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Sweeney Todd - Scheda del film

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in collaborazione con:

 

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Giovedì 16 aprile 2009 – Scheda n. 25 (783)

 

 

Sweeney Todd

 

 

Il diabolico barbiere di Fleet Street

 

Regia: Tim Burton

 

Titolo originale: Sweeney Todd: The Demon Barber of Fleet Street

 

Sceneggiatura: John Logan. Fotografia: Darius Wolski.

Montaggio: Chris Lebenzon. Musica: brani dal musical di Stephen Sondheim.

Interpreti: Johnny Depp (Sweeney Todd), Helena Bonham Carter (Signora Lovett),

Alan Rickman (Giudice Turpin), Timothy Spall (Beadle Bamford),

Sacha Baron Cohen (Adolfo Pirelli, il barbiere rivale).

Produzione: Dreamworks, Warner Bros. Distribuzione: Warner Bros.

Durata: 117’. Origine: Usa, 2008.

 

Tim Burton

 

Tim Burton (Burbank, California, 1958) ha cominciato la sua gavetta alla Disney. Il suo corto di animazione Vincent (1982), storia di un bambino che sogna di essere Vincent Price, vince due premi a Chicago e ad Annecy; così Burton può girare Frankenweenie (1984) e poi il primo lungo, Pee-wee’s Big Adventure (1985), seguito nel 1988 da Beetlejuice, Spiritello Porcello, Oscar per il miglior trucco. Il successo arriva con Batman (1989), seguito dal magnifico Edward mani di forbice (1990, visto al Cineforum), da Batman, il ritorno (1992) e dalla favola a pupazzi animati Nightmare before Christmas (1993). Poi ci sono il geniale Ed Wood (1994, visto al Cineforum) e il surreale Mars Attacks! (1996). Bellissima incursione nel gotico fantastico è Il mistero di Sleepy Hollow (1999, anche questo visto al Cineforum). Dopo Il pianeta delle scimmie (2001), Big Fish (2003), Charlie e la fabbrica di cioccolato (2005) e La sposa cadavere (2005), eccoci a Sweeney Todd. Tim Burton è sicuramente uno dei registi più inventivi e personali della scena cinematografica mondiale: estroso, stravagante, infantile e profondo, colto e leggero.

 

La critica

 

Johnny Depp in Sweeney Todd riprende le lame per Tim Burton; però il candido Edward Manidiforbice è diventato un sanguinario assassino, un serial killer del rasoio. E chi non bramerebbe vendetta, dopo avere subito quel che è toccato a lui? La storia è un po’ scippata al Conte di Montecristo. Quando il protagonista era giovane, si chiamava Benjamin ed era il miglior barbiere di Londra, un turpe giudice di nome Turpin (Alan Rickman) lo fece deportare, per rubargli la bionda moglie (e già che c’era, anche la figlioletta in fasce). Approdando a Londra, invecchiato e torvo, cipiglio da Angelo della Morte, l’uomo denuncia gli obbrobri della città, sentina di miserie e di prepotenze che, al paragone, quella di Charles Dickens era Disneyland. Raggiunge poi la bottega della vedova Lovett (la interpreta Helena Bonham Carter, la moglie del regista, che le fa sempre fare o la strega o la morta), una specie di fattucchiera da sempre innamorata di lui che confeziona pasticci immangiabili. Diventeranno succulenti però, e andranno a ruba, quando entrerà a far parte degli ingredienti la carne umana: quella dei clienti sgozzati dal barbiere e tosto trasformati in macinato. Poco interessato agli ‘affari’, però, Todd persegue la rovina del giudice; da portare a termine prima che l’abietto realizzi il suo progetto: sposare la dolce Johanna, la figlia del barbiere di cui ha fatto la sua pupilla. Se, dopo la visione di Sweeney Todd, la vostra notte sarà popolata d’incubi, non rimproverateci di non avervi avvisati. Basato su un fatto di cronaca del primo Ottocento, a sua volta all’origine di un musical di lungo-corso a Broadway, il film è un’opera in nero e rosso; un delirio gotico popolato di fantasmi, una fiaba atroce più di Hansel e Gretel, incubo della nostra infanzia; un teatro della crudeltà claustrofobico che lascia tracce sanguinanti nella memoria a medio termine dello spettatore. Burton accentua il senso di chiuso moltiplicando i primi piani, con l’effetto di rendere più incombente l’atmosfera scena dopo scena. Decolora l’immagine, come se a osservarla fosse il cupo occhio di Todd, con l’effetto di esaltare il rosso-emoglobina, che invade gradualmente lo schermo (vedi l’ultima inquadratura, Pietà sconsacrata e oscena che è difficile togliersi dalla mente). Merito (colpa?) anche delle straordinarie scenografie di Dante Ferretti, della fotografia funerea di Dariusz Wolski, delle canzoni di Stephen Sondheim, Tim dilata a proporzioni mai toccate il suo personalissimo senso del creepy, quella capacità di instillare nelle immagini qualcosa che fa accapponare la pelle. Difficile immaginare un musical dove si canta di stragi e cannibalismo, o in cui il protagonista intona una canzone che promette ‘Lo sgozzeròoo...’. Ben oltre Il fantasma dell’Opera, dopo un po’ la cosa suona stranamente normale. Va aggiunto, a onor del vero, che alcuni ‘numeri’ sono deliziosi: in particolare il duetto Pretty Women, cantato (piuttosto bene) da Johnny Depp e Alan Rickman. Bellissima melodia, ripetuta dai due verso la fine: ma che, la seconda volta, prelude a un bagno di sangue. Attenzione, dunque: perché nei fantasmi di Fleet Street potreste riconoscerne di somiglianti come fratelli ai vostri.

