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Little Miss Sunshine - Scheda del film

CINEFORUM ARCIFIC OMEGNA

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in collaborazione con:

CINEMA SOCIALE – S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

PREMIO GRINZANE CINEMA

Giovedì 8 novembre 2007 – scheda n. 5 (735)

 

Little Miss Sunshine

 

Titolo originale: idem

Regia: Jonathan Dayton, Valerie Faris

Sceneggiatura: Michael Arndt. Fotografia: Tim Suhrstedt.

Montaggio: Pamela Martin. Scenografia: Kalina Ivanov.

Interpreti: Abigail Breslin (Olive Hoover), Greg Kinnear (Richard Hoover), Paul Dano (Dwayne),

Alan Arkin (nonno Edwin), Toni Collette (mamma Hoover), Stefe Carell (Frank Ginsburg).

Produzione: Big Beach Films. Distribuzione: Fox.

Durata: 101’. Origine: Usa, 2006.

 

I registi

 

Little Miss Sunshine è stato diretto da una coppia di registi, marito e moglie nella vita. Jonathan Dayton è nato nel 1957 in California. Valerie Faris è nata nel 1958, a Los Angeles. Tutti e due vengono dai videoclip (Red Hot Chili Peppers, Oasis, R.E.M., Smashing Pumpkins e tanti altri gruppi) e questo è il loro esordio nel cinema. Il film ha ricevuto una vera e propria valanga di premi in giro per il mondo in una spropositata quantità di festival, tra cui il Sundance e Locarno.

 

La critica

 

Una commedia cinica e intelligente, divertente e amara che mette una bomba sotto una stravagante famiglia ma poi tenta di ricucire. Chissà. Padre in crisi, mamma indaffarata, figlio nichilista e silenzioso, zio gay fresco di suicidio e amante di Proust, nonno freak, strafatto e sboccato, tutti al servizio di un viaggio scombinato on the road in California dove la piccola di casa gareggia al concorso di Little Miss Sunshine. Viaggio d'inferno verso la sfilata delle piccole Barbie, una delle mostruosità americane di cui si contesta la voglia di vincere a tutti i costi. Commedia sfrontata e farsesca dove tutti perdono pezzi, ma non perde colpi la serrata regìa coniugale di Dayton e Faris con un magnifico cast di caratteri, da Greg Kinnear, che passa il ruolo di gay a Steve Carell, Toni Collette, Alan Arkin, la bimba prodigio e incubo Abigail Breslin. Film sorpresa, da non perdere.

Maurizio Porro Il Corriere della Sera, 22 settembre 2006


Il segreto di Little Miss Sunshine è sconvolgere lo schema tipico della sitcom in chiave di teatrino della crudeltà, senza perdere in simpatia. Quella degli Hoover di Albuquerque è una classica famigliola americana formata da Greg Kinnear, la moglie Toni Collette e due figlioli, l'adolescente Paul Dano e Abigail Breslin di anni sette. In più ci sono il nonno paterno Alan Arkin e lo zio Steve Carell, fratello di Collette, appena dimesso dall'ospedale. Tutto molto tipico e sano, salvo il fatto che Greg è autore di un programma su come avere successo che non ha alcun successo; che Toni, al secondo matrimonio, è talmente impegnata a mantenere l'equilibrio fra i suoi cari da rischiare di vedere saltare il proprio; che Paul, seguace delle teorie di Nietzsche e in rotta con tutti, ha deciso di restare muto e comunica esclusivamente tramite bigliettini; che il nonnino, sempre su di giri, è stato sbattuto fuori dall'istituto per uso di droga e che Carell, reputato studioso di Proust, è reduce da un tentativo di suicidio per aver perso insieme l'amore e un importante riconoscimento accademico. L'unica a emanare una sorta di assurda positività è Abigail, che pur cicciottella e occhialuta è convinta di poter vincere il concorso di bellezza Little Miss Sunshine. L'evento coinvolge l'intero clan in un viaggio tragicomico verso Redondo, California, dove si svolge la gara. A bordo di uno scassato furgoncino, perfetto simbolo di una incasinata realtà interiore, vengono fuori frustrazioni e idiosincrasie che mettono i rapporti interpersonali a dura prova, finché nel grottesco finale la famiglia si ricompatta. Infranto da tempo il sogno americano, ora si parla di «disfunzione americana» e lo sceneggiatore Michael Arndt vi getta uno sguardo ironico e divertito, raccontando con una certa verità l'odierna difficoltà di vivere. Felicemente scelti e intonati, gli attori incarnano i personaggi con un'affettuosità che li riscatta.

