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Il giardino di limoni - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE – S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS



Giovedì 17 dicembre 2009 – Scheda n. 10 (795)

 

 

Il giardino di limoni

 

 

Titolo originale: Etz limon.

 

Regia: Eran Riklis.

 

 Sceneggiatura: Suha Arraf, Eran Riklis. Fotografia: Rainer Klausmann.

Montaggio: Tova Ascher. Scenografia: Miguel Markin. Musica: Habib Shehadeh Hanna.

Interpreti:  Hiam Abbass (Salma Zidane), Ali Suliman (Ziad Daud),

Rona Lipaz-Michael (Mira Navon), Doron Tavory (Navon, il ministro della difesa),

Tarik Copty (Abu Hussan), Amos Lavie (Capitano Jacob), Amnon Wolf (Leibowitz),

Smadar Yaaron (Tamar Gera), Ayelet Robinson (Shelly), Danny Leshman (Soldato Quickie),

Liron Baranes (Gilad), Loai Nofi (Nasser  Zidane), Hili Yalon (Sigi Navon).

Produzione: Heimatfilm. Distribuzione: Teodora Film.

Durata: 106’. Origine: Israele, 2008.

 

 

 

 

Eran Riklis

 

Nato a Gerusalemme, nel 1954, cresciuto tra gli Stati Uniti, il Canada e il Brasile, Eran Riklis si è diplomato in cinema in Inghilterra, nel 1982. È il più noto tra i registi israeliani in attività. Film d'esordio: On a Clear Day You Can See Damascus (1984). Poi: Cup Final (1992), Zohar (1993), Vulcan Junction (2000, sul rock), Temptation (2002) e La sposa siriana (2004, visto al Cineforum), distribuito in tutto il mondo e vincitore di molti premi internazionali. Il giardino di limoni è il suo ultimo film, vincitore al festival di Berlino del premio del pubblico e presentato anche con successo al Torino Film Festival.

Qualche dichiarazione di Riklis: «La situazione del Medio Oriente è in continua evoluzione, anche se a pensarci bene questa affermazione non è del tutto vera. Speranza, ottimismo, pessimismo, nuovi orizzonti, rivoluzioni, un nuovo giorno, il futuro, il passato: sono parole usate in continuazione per descrivere la situazione di un luogo dove è accaduto di tutto. Gli alberi, in fondo, sono sempre stati là a testimoniare quello che l’uomo stava facendo e, anche se a questo territorio solitamente si associano gli ulivi, la nostra storia parla di alberi di limoni che diventano addirittura una minaccia alla sicurezza nazionale. Fatto abbastanza inusuale per dei limoni… Quando ho finito di girare La sposa siriana, ero convinto che il film esprimesse in maniera compiuta quello che mi stava accadendo intorno, così come lo potevo conoscere e osservare in qualità di regista e cittadino israeliano. Poi, però, mi sono accorto che c’era ancora qualcosa da dire, e quando mi sono messo a scrivere Il giardino di limoni, ho pensato di dover compiere un ulteriore passo avanti nel descrivere tutta la follia del Medio Oriente, portando a conclusione un discorso iniziato fin dai miei primi film. So che potrebbe sembrare troppo ambizioso, ma non è così se si pensa che Il giardino di limoni è una storia semplice e racconta le vicende di persone che si ritrovano a combattere su questioni che potrebbero essere risolte più facilmente se solo ci si ascoltasse l’un l’altro. Quindi, il tema centrale diventa la nascita di una solidarietà tra le due donne protagoniste, Salma e Mira. Una solidarietà su due livelli, personale e insieme nazionale. Così come era successo per La sposa siriana e Cup Final, ho attinto dall’assurdo mix di dramma e ironia, tragedia e commedia, insomma da quel caos incredibile di luci e ombre che contraddistingue la storia di israeliani e palestinesi... Dopo il successo di La sposa siriana, volevo due cose: innanzitutto era mia intenzione lavorare ancora con Hiam Abbas, stavolta con un ruolo da protagonista, e poi ero deciso a affrontare la situazione del Medio Oriente molto da vicino: avrei raccontato della situazione esplosiva tra Israele e Palestina. Così ho iniziato a cercare, finché mi sono imbattuto in diversi processi di palestinesi contro lo Stato di Israele. Mi è sembrato molto interessante che i Palestinesi possano presentarsi davanti alla Corte Suprema Israeliana: evidentemente il sistema giudiziario israeliano funziona. Tutto sommato c’è un diffuso senso di ingiustizia, a causa dei tanti anni di occupazione. Il giardino di limoni è simile ad altre storie già accadute e che potrebbero ripetersi in futuro. È un film politico? Film politico per me è una definizione superata. Tutto oramai è “politico”, e qualunque cosa venga pronunciata, fatta o semplicemente pensata ha comunque un impatto politico. Ogni decisione presa dai politici ha un effetto immediato sulla gente soprattutto in questi territori, ma anche se vivi a Parigi, New York, Berlino. Il giardino di limoni non è “politico”, parla di gente intrappolata nei lacci della politica. Il ministro, sua moglie, l’avvocato, tutti intrappolati tra le loro vite e la situazione pubblica. Non è politico perché non impone nessun giudizio: racconta una storia, parla di emozioni, e, malgrado si muova su uno scenario esplosivo, volevo che fosse qualcosa di accessibile al pubblico di tutto il mondo».

