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The Wrestler - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

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PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS



Giovedì 21 gennaio 2010 – Scheda n. 13 (798)

 

 

The Wrestler

 

 

 

Titolo originale: The Wrestler.

 

Regia: Darren Aronofsky.

 

Sceneggiatura: Robert D. Siegel. Fotografia: Maryse Alberti. Montaggio: Andrew Weisblum.

 Musica: Clint Mansell; la canzone “The Wrestler” sui titoli di coda è di Bruce Springsteen.

 Interpreti:  Mickey Rourke (Randy 'The Ram' Robinson), Marisa Tomei (Cassidy),

Evan Rachel Wood (Stephanie), Judah Friedlander (Scott Brumberg),

Giovanni Roselli (Shawn McPride), Todd Barry (Wayne), Ernest Miller (L'Ayatollah),

Gregg Bello (Larry Cohen), Ron Killings (Ozzie D.), Wass M. Stevens (Nick Volpe),

Elizabeth Wood (Melissa), Dylan Keith Summers (Hellbilly), Mike Miller (Lex Lethal),

Tom Faria (Tommy Rotton), Andrea Langi (Alyssa), John D'Leo (Adam),

Vernon Campbell (Big Chris), Mark Margolis (Len).

Produzione: Protozoa Pictures. Distribuzione: Lucky Red.

Durata: 109'. Origine: Usa, 2008.

 

 

 

Darren Aronofsky

 

Nato nel 1969 a New York, Darren Aronofsky ha inaspettatamente vinto il Leone d’Oro a Venezia con questo The Wrestler. Ha cominciato da giovane facendo il graffitaro, ha studiato cinema alla Harvard University, ha girato un corto come tesi di laurea: Supermarket Sweep (1991), poi altri due corti: Fortune Cookie (1991) e Protozoa (1993). Il suo primo lungo è Pi – Il teorema del delirio (1997), storia di un genio della matematica che vuole spiegare le leggi della natura e del comportamento umano attraverso l'uso dei numeri. Ambientazioni cupe e oniriche per il successivo Requiem for a Dream (2000). Deludente è L'albero della vita (2006), ambizioso e superficiale. Si riscatta con The Wrestler.

 

La critica

 

Beffato dai parrucconi dell'Oscar, Mickey Rourke è l'ultimo divo tutto genio & sregolatezza, l'ultimo a pagare le cambiali del perduto successo e l'ultimo a esibire orgogliosamente i vistosi rattoppi non solo imputabili al chirurgo plastico. In questo senso The Wrestler di Darren Aronofsky rappresenta un modello di autobiografia indiretta: il fu sex symbol di Nove settimane e mezzo vi campeggia in lungo e in largo, trovando nell'ambizioso autore di Brooklyn una chiave perfetta per sublimare in pura retorica americana i propri umanissimi guai. La trama dell'apologo a basso costo, dietro cui s'intravedono tanti titoli sul rapporto tra gloria sportiva e autodistruzione patetica, lo vuole infatti protagonista con la sua vera faccia rottamata e i suoi veri muscoli prossimi a franare in ciccia. Randy 'The Ram' Robinson, acclamato campione negli anni Ottanta, si accontenta ormai degli ingaggi nei locali di terza categoria del New Jersey, i cui show rendono ancora più pagliaccesche (ma non per questo meno dolorose) le acrobazie dei reduci del grande giro del wrestling. Il gigante buono è amato da tutti tranne che dalla figlia Stephanie, nevrotizzata dall'assenza della figura paterna; ma intanto la sequela di salti, calci, schienate, urlacci, autolesionismi e strangolamenti, ancorché combinata e finta, continua a richiedere inauditi stress ai colossali quanto usurati duellanti. L'inevitabile infarto sembra indurre il nostro a più miti consigli, come per esempio abbandonare il ring, imbottirsi di medicine utili anziché dei soliti anabolizzanti, riconquistare la stima di Stephanie e abbozzare un implausibile progetto matrimoniale con la ballerina di lap dance Cassidy (la Marisa Tomei più sexy di sempre). Il bello sta insomma nell'esasperata convenzionalità, che produce scarti grotteschi e tuttavia travolgenti come quando il bestione, con i lunghi capelli ossigenati racchiusi in una cuffietta e le manone tuffate tra insalate e formaggi, per sbarcare il lunario va a fare il commesso al bancone della rosticceria. A questo punto la platea non aspetta altro che il richiamo della foresta e il film punta dritto alla scelta funesta di Randy d'inscenare la pantomima della rivincita con il collega panzone travestito da arabo e soprannominato l'Ayatollah. Musica tonitruante ('Il rock era la mia vita, poi quel frocetto di Cobain ha rovinato tutto'), inquadrature ad altezza di botta in testa, dialoghi strappalacrime, un po' di sesso alla cocaina, odori di spogliatoio tra olio e disinfettante: all'acme di un finale prevedibile come un ingorgo all'ora di punta, dilagano sia il sapore antico del cinema-cinema che lo slancio d'affetto per la cariatide simpaticissima.

