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Ponyo sulla scogliera - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE – S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS



Giovedì 3 dicembre 2009 – Scheda n. 8 (793)

 

 

 

Ponyo sulla scogliera

 

 

Titolo originale: Gake no ue no Ponyo.

 

Regia, sceneggiatura e montaggio: Hayao Miyazaki.

 

Musica: Joe Hisaishi; la canzone Ponyo sulla scogliera, scritta da Katsuya Kondô e Hayao Miyazaki,

con musica di Joe Hisaishi, è cantata da Takaaki Fujioka, Naoya Fujimaki e Nozomi Ohashi.

Produzione: Studio Ghibli. Distribuzione: Lucky Red.

Durata: 101’. Origine: Giappone, 2008.

 

 

 

 

Hayao Miyazaki

 

Il cinema di animazione, i cartoni animati, si sono rapidissimamente evoluti negli ultimi decenni, da quando sono entrati in scena i computer. Negli studi americani, soprattutto alla Pixar, i cartoni è da un bel po' che si fanno (magnificamente) con i programmi computerizzati. In Giappone invece c'è ancora qualcuno, soprattutto il grande Hayao Miyazaki, che li fa sempre foglio dopo foglio, disegno dopo disegno, 24 disegni al secondo, circa centomila disegni per un film di 90' minuti, un po' di più per questo che di minuti ne dura 101. Miyazaki racconta fiabe, sempre coinvolgenti ed emozionanti, su temi ambientalistici, di difesa della natura. Fiabe fantastiche e reali insieme, con personaggi veri e altri inventati. Storie di magia e di spiritualità. Molto giapponesi. Figlio di un dirigente della fabbrica di aerei di famiglia, Hayao Miyazaki (Tokyo, 1941) si laurea in scienze politiche ed economia, milita in un sindacato di sinistra, decide di diventare disegnatore e viene assunto allo studio Toei. Dirige alcuni episodi della prima serie di Lupin III. Poi comincia a curare altre serie, famose anche in Italia: Heidi (1974), Marco - Dagli Appennini alle Ande (1975), Anna dai capelli rossi (1979), Conan, il ragazzo del futuro (1978). Nel 1979 dirige il suo primo lungometraggio, Il castello di Cagliostro, uno dei film dedicati a Lupin III. Nel 1984 esce Nausicaa della Valle del Vento. Il successo del film gli permette di fondare uno studio tutto suo. Nasce lo Studio Ghibli, dal nome di un aereo italiano della Seconda Guerra Mondiale. Vengono altri film meravigliosi (si trovano i dvd) Laputa – Il castello nel cielo (1986), Il mio amico Totoro (1988), Kiki's Delivery Service (1989), Porco Rosso (1992, ambientato in Italia), Principessa Mononoke (1997), La città incantata, (2001, Orso d'oro al Festival di Berlino e Oscar per il miglior lungometraggio di animazione), Il castello errante di Howl (2004). Nel 2005 riceve il Leone d'oro alla carriera al festival di Venezia.

 

La critica

 

Di fronte ai film di Miyazaki, al fascino misterioso e insieme infantile delle sue storie a disegni animati (nonostante l'avanzare della tecnologia lo studio Ghibli produce ancora film con la matita e gli acquerelli, disegnati a mano), si rischia di cadere in una doppia trappola: da una parte sforzarsi di cercare in quelle storie più significati e riferimenti culturali di quelli che realmente contengono, finendo per sovraccaricare di eccessivi valori metaforici o contenuti misterici i suoi film; dall'altro liquidare tutto come 'semplici' favolette per bambini, dove la ricchezza e la complessità dell'ispirazione si stemperano nell'ennesima variante di un orientalismo alla moda. Un doppio errore che finisce per ottenere lo stesso effetto: appesantire la poesia (e la magia) che rendono davvero unici i film di Hayao Miyazaki, il cui ultimo film Ponyo sulla scogliera, dopo aver raccolto caldi applausi all'ultima Mostra di Venezia, arriva adesso sugli schermi italiani e contemporaneamente in libreria, in un coloratissimo album Mondadori. La storia, come spesso nelle opere di Miyazaki, è semplicissima: una pesciolina rossa si è innamorata del bambino che l'ha salvata tirandola fuori da un vasetto di vetro finito sul bagnasciuga e vorrebbe vivere sempre con lui, trasformandosi in una bambina. Tutto qui, o quasi, perché il padre della pesciolina, che è uno strano scienziato umano di nome Fujimoto e che vive negli abissi marini col sottomarino Squalo-Elefante e che odia gli uomini e le terre emerse, vuole ostacolare quell'amore e fa di tutto per mettere i bastoni tra le ruote. Già a fermarsi qui ci sarebbero tanti punti di domanda in attesa di risposte: chi è questo misterioso Fujimoto e perché odia gli umani? Come ha fatto a essere il padre della pesciolina e di tanti altri animali? Come può un pesce, ancorché di sesso femminile, pensare di potersi trasformare in una bambina, con tanto di mani e gambe? E perché quando avviene la trasformazione, il bambino (che si chiama Sosuke) non ha dubbi nel riconoscere nella bambina proprio la pesciolina salvata dal barattolo e che aveva chiamato Ponyo? Ma a farsi tutte queste domande, si finisce per cercare di usare elementi razionali per interpretare una storia (una 'favola') che di razionale ha ben poco. Seguendo la storia, che vede in campo anche la mamma di Sosuke, Risa, e il padre Koichi, ci si accorge che il piacere dell'invenzione prende forza su tutto. E il gusto per il disegno spinge il film verso invenzioni narrative del tutto inusitate, come i 'pesci- acqua' che gli adulti scambiano per onde e i bambini vedono nella loro reale forma animalesca. (...) Nel mondo di Miyazaki il mistero e l'irrazionale vengono accettati come eventi naturali, come fatti normali. Proprio come nessuno si stupisce che uno tsunami possa sommergere completamente il paese di Sosuke ma non uccida nessuno, anche perché una gigantesca medusa copre come una bolla d'aria gli indifesi ospiti di un ospizio completamente sott'acqua... È questa capacità di raccontare la realtà secondo logiche non tradizionali che fa la grandezza e il fascino del film e l'inconfondibile tocco d'autore di Miyazaki. La sua fantasia si nutre di tutti i miti fondanti della cultura giapponese, a cominciare dall'ambivalente presenza del mare, elemento di vita e insieme sfida rischiosa, per continuare con il ruolo positivo e rassicurante delle figure femminili a fronte della latitanza di quelle maschili (guarda caso il padre di Sosuke, Koichi, fa il capitano di una nave e per questo passa molto tempo fuori casa). Nel film si possono anche ritrovare alcuni dei simboli figurativi più ricorrenti nella cultura nipponica, dall'onda marina che prende sembianze vitali (ora i misteriosi pesci-acqua, ora l'ancor più misteriosa Mammare) alla casa solitaria che si erge contro la furia degli elementi e diventa inattaccabile rifugio. Ma niente è mai troppo sottolineato o rimarcato, perché altrimenti la fantasia e l'invenzione non potrebbero avrebbe quella libertà che invece in Ponyo sulla scogliera esplode con un piacere contagioso.