 

 

La critica

 

Pagando di tasca propria e cercando finanziamenti ovunque per non dover dire troppi grazie ai condizionanti aiuti statali, l'autore produttore Eran Riklis, già acclamato per La sposa siriana, ha diretto un bellissimo apologo, vagamente biblico nel rapporto con Madre Natura, sul conflitto arabo-israeliano. La storia quasi vera è quella di una vedova che, sulla striscia della Cisgiordania presso la linea verde degli insediamenti ebraici, coltiva un fiorente, profumato campo di limoni ereditato dal padre. Da Gerusalemme il ministro della Difesa si fa la villa al limite della frontiera davanti all'agrumeto e così i servizi segreti decidono di abbattere la limonaia che potrebbe proteggere attacchi terroristici. Da qui il lungo iter legale, che diventa anche sentimentale per la proprietaria e l'avvocato, fino alla corte suprema di Israele. Le due sorprese: la silenziosa, complice amicizia tra la donna e la «dirimpettaia» moglie del ministro; la soluzione finale in cui una trovata nata dall'immaginifico poetico del dolore permette di coltivare tra i limoni anche una speranza per il futuro, assegnando per ora un diplomatico pareggio. Tra le doti del film, quella di mescolare abilmente dramma e commedia, sano neorealismo dai territori occupati dal '67 e una metafora profumata di agrumi gentilmente offerta da madre natura. È la ridicola dinamica di un assurdo conflitto che fa la suspense: è tra i succosi limoni che possono spuntare i kamikaze finché sarà pronto quel Muro dietro cui avvizziscono i limoni come i ciliegi cecoviani. La lotta in difesa dei limoni assume una valenza (poeticamente ma non retoricamente) universale, abbassando la lotta dal terreno al suo frutto, sciogliendosi dal manicheismo per entrare dentro la storia viva. Hiam Abbass è bella e ha un'intensità straordinaria in cui si riflette il sentimento pieno dell'opera, quasi una fiaba in cui con profonda leggerezza, a passi felpati, un bravissimo regista israeliano fa con coraggio la prima mossa di pace.

MMaurizio Porro, Il Corriere della Sera, 12 dicembre 2008

 

Sono storie di frontiera quelle narrate da Eran Riklis, solo all'apparenza paradossali per chi non possa risolversi ad accettare lo status quo in Medio Oriente; metaforiche anche, nel sottolineare come la soluzione è a portata di mano: basterebbe accantonare diffidenza e incomprensione, anche soltanto l'ottusa burocrazia che le alimenta. Ma di sicuro sono storie prive di retorica, potenti nella loro descrizione di una quotidianità aspra, di un'umanità desolata, deprivata delle più ordinarie aspirazioni quanto della speranza in un domani, se non dolce, quantomeno diverso. Personaggi forti, come la sposa siriana che, nell'opera precedente, attraversava le alture del Golan consapevole di non poter più tornare indietro; come la splendida vedova palestinese Selma di questo Lemon Tree (la grande Hiam Abbass, già sorella maggiore de La sposa siriana), i figli lontani fisicamente o emotivamente, un vecchio aiutante che la affianca nella cura del giardino di limoni che rappresenta la tradizione familiare e la memoria di una vita di coppia. Finché il destino le riserva l'amara beffa di trovarsi come vicino di casa - siamo ai limiti della Cisgiordania - il nuovo ministro della difesa israeliano, politico aggressivo accompagnato da un cospicuo apparato di sicurezza. Meglio non rischiare che pericolosi cecchini si introducano nella casa del politico attraverso l'agrumeto, e allora in una escalation di assurda prevenzione la mesta vedova si vede erigere dapprima uno steccato, poi una zona di sicurezza, infine un vero e proprio muro di contenimento tra le proprietà (...). Ma la donna non si arrende: assolda un giovane e piacente avvocato per una battaglia legale che giungerà fino alla Corte suprema, smuovendo i media ma anche attirando la riprovazione della comunità palestinese: troppo clamore e anche, in una società patriarcale, troppa intimità con un uomo tanto più giovane per una vedova rispettabile... Un barlume di solidarietà, quanto meno a distanza, potrebbe giungere dalla moglie 'reclusa' del ministro, condannata a restare in disparte e testimone muta di un inaccettabile sopruso di stato. Lo sguardo di Riklis è attento e penetrante, in un misto di dramma e ironia, tragedia e farsa. La situazione esplosiva del Medio Oriente è rivisitata attraverso storie di ordinaria, grottesca assurdità, rappresentazioni esemplari di degrado e sopraffazione dal gusto aspro e forte come il succo di limone. Sono tempeste dell'anima sceneggiate con grande perizia dal regista israeliano, di nuovo assieme a Suha Arraf che conosce molto bene la duplice sudditanza delle donne palestinesi: drammi affrontati sottovoce ma con un impatto dirompente. Presentato nei mesi scorsi a Berlino e San Sebastian, il film esce nelle nostre sale a pochi giorni dal passaggio al Torino Film Festival.

MMario Mazzetti, Vivilcinema, giugno 2008

 

 

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