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Giovedì 22 ottobre 2009 – Scheda n. 2 (787)
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Questione di cuore
Regia: Francesca Archibugi.
Sceneggiatura: Francesca Archibugi, Guido Iuculano, dal romanzo di Umberto Contarello.
Fotografia: Fabio Zamarion. Montaggio: Patrizio Marone.
Scenografia: Alessandro Vannucci. Musica: Battista Lena.
Interpreti: Kim Rossi Stuart (Angelo), Antonio Albanese (Alberto),
Micaela Ramazzotti (Rossana), Francesca Inaudi (Carla), Chiara Noschese (Loredana),
Paolo Villaggio (Renato), Andrea Calligari (Airton), Nelsi Xhemalaj (Perla).
Produzione: Cattleya. Distribuzione: 01 Distribution.
Durata: 110’. Origine: Italia, 2008.
Francesca Archibugi
Nata a Roma nel 1960, Francesca Archibugi è entrata molto giovane, a sedici anni, nel cinema, interpretando un ruolo nel film Le affinità elettive (1979) di Gianni Amico. Si è poi iscritta al Centro Sperimentale di Cinematografia e ha frequentato la Scuola di Bassano, diretta da Ermanno Olmi. Dopo aver diretto i corti La piccola avventura (1983) e Un sogno truffato (1984), debutta nel lungo con Mignon è partita (1988), seguito da Verso sera (1990) con Sandrine Bonnaire e Marcello Mastroianni, e Il grande cocomero (1993). Nel 1994 dirige l'adattamento dell'omonimo romanzo di Federigo Tozzi Con gli occhi chiusi e nel 1998 L'albero delle pere con Valeria Golino e Sergio Rubini. Del 2006 è Lezioni di volo con Giovanna Mezzogiorno. Infine, il film di stasera, Questione di cuore.
La critica
Si può ancora fare oggi una commedia «all’italiana»? O meglio: che senso ha, in questi anni sfilacciati e porta-a-portisti (dove anche le cose serie si riducono a teatrino di retorica e vanità), che senso ha raccontare una storia con le unghiate e le furbizie della commedia alla Age e Scarpelli? O alla Scola e Maccari? Francesca Archibugi, che di Scarpelli è un’allieva orgogliosa, ci riprova dopo qualche regia non molto indovinata, recuperando una scrittura forse meno ambiziosa ma più oliata, dove lo scontro di caratteri prende il posto di quello generazionale e l’incontro interclassista con l’altro diventa momento di conoscenza e di esperienza. Della commedia (e della scuola) «all’italiana », però, è rimasto molto poco, se non il punto di vista romanocentrico con annesse inflessioni dialettali. Ma forse sarebbe solo illusione aspettarsi la rinascita di un genere che agli anni Sessanta e Settanta era irrinunciabilmente legato. Meglio dimenticare Risi e Monicelli e recuperare la lezione di un Comencini più umanista e «antropologo». Da lì e dal romanzo quasi omonimo di Umberto Contarello (nel libro, pubblicato da Feltrinelli, c’è un articolo in più: Una questione di cuore) parte l’Archibugi per raccontare l’incontro tra due tipi opposti, accomunati da un infarto e da una degenza comune in ospedale. Alberto (Antonio Albanese) è uno sceneggiatore farfallone e inaffidabile, che convive con un’attrice (Francesca Inaudi) senza sapere bene il perché e che sembra sfruttare la sua cultura e le sue intuizioni più per far colpo sulle donne che per onorare gli impegni di lavoro. Angelo (Kim Rossi Stuart) è un carrozziere di borgata, che ha chiamato la primogenita Perla e il figlio Airton (in onore di Senna), che è in attesa di un terzo figlio dalla moglie Rossana (Micaela Ramazzotti) e che dal proprio lavoro sa trarre molte soddisfazioni, compresi quei compensi in nero che gli hanno permesso di costruirsi una più che solida sicurezza economica.