RRoberto Nepoti, la Repubblica, 22 febbraio 2008

 

Tornato nella sua povera, brulicante, putrefatta Londra vittoriana dopo aver subìto 15 ingiusti anni di prigione, Sweeney Todd vuol riparare i torti e colpire il molesto giudice che causò la morte della moglie e rese la figlia prigioniera. Ecco il Figaro serial killer, barba capelli e taglio della gola: il nostro fa ragionato scempio del genere umano, spedendo con una botola in cantina le vittime con cui la dolce e ossessiva complice fa i suoi deliziosi pasticci di carne. Questa l’orrenda storia, già raccontata da cinema & tv del sanguinario più splatter della Old London dopo Jack lo squartatore, un horror pulp fiction ideale per le voglie gotiche della fantastica coppia Tim Burton - Johnny Depp cui s’aggiunge la scenografia strepitosa di Dante Ferretti che dà a cose, persone e panorami inglesi un look grigio cadaverico, come My fair lady recitata da zombie. Uno per uno, dalla lirica partitura ma con ironia di Stephen Sondheim (vedi Pretty woman) che inizia con incipit d’organo possente, alla fotografia di Wolski, gli elementi del film basato sul musical andato in scena a Broadway con la Lansbury nel 1979, son magistrali; ma la somma degli addendi produce, nonostante i fiotti rossi che sgorgano da gole ben rasate e sgozzate, qualcosa di cinematograficamente ripetitivo e poco dinamico. Burton rispetta l’origine teatrale e chiude i numeri canori, non doppiati, come sul palco. Dove il furioso Depp con ciuffo bianco, la Bonham Carter che sembra la Sposa cadavere, Alan Rickman, Spall e Sacha Baron Cohen (l’intrepido italiano folk con salvietta tricolore) ci offrono compiaciuti disgusti con stile. Burton esalta gli amanti diabolici nella loro piccola bottega degli orrori, la filiera gola-salsiccia, e regala un magnifico presagio di vita di coppia da sit com in un fluire visionario stilizzato con fondali e figure quasi disegnati, sentimenti da fiabe crudeli. Un inno efferato della famiglia al grand guignol più efferato in cui Burton ha sostituito il cioccolato col sangue. E nessuno sogna, solo incubi.

MMaurizio Porro, Il Corriere della Sera, 22 febbraio 2008

 

Grande film di vendetta, d’amore e di cannibalismo, Sweeney Todd di Tim Burton. Arriva di notte nel porto di Londra una nave con vele nere. A bordo c’è un uomo che, dopo aver scontato 15 anni di prigione, torna per vendicarsi del giudice che condannò lui, che s’impadronì di sua moglie e della loro figlia. Ritrova la casa dove lavorava, la padrona signora Lovett che ha conservato per lui i suoi rasoi d’argento. Ne brandisce uno col grido terribile: ‘Finalmente il mio braccio è nuovamente intero!’. Pare che il barbiere Sweeney Todd sia realmente esistito nel Settecento a Londra e abbia tagliato la gola a 160 persone. Ma pare anche che sia un personaggio da romanzo inventato da Thomas Peckett Prest nel 1846. Nel libro il protagonista taglia la gola ai clienti seduti sulla sedia da barbiere, calandone poi i corpi attraverso uno scivolo in un locale sottostante per macinarli e usarli come ripieno dei pasticci di carne preparati dalla signora Lovett; produzione di gran successo, a causa della carne umana dolce e fresca. Dal romanzo vennero tratti nel tempo spettacoli teatrali, cinematografici, televisivi; nel 1979 se ne ricavò il musical di Sondheim – Wheeler che è all’origine di questo film di Tim Burton. Grande film. In bianco e nero, con chiazze sanguigne o nuvole chiare di capelli d’oro, nello stile dei classici horror del cinema muto (Nosferatu): personaggi pallidissimi con gli occhi pesti, vestiti di nero, dall’aria tragica (Johnny Depp, il barbiere vendicatore, ha una frezza bianca sulla fronte). Londra lurida, misera e lustra di pioggia nel lavoro perfetto di Dante Ferretti. Musica meravigliosa: e tutti gli attori, compresi i complici Helena Bonham Carter e Depp, cantano benissimo pur non sapendo cantare (in inglese, mentre i dialoghi sono tradotti in italiano). Un solo momento comico: l’apparizione di Sacha Baron Cohen, azzimato e imparruccato, barbiere italiano vanesio e ricattatore inventore dell’Elisir Pirelli che fa crescere i capelli. Grande film recitato magnificamente, vibrante di tragicità, passione, dolore, con un’autenticità da maledizione esistenziale: maturo, sincero, bellissimo.

LLietta Tornabuoni, La Stampa, 22 febbraio 2008

 

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