PPaolo Mereghetti, Il Corriere della sera, 20 marzo 2009

 

L'immagine più bella dell'incantevole Ponyo sulla scogliera è quella di una bambina a braccia aperte che corre a perdifiato sulla cresta di un'onda gigantesca. Corre per fuggire al mondo in cui è nata, gli abissi marini. Corre perché solo così potrà completare la sua metamorfosi da creatura ibrida, metà pesce e metà umana, in bambina vera e propria. Ma soprattutto corre dal suo amore Sosuko, il bambino che l'ha raccolta e salvata sugli scogli, quando era ancora una pesciolina dalla chioma rossa, e che ora vuole ritrovare a tutti i costi. Dovesse anche abolire la barriera che separa i due mondi e scatenare una tempesta colossale come quella che adesso cavalca, ma che rischia di inghiottire e cancellare le terre emerse. Avessimo ancora avuto dei dubbi su ciò che Miyazaki vuole raccontare con questa fiaba che riprende e stravolge La sirenetta di Andersen, la scena in cui la piccola Ponyo sfida il suo elemento (e suo padre) per decidere del proprio destino, ci mette di fronte all'evidenza. Anche se i protagonisti sono due bimbetti in età prescolare, il geniale autore della Principessa Mononoke e della Città incantata ci trascina nel gorgo di una fiaba d'amore modellata dall'elemento più mutevole e inarrestabile che ci sia: l'acqua. Con tutte le risonanze psicanalitiche del caso, naturalmente. Non c'è bisogno di conoscere Bachelard per avvertire una nota profonda e a tratti vagamente inquietante in questo tripudio di 'irati flutti' che avvolge ogni fotogramma del film, sopra e sotto la superficie del mare (fedelmente ricapitolati dal libro illustrato Mondadori). In un susseguirsi di invenzioni formali che da un lato reinventano i grandi nomi dell'arte giapponese, da Hokusai a Hiroshige (con i loro epigoni europei, in testa Van Gogh, vedi la casa sulla collina di Sosuke); dall'altro danno forma a quel magma di affetti, emozioni, pulsioni, che chiamiamo amore (in tutte le sue varianti: materno, fraterno, carnale...). Un sentimento che affonda le sue radici nella prima infanzia e qui si fonde a quella scoperta meravigliata del mondo, delle sue sostanze, delle sue apparenze, che l'ex-pesciolina Ponyo compie sotto i nostri occhi. Il resto segue il lussureggiante gusto per la mitologia di Miyazaki, insuperabile inventore di universi e di creature che traducono nel linguaggio semplificato ma potente dei cartoons il tumultuoso ribollire di sogni, fantasticherie, desideri, che pulsa appena sotto la superficie della nostra coscienza. Ed ecco i proliferanti pesci-acqua, servizievoli e spaventosi. Ecco le sorelline di Ponyo, innumerevoli come un branco di pesci (di spermatozoi?). Ecco quella Grande Madre marina (anzi 'Mammare') che il padre di Ponyo, uno scienziato ritiratosi sotto gli oceani, brama e teme insieme (comparatisti all'erta: questa è la seconda cine-sirena dell'anno, e sempre di carta, dopo quella che consola il soldato di Valzer con Bashir). Davvero un film da non perdere. A qualsiasi età.

FFabio Ferzetti, Il Messaggero, 20 marzo 2009

 

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