VValerio Caprara, Il Mattino, 7 marzo 2009

 

Su "The Wrestler" è stato scritto e detto tanto, dal Leone a sorpresa di Venezia alle nomination per l'Oscar, che c'è poco da aggiungere. Se non il consiglio di andare a vederlo perché si tratta di una notevole esperienza sotto l'aspetto umano prima che artistico. Mi spiego: il campione del titolo è un indomabile veterano della sfida-spettacolo chiamata wrestling (derivato da to wrest, cioè lottare), un genere di successo popolare negli Usa. Calci in faccia, cazzotti dove arrivano, strangolamenti e chi becca becca. C'è da farsi male, ma il film di Darren Aronofsky ci rivela che è tutta una 'combine': i feroci avversari del ring sono in realtà complici. Per eccitare il pubblico si mettono d'accordo in spogliatoio, studiano i colpi in grado di fare scena e fingono un forsennato antagonismo di facciata. Resta il fatto che in mezzo a tanto gesticolare c'è sempre il rischio che qualche botta arrivi a segno; e allora sono ecchimosi e fratture varie. Non è insomma un'impresa agevole. Sicché ho trovato lusinghieri gli apprezzamenti su Mickey Rourke dei veri wrestlers che hanno lavorato con lui. Le dichiarazioni sono apparse sulla rivista Total Film, che ha intervistato tipi dai nomi minacciosi come Ron Killings o Necro Butcher, oltre al campionissimo svizzero Claudio Castagnoli. Tutti concordi nel constatare che Mickey si è imposto come uno della famiglia, generoso e spericolato, sempre disposto a mettersi in gioco. Non mi pare che nessuno, all'apparire del fenomeno The Wrestler, sia andato a cercare Liliana Cavani per renderle un dovuto omaggio. Quando vent'anni fa la regista girò una nuova versione del suo Francesco (che aveva già fatto nel '66 per la tv con Lou Castel), scelse proprio Rourke, ovvero un divo che si spartiva tra l'erotico e il poliziesco; e tutti pensammo a una mossa per assicurare alla produzione un valore aggiunto di stampo hollywoodiano. Ricordo che se ne parlava così, mentre Liliana fu la sola ad accorgersi che dietro quel tipetto alla moda c'era un personaggio problematico, capace (misticismo a parte) di fare scelte insensate come quelle per le quali Francesco fu considerato matto. Dare un calcio all'agiatezza scegliendo di vivere in santa povertà fu la lezione del santo, a suo modo imitata da Rourke. Accadde infatti poco dopo l'intermezzo umbro che da attore di successo Mickey tornò a fare il pugile e con il nome di Marielito vinse in Florida nel 1991 il suo primo match. 'Mi ero reso conto che non mi piaceva il mestiere e non mi piacevo io - ha raccontato l'attore in un'intervista -. Sentivo un senso di colpa nell'avere successo facendo un film dietro l'altro e così mi sono rapidamente autodistrutto'. Solo dopo quattro o cinque anni, avendo in pratica smesso di lavorare per dedicarsi alla boxe, il nostro si rese conto che aveva esagerato e rientrò pian piano nella normalità. In tal modo è riuscito a cogliere al volo l'occasione di The Wrestler, un piccolo film a bassissimo costo che non a caso racconta la vicenda di un rottame umano impegnato nello sforzo di tornare a essere quello di prima. Aronofsky non ha certo realizzato un capolavoro, ma è riuscito a fare qualcosa di credibile, curato nei particolari e in grado di valorizzare anche l'indubbio talento di Marisa Tomei. Il valore dell'impresa sta peraltro nella descrizione dietro le quinte di un ambiente poco esplorato che scopre un aspetto crudele dell'America. Nell'antico dibattito fra Diderot e Stanislawski (chi recita deve fingere o vivere?) Mickey Rourke con questa coraggiosa metafora della sua crisi dà una risposta più convincente, in quanto pagata di persona a prezzo di sudore e sangue, di tante teorie astratte dell'Actors' Studio. Vedremo il seguito, se ci sarà, ma l'interprete del wrestler ha comunque lasciato l'impronta del suo passaggio nella storia del cinema.

TTullio Kezich, Il Corriere della Sera,  6 marzo 2009

 

Lo sai sin dall'inizio dove Randy 'The Ram' Robinson ti sta portando, conosci perfettamente la via crucis di lacrime e sangue che ti aspetta, eppure non c'è un solo momento di The Wrestler che non vivi come autentico, grande cinema. Come se Darren Aronofsky - che è regista cinematograficamente molto colto, anche se restio alla cinefilia – applicasse il modulo del realismo sociale d'ambientazione sportiva caro a certa Hollywood e lo lasciasse fermentare a contatto con l'assoluta – meravigliosamente fragile e ruvida - verità del corpo di Mickey Rourke. Ne viene fuori Melodramma allo stato puro, spogliato delle convenzioni sentimentali del ruolo di coppia e lasciato alla nudità dei sentimenti, che occupano per intero la scena. Anzi di quell'unico, indivisibile, inalienabile sentimento (vero spettro del mélo) che è la Solitudine, di cui Randy è l'incarnazione ovviamente cristologica. Un wrestler, del resto, è il combattente della solitudine per eccellenza, il soggetto agonistico di un tutti contro tutti che non prevede una controparte unica, ma l'isolamento al centro della lotta. E poi c'è la verità del wrestling, ovvero la finzione di una violenza estrema che manifesta il suo gioco nella fiducia tra lottatori e nel patto con lo spettatore (…).

MMassimo Causo, I duellanti, settembre 2009

 

 

 

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