Alessandra Levantesi, La Stampa, 22 settembre 2006

 

Ecco a voi la famiglia Hoover: madre affettuosa ma un po' carente come casalinga, zio intellettuale e gay, tentato suicida per amore, padre col progetto di lanciare un manuale per vincenti in nove step, nonno sniffone e sporcaccione che prepara la nipotina per il numero coreografico da presentare alla finale di Little Miss Sunshine, competizione californiana di bellezza per bambine. E poi c'è il figlio quindicenne, che ha fatto voto di silenzio e considera tutti i suoi familiari una massa di falliti. Un florilegio di scoppiati come non se ne vedevano dagli anni 70. E infatti, ad accompagnare la piccola alla finale in un hotel californiano ci vanno su un furgone Wolkswagen, perché in aereo costerebbe troppo, e non ci nascondono nessuna delle loro debolezze e dipendenze, si prendono tutti i tempi morti che trovano (e non solo in senso figurato) e si ritrovano addosso come un boomerang il motivo per cui sono partiti, che, alla fine, come da copione, non è più così essenziale. Niente di nuovo ma tutto gira, ci scappa anche qualche risata, per lo più per gli effetti grotteschi, in sceneggiatura si avverte l'umanità dei personaggi ma anche la forzatura della costruzione di un gruppo familiare dalla bizzarra esemplarità. La ridicolizzazione del fanatismo (non solo statunitense) per la bellezza e il successo è un po' facile e già vista, ma la naturalezza dei protagonisti compensa la prevedibilità del discorso: al programmatico ritmo rilassato, quasi sciatto, del viaggio fa da contraltare un finale che è un piccolo colpo di coda. Un inno alla normalità da recuperare, perché da vicino nessuno è normale. Di questi tempi, è già qualcosa.

Raffaella Giancristofaro, Film Tv, n. 39, 26 settembre 2006


Little Miss Sunshine è una rivelazione. Famiglia disfunzionale, gli Hoover partono per la California dove la piccola Olive, sette anni, sogna di diventare reginetta di bellezza nel concorso che dà il titolo al film. La accompagnano un padre dall'ottimismo malato (è un fallito che pretende di rivelare la ricetta del successo), un nonno tossicomane, uno zio maniaco-depressivo reduce da un tentativo di suicidio, un fratello nichilista che ha fatto il voto del silenzio e la mamma, che tenta invano d'incollare i cocci. Come nei film di Alexander Payne (A proposito di Schmidt, Sideways), cui fa pensare, il viaggio avrà un valore terapeutico. Se all'inizio i personaggi sono chiusi nelle rispettive nevrosi, l'esperienza li induce a trasgredire le proprie regole e ad aiutarsi. L'evoluzione della sceneggiatura segue le peripezie degli Hoover, fino a una presa di coscienza non imprevedibile ma in sintonia col partito-preso umanista del film; che, nell'epilogo, cede però troppo alle tentazioni moralistiche e caricaturali. A discarico, bisogna dire che il concorso (riprese autentiche), in cui sfilano bambine con trucco e atteggiamenti provocanti da adulte, è qualcosa di autenticamente grottesco. Peggio. Di agghiacciante.

Roberto Nepoti, La Repubblica, 22 settembre 2006

 

Avete presente quei film che ti fanno uscire dal cinema con un sorriso largo così e con il dubbio che forse il mondo non sia proprio tutto da buttare? Ecco, Little Miss Sunshine appartiene a questa categoria. Non è l'ottava meraviglia della Settima Arte. Non è niente che possa entrare in qualsivoglia manuale della storia del cinema, se non forse in uno dedicato al festival di Sundance e ai suoi derivati. Però è un film che con una trama esile esile, un furgoncino Volkswagen e sei personaggi allegramente scalognati ti restituisce un briciolo di forza, coraggio e buonumore per affrontare le seccature della vita. La famiglia Hoover è la quintessenza di ciò che la società contemporanea umilia con la definizione "perdente". Il papà Richard è un maniaco dell'autostima che tiene corsi a cui non partecipa nessuno e si illude di veder pubblicata la sua teoria dei "nove passi". Il figlio adolescente Dwayne odia tutto e tutti (tranne Nietzsche) e ha promesso di non aprire più bocca finché non entrerà nell'aeronautica. Il nonno Edwin è un vecchio sboccato che compra riviste porno e si è fatto cacciare dalla casa di riposo perché sorpreso a sniffare eroina. Lo zio Frank è un omosessuale studioso di Proust che si taglia le vene dopo aver perso lavoro e fidanzato. La mamma Sheryl, infine, è semplicemente una mamma che tenta di convincersi e convincere gli altri che in famiglia va tutto bene, chiudendo un occhio e spesso anche due. In mezzo a tutto questo vortice di disperazione, l'unica scintilla arriva dal basso della piccola Olive, una bambina fissata con i concorsi di bellezza a cui capita di essere ammessa alla finale di Little Miss Sunshine (tradotto in italiano con "Miss Piccola California" o qualcosa del genere). L'intera famiglia decide di accompagnarla al concorso, in un lungo e avventuroso viaggio verso la West Coast, dove ne accadranno di tutti i colori e dove - come da copione - tutti i personaggi riscopriranno il legame che li tiene uniti. Un film brillante, divertente, educatamente nemico del perbenismo, del conformismo e del politically correct.

Luca Castelli, Il Mucchio Selvaggio, novembre 2006

 

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