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Settimo cielo - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

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Mercoledì 17 marzo 2010 – Scheda n. 21 (806)

 

 

Settimo cielo

 

 

 

Titolo originale: Wolke 9.

 

Regia: Andreas Dresen.

 

Sceneggiatura: Laila Stieler, Andreas Dresen, Cooky Ziesche, Jörg Hauschild.

Fotografia: Michael Hammon. Montaggio: Jörg Hauschild.

Interpreti: Ursula Werner (Inge), Horst Rehberg (Werner),

Horst Westphal (Karl), Steffi Kühnert (Petra).

Produzione: Rommel Film. Distribuzione: Videa-Cde.

Durata: 98’. Origine: Germania, 2008.

 

 

 

Andreas Dresen

 

Da qualche anno, come sanno i soci del Cineforum, il cinema tedesco ha ripreso quota, alcuni bravi e giovani registi sono apparsi sulla scena internazionale, dei buoni film tedeschi vengono presentati ai festival e arrivano anche in Italia. Come questo Wolke 9, ovvero Nuvola 9, che in italiano è stato ribattezzato Settimo cielo. Andreas Dresen, il regista, nato a Gera, in Germania, nel 1963, ha già diretto Un’estate sul balcone (2005), A metà strada (2001) e Nachtgestalten (1998). Ha già realizzato un altro film, Whisky mit vodka. Ecco qualche sua dichiarazione: «Volevo raccontare una storia d’amore tra anziani come se i protagonisti fossero giovani. Mi sono sempre chiesto come mai gli anziani al cinema e in tv vengono sempre ritratti con un’aria sentimentale o in storie che sono la rappresentazione a metà tra il romantico e il gentile con un tono di freddo approccio a un sentimento specifico. Una maniera sciatta, servile e kitsch di presentare le cose in cui nessuno veramente appare, ma tutto è offuscato o bloccato, un modo di fare che mi annoia. Gli anziani normali, quelli con le rughe, che invecchiano con dignità e che semplicemente non rispondono più a quell’immagine di bellezza e gioia tipica della gioventù, non sono affatto rappresentati. A loro non si concedono le emozioni forti, né la sessualità. Alla fine, Settimo cielo è un film sul sesso e sull’amore tra due anziani ma anche il racconto di una normalissima storia d’amore e sofferenza e sulla difficoltà di sopportare la paura dell’amore… Era proprio come avevo immaginato: la vita non si ferma e guardando gli altri attori ti accorgi di quanto siano vitali. Abbiamo condotto varie ricerche: esiste una quantità incredibilmente vasta di letteratura sull’argomento e diversi racconti scritti direttamente dagli anziani. Diversamente dall’industria cinematografica, la letteratura è densa di immagini e di racconti di anziani 75enni o perfino 80enni che improvvisamente si innamorano di nuovo. Quando abbiamo affrontato l’argomento con gli amici sono uscite fuori molte storie simili… Ho detto subito: ci saranno scene di nudo; non voglio scene di sesso pudico. Naturalmente è necessario che tutti, soprattutto gli attori, siano di mente aperta. Mi sono subito reso conto che era una cosa normale e rilassata, non avevo alcun dubbio che potessimo raccontare la storia in questo modo anche se ancora non avevo idea di come avrei girato le scene di sesso. Naturalmente io avevo le mie inibizioni sulle scene di sesso. Beh, stavamo affrontando l’argomento con un’altra generazione. È per questo che ho detto agli attori di fare le prove semivestiti. Tuttavia, già alla prima prova gli attori si sono tolti tutti i vestiti, anche loro volevano sbrigarsi a lasciarsi la cosa alle spalle. Ho dovuto imparare ad utilizzare un tono molto obiettivo, realistico e concreto. Odio le scene di sesso che restano sul generale, sono pompose. Volevo vedere esattamente quello che succede in quel momento, come regista penso di doverlo comunicare chiaramente. Invece come spettatore volevo avere la sensazione di capire cosa stesse succedendo e che non stessi osservando una forma generica di sesso. Quel sesso generico e insignificante non volevo proprio mostrarlo…. Sorprendentemente in alcune fasi di una relazione, le parole non sono necessarie. Se sei sposato da 30 anni esprimi quasi tutto in maniera non verbale; anche quando l’amore è giovane non c’è bisogno di molte parole. Nella prima mezz’ora del film c’è solo una pagina di dialogo. Più tardi, quando scoppia il conflitto, le parole iniziano a comparire ma sfortunatamente non aiutano a far luce sulla situazione in nessun modo; al contrario creano solo scompiglio… La storia è semplicissima; può essere riassunta senza alcuno sforzo in due frasi. Ci sono pochissimi fronzoli e quasi nulla di superfluo, sia riguardo all’estetica e al contenuto sia per quanto riguarda la drammaturgia… Il coro l’ha proposto Ursula Werner. Ha suggerito che il personaggio principale fosse membro di un coro. Quando si racconta una storia con gli anziani non c’è vita professionale: io tendo invece a inserire la vita professionale nei miei film. La questione è: “Cosa fai tutto il giorno?”. Il coro è un elemento importante: la vita della donna cambia ma questo elemento rimane costante. E il coro funge da commentatore, come nel caso del coro antico o greco. Abbiamo assegnato al coro le canzoni secondo la storia di Inge, con un collegamento diretto o ironico ai suoi stati d’animo. Quello che queste affascinanti donne dicono poi nel film ha in sé un pragmatismo e una scaltrezza umoristica priva di sentimentalismi tale da dire: se devi farlo allora trovati un ragazzo giovane, con lui faresti l’infermiera».

