone animato (tra l’altro di questo tipo, ‘realisticamente stilizzato’, nella definizione della stessa regista) per dire e far vedere una volta per tutte quello che un’intera generazione del cinema iraniano - celebrato nei festival anche per i ritratti di donna che ci ha offerto - non ha mai voluto dire e fare vedere sino in fondo: cosa significa essere donna in Iran, cosa si nasconde dietro un velo nero imposto sulla bellezza e la complessità di una persona e un popolo. O forse non solo. La questione della donna e del suo oscuramento è davvero la chiave fondamentale per intendere la prospettiva degli ayatollah e forse di tutto l’orizzonte geopolitico contemporaneo a contatto con l’islamismo. Ma l’Iran grafico, e immaginario di Persepolis è la metafora di una lotta più ampia contro la repressione, la cronaca della possibile liberazione per tutto ciò che può stare nascosto - o che è costretto suo malgrado a stare nascosto. Cosicché il dato familiare, intimo, locale, storico, si riversa in quello trasnazionale e forse atemporale, il territorio senza confini di quell’immaginazione al femminile che Marjane Satrapi - artista fieramente cosmopolita e libera - con giusto orgoglio sa incarnare.
MMichele Fadda, Cineforum, n. 466, luglio 2007
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