Il borghese e l’artigiano, uno che gioca con le parole e un altro che non riesce a evitare di esprimersi in dialetto, l’uomo di mondo (che in ospedale riceve la visita degli artisti per cui ha lavorato: Luchetti, Virzì, Sorrentino, Verdone – che regala due minuti indimenticabili – la Sandrelli) e il borgataro: la differenza di caratteri non potrebbe essere più evidente e il film corre lungo i binari di questo incontro/scontro, mescolando un po’ di sociologia spicciola (Angelo abita al Pigneto, il quartiere popolare dove Pasolini ambientò Accattone; Alberto non può fare a meno dello psicoanalista, un simpatico cameo del critico Adriano Aprà) e molto, molto mestiere. Che non è certo una critica, ma piuttosto la constatazione di una professionalità sempre più rara oggi in Italia. La Archibugi dimostra in questo film di saper usare al meglio tutti gli strumenti di cui può disporre un regista. Come la sceneggiatura (firmata in prima persona) che sa evitare le tante trappole che un tema così poteva disseminare, a cominciare dal facile pietismo che può innescare la malattia. E come la scelta dei due protagonisti, che ti saresti aspettato di vedere in ruoli opposti e che invece in questo modo sanno rendere – per bravura e sfumature di interpretazione ma anche per merito della direzione registica – sempre interessanti personaggi che potevano essere stereotipati. Perché il colto e raffinato intellettuale che scopre i valori dell’amicizia e della solidarietà e l’ex proletario che rivela sensibilità e impensate generosità, ribaltando il quadro umano d’inizio film, non sono certo una trovata originalissima. Ma nel film dell’Archibugi funzionano e da spettatore ti ritrovi a seguire l’evoluzione dei due amici di corsia per scoprire come andrà a finire. Certo, il personaggio di Alberto è più interessante perché più complesso (e sicuramente più vicino alla regista) e a lui sono affidate le scene più indovinate, come i battibecchi con l’infermiera dal volto triste (Chiara Noschese) o la lezione di sceneggiatura al piccolo Airton (Andrea Calligari). Senza contare che Albanese ha una carica di simpatia capace di vivificare anche i personaggi più antipatici. Ma anche Kim Rossi Stuart, il cui personaggio ha un’evoluzione psicologica (e medica) più scontata, riesce a evitare pietismi o lacrimucce ricattatorie. Per non parlare delle due donne, la Ramazzotti e la Inaudi, convincenti in due ruoli non certo facili. Resterebbe da rispondere alla domanda iniziale (magari modificata così: che tipo di commedia si può fare oggi in Italia senza scadere nella farsa o nella fiction televisiva?) e poi chiedersi perché la realtà, la realtà vera di questi anni, più brutti che sporchi e cattivi, finisca per apparire irrimediabilmente edulcorata o troppo distante dalle nostre commedie, anche da quelle ben fatte e piacevoli come Questione di cuore. Ma sono domande troppo complesse e forse troppo difficili per tutti, registi e critici compresi...
PPaolo Mereghetti, Corriere della Sera, 17 aprile 2009
Una bellissima storia di amicizia maschile e bravissimi attori stanno al centro di Questione di cuore, diretto da Francesca Archibugi, tratto dal romanzo di Umberto Contarello (Feltrinelli). Due uomini giovani si conoscono per caso nel reparto rianimazione dell'ospedale romano in cui sono tutti e due ricoverati per aver subìto un infarto. Non si somigliano, hanno nulla in comune. Kim Rossi Stuart è uno degli infiniti italiani senza più identità sociale: ex sottoproletario, ex carrozziere di ex borgata divenuto piccolo imprenditore d'un quartiere alla moda. Quel che non ha perduto è l'identità umana: un uomo bello, calmo, innamorato della moglie, buon padre di due figli, generoso, scherzoso. L'altro, Antonio Albanese, è uno sceneggiatore solitario, temperamentale, rumoroso, freddo sentimentalmente. Diventano amici senza ragione, al modo degli adolescenti: complicità, risate, divertimento, confidenza. (...) La bravura degli attori, specialmente di Kim Rossi Stuart, è grande; la drammaticità della vicenda pure, e anche la presenza di Micaela Ramazzotti nella parte della moglie di Kim è essenziale per espressività e femminilità profonde. La finezza dell'attrice nel vedere spegnersi il marito e fingere di nulla è simile alla eloquenza di Rossi Stuart con le sue gambe deboli, il colorito terreo, i piccoli gesti affaticati, i sorrisi forzati della paura. Albanese, bravissimo sempre, sembra una molla caricata di vitalità: chiede e chiede al nuovo amico divenuto ormai indispensabile, vuole lavorare con lui e sperimentare i vantaggi della fatica fisica, si mescola alla famiglia di lui, pare un cinghiale che frughi alla ricerca di nutrimento. Bisogna essere davvero bravi per ottenere qualcosa di simile, e lo è Francesca Archibugi, da sempre architetto dei sentimenti, investigatrice delicata e forte del cuore della gente, eccellente direttrice d'attori e analista d'Italia.
LLietta Tornabuoni, La Stampa, 17 aprile 2009
È un film molto italiano Questione di cuore; ma per classificarlo, la più efficace sembra l'espressione inglese comedy-drama: quel tipo di storia dove commedia e dramma si fiancheggiano di continuo, gestendo alternativamente le emozioni dello spettatore. (...) Storia di un grande gesto d'amore, il film è - si diceva - anche una commedia, spesso divertente ma senza rinunciare a motivare l'evoluzione psicologica dei caratteri. Angelo e Alberto subiscono una regressione: già l'amicizia (come l' amore) è regressiva; loro però, dopo la paura, recuperano l' ingenuità un po' cialtrona e disarmata degli adolescenti. Benché sembri un film declinato al maschile, Francesca Archibugi rivolta delicatamente le carte mettendo al centro di tutto una donna, Rossana, intorno alla quale ruotano gli avvenimenti. L'andamento del racconto è verosimile, senza forzature, con particolari accurati, simboli discreti (la Rolls bianca e la 500 nera), acute notazioni d'ambiente (il Pigneto, dov'è la casa di Angelo). Unica nota stonata, forse, la visita ad Alberto, degente in ospedale, dei vip del nostro cinema; con Carlo Verdone che si fa il verso, simpaticamente fuori luogo. Ma, se lo sono, si tratta di peccati veniali. Il cast principale, quello funziona molto bene; e Albanese, in un "carattere" insolito per il nostro cinema, è davvero eccellente.
RRoberto Nepoti, La Repubblica, 17 aprile 2009
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