 

La critica

 

L'ultimo film di Dresen racconta la storia d'amore tra due persone anziane: il sesso e i sentimenti non sono diversi da quelli dei giovani. 'Quello che vuole, il desiderio lo compera pagandolo con l'anima', avvertì tanto tempo fa un greco grande e 'oscuro'. Chi del desiderio conosce i sentieri tortuosi non si stupisce del prezzo. Tra questi c'è anche Andreas Dresen,che ha girato e scritto Settimo cielo. Insieme con i cosceneggiatori Jörg Hauschild, Laila Stieler e Conny Ziesche, il quarantacinquenne regista tedesco racconta una storia d'amore che è facile fraintendere. I suoi protagonisti sono anziani, anzi sono vecchi, se è consentito usare un aggettivo che sembra bandito dal nostro immaginario, e ancor più dai nostri discorsi. La più giovane è Inge, che nel film racconta d'aver superato i sessant'anni, ma che si direbbe più vicina ai settanta. Inge ha un amante, e questo fatto è già in se stesso increscioso, per chi della vecchiaia preferisca dimenticarsi. Il suo nome è Karl che per i suoi 76 anni ha una vitalità ammirevole. Ma Inge ha anche un marito, Werner, che considera il rivale quasi un giovanotto. È più giovane di me, dice alla moglie che gli confessa il tradimento: è per questo che stai con lui, perché 'ti scopa meglio'. È della vecchiaia che raccontano Dresen e gli altri, del sesso praticato dai vecchi? O raccontano del desiderio, semplicemente? La risposta immediata, spontanea è per lo più che questo è il maggior pregio del loro film: di raccontare una sessualità particolare, una sessualità appunto 'da vecchi', che di solito è tenuta sotto silenzio, per moralismo. Ma così Settimo cielo rischia d'esser frainteso e sottovalutato, e proprio per moralismo. Per quanto possa scandalizzare più di un'anima bella, infatti, quello che Inge, Karl e Werner fanno è uguale a quello che fanno i ventenni, i trentenni, i quarantenni. E uguali a quelli di ventenni, trentenni e quarantenni sono i loro discorsi, tanto le loro parole d'amore quanto le loro esplosioni di rabbia e gelosia. Qualcosa certo distingue i loro sentimenti e i loro gesti, e ne fa sentimenti e gesti di vecchi. E però si tratta non dell'essenziale, in fatto di desiderio, ma per così dire del contingente. Davanti a me, dice Inge a Werner, non restano che una ventina d'anni, dunque non ho 'tempo' per non approfittare della felicità nuova che mi dà questo amore nuovo. E ancora Inge, in un'altra sequenza, si osserva nuda allo specchio. Quel che vede contraddice la memoria che ha di sé. Il tempo (ancora il tempo) è impietoso, e niente per esso vale l'immagine di sé che, illudendosi, ognuno di noi si costruisce e ama. Eppure di quel suo corpo è fiera, proprio come fosse una ventenne, una trentenne, una quarantenne. Nonostante la crudeltà dello specchio, qualcuno lo ama, quel suo corpo eccessivo, debordante, qualcuno lo desidera, lo cerca. E questo è per lei una conferma di se stessa, una felice, rinnovata illusione. Inge e Karl dunque si amano. E lo fanno come se i loro corpi fossero svelti e leggeri. Anzi, i loro corpi sono svelti e leggeri. Lo sono ai loro occhi, e quindi riescono a esserlo anche ai nostri. Si toccano, si accarezzano, si baciano. E poi si sorridono. Si sorridono di un sorriso che fiorisce sui loro volti, portando in superficie la felicità che nasce nel profondo, dentro la carne. Quanti anni si portano addosso, Inge e Karl? Tanti o pochi? O forse non hanno età nel piacere che si danno, e nell'amore in cui si perdono? È il desiderio che in loro trionfa, senza altro pensiero, senza memoria del passato né angoscia del futuro. Come sempre accade a chi ama, il tempo smette di sprofondare all'indietro e di precipitare in avanti, e si fa tutto presente. D'altra parte, Inge ha un passato, e con un futuro deve fare i conti. È Werner quel suo passato e quel suo futuro. Con lui ha vissuto trent'anni. Con lui ha cresciuto sua figlia. Con lui è stata felice. Con lui, dunque, dovrebbe attendere che il futuro si compisse, così come sempre finisce per compiersi. E questo però è contraddetto dal desiderio che l'ha presa. Che cosa varrà di più per lei, la forza della felicità nuova o la fedeltà all'antica? E Werner? Che cosa più resta a Werner? Per lui non c'è un altro desiderio, se quello di Inge muore, e dunque non c'è più un altro 'tempo'. Di fronte a queste domande, e alla loro moralità ingombrante, si trova ora Inge. Deve decidere, prima di tutto per sé e per Karl, ma anche per Werner. Quando poi ha deciso, deve portarne le conseguenze, anche nel dolore e nel rimorso. D'altra parte, qualunque sia il dolore e qualunque sia il rimorso, alla fine le basta abbracciare il suo Karl. Le basta toccarlo e lasciarsene toccare. Tutto il resto vale meno. Ogni prezzo sembra equo, se chi compra è il desiderio.

RRoberto Escobar, Il Sole 24Ore, 6 giugno 2009

 

 

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