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Scheda pdf (175 KB)
Lourdes - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALES.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 10 marzo 2011 – Scheda n. 19 (831)

 

 

 

 

Lourdes

 

 

 

Titolo originale: Lourdes

 

Regia e sceneggiatura: Jessica Hausner

 

Soggetto: Géraldine Bajard, Jessica Hausner.

Fotografia: Martin Gschlacht. Montaggio: Karina Ressler.

 

Interpreti: Sylvie Testud (Christine), Léa Seydoux (Maria),

Bruno Todeschini (Kuno), Elina Löwensohn (Cécile), Irma Wagner (Pilgerin),

Gilette Barbier (frate Hartl), Gerhard Lieberman (padre Nigl).

 

Produzione: Coop 99. Distribuzione: Cinecittà Luce.

Durata: 99’. Origine: Austria, Francia, Germania, 2009.

 

 

Jessica Hausner

 

Durante i corsi di regia alla viennese Filmakademie, Jessica Hausner (Vienna, 1972) ha girato il cortometraggio Flora, con cui ha vinto il concorso “Pardi di domani” al Festival di Locarno. Inter-view, il film girato per il diploma, ha ottenuto il Premio della Giuria della Cinefondazione al Festival del Cinema di Cannes del 1999. Lovely Rita (2001), il suo primo lungometraggio, è stato presentato nella sezione Un Certain Regard, sempre a Cannes. Il secondo lungometraggio, Hotel, è stato anch'esso selezionato per Cannes, nel 2004. Con questo Lourdes ha raggiunto la notorietà internazionale.

Ascoltiamo la Hausner, in silenzio religioso, o ateo, o politeista, o agnostico (a scelta): «Lourdes mostra la fede in un Dio buono e eterno, e la realtà, arbitraria e effimera. È un racconto crudele, fantasticheria o incubo. Malati e moribondi accorrono a Lourdes dai quattro angoli del pianeta per ritrovare la salute. Sperano in un miracolo, perché è proprio a Lourdes che i miracoli accadono ancora. Peccato che Dio sia così capriccioso, che dia e tolga a seconda del suo umore e che le sue vie rimangano insondabili. Lourdes è un luogo in cui si afferma l’esistenza del miracolo, un luogo che è sinonimo di speranza, di conforto e di guarigione per i moribondi e i disperati. Eppure, la speranza che a un passo dalla morte tutto possa ancora risolversi sembra assurda quando la vita arriva alle sue battute finali. Lourdes è il palcoscenico su cui si svolge questa commedia umana: la ricerca della felicità e della pienezza che anima ogni essere umano si scontra con l’incompiutezza e l’arbitrarietà. I paralitici sognano di poter camminare, le persone sole di incontrare degli amici, gli affamati di mangiare a sazietà, non solo a Lourdes la cattolica ma anche altrove: la sensazione di vivere una vita a metà, così come il desiderio di pienezza, sono universali. “In un certo senso, siamo tutti bloccati su una sedia a rotelle” (citazione di padre Nigl). Felicità, effimero e speranza. Il miracolo che si compie in Lourdes regala un periodo di felicità a Christine, un miglioramento ma, in realtà, non la salvezza. La promessa di salvezza fatta dalla chiesa deve quindi essere rimandata a più tardi. “I più ottengono il perdono solo dopo la morte” (citazione di Cécile). Ecco la consolazione di coloro che tornano senza essere guariti o che hanno delle ricadute : l’aldilà. Il desiderio di guarigione diventa allora desiderio di raggiungere la felicità e di trattenerla: di vivere una vita piena, intera, felice, e che abbia un senso. Così, quando inizia a ristabilirsi, Christine comincia a sperare di riprendere gli studi, farsi una famiglia e imparare a suonare il piano. Ma la felicità è effimera: viene e va, senza che vi sia alcun significato particolare. Qualcuno sarà salvato? Ma perché lui e non io? Una guarigione miracolosa è ingiusta. Perché una persona guarisce e un’altra no? Cosa si può fare per ottenere la guarigione? Pregare, come fa la madre della ragazza apatica, scegliere l’umiltà, come fa Cécile oppure, al contrario, non fare niente, come Christine? Non c’è risposta a questa domanda, i miracoli sono arbitrari, si compiono senza alcuna logica o ragione apparente. Il miracolo è fondamentalmente ingiusto ma provoca comunque una gioia assoluta in colui che è guarito. Tuttavia, un presunto miracolato non ha alcuna garanzia che la sua guarigione sia definitiva. La guarigione offre una nuova occasione a Christine – che vorrebbe approfittare della vita – ma la ragazza capisce che la ritrovata felicità potrebbe finire in qualsiasi momento. Comincia allora a cercarne il senso, a chiedersi se debba fare qualcosa di particolare per dimostrarsi degna della guarigione. Cosa fare affinché il miracolo sia duraturo? Dio ascolta le sue preghiere? Christine si sente sola».

 

 

La critica

 

Dimenticato dai premi della Mostra di Venezia, Lourdes è un film in certo qual modo davvero miracoloso: a partire dai suoi numi tutelari cinematografici. Dice infatti la regista Jessica Hausner di essersi voluta ispirare da un lato a Ordet di Carl Th. Dreyer, il più strepitoso film mai girato su un miracolo e sulla stupefatta e angosciante emozione che un miracolo provoca (una resurrezione!), e dall’altro agli ugualmente magnifici film di un altro maestro, Jacques Tati, per il sereno umorismo e l’amorevole naturalezza. La severità nordica di Dreyer e la vitalità sorridente di Tati confluiscono così, imprevedibilmente, in un film su quel luogo di preghiera, supplica, fede, mistero, dolore e ultima speranza (e, per chi non crede, anche disincantata comédie humaine) che è Lourdes. Niente di pietistico, nessuna vena di commozione sentimentale. E una sincerità formale ammirevole. È su basi depurate e solide che veniamo introdotti nel mondo del dolore, dell’attesa, dell’incertezza, dell’attonita sorpresa: e anche di una sottile e malcelata invidia. Un gruppo di pellegrini arriva a Lourdes, si sistemano in albergo, alcuni sono sani, altri malati. Christine, sulla sedia a rotelle, è affetta da sclerosi multipla. Maria, una volontaria dell’Ordine di Malta, si prende cura di lei. Accanto a Christine, viene a trovarsi una donna anziana che non è malata ed è venuta a Lourdes per cercare di dare un senso al vuoto della sua esistenza. Christine ha un improvviso miglioramento. Il verdetto dei medici del santuario è incerto: bisognerà verificare se si tratta di una regressione temporanea della malattia. Potremmo essere dunque davanti a una successione di avvenimenti del tutto naturali o, chissà, a ciò che chiamiamo miracolo. Ma non è il rispondere (possibile?, impossibile?) a questo doppio interrogativo ciò che interessa a Jessica Hausner, che infatti opta per l’esitazione, per l’ambiguità di un finale sospeso. Quello che importa è piuttosto osservare con onesta serenità di sguardo (e con una vena di sottile ironia, mai sgraziata, mai cattiva) quello che succede nel gruppo dei fedeli, nel gruppo di coloro che sono venuti, magari senza confessarlo, per ottenere un miracolo o anche solo per assistervi, per vedere in che cosa un miracolo è davvero qualcosa di stupefacente: di miracoloso. Così le domande che vengono alla superficie del film, una superficie sempre calma, sempre controllata, sono: perché a lei e non a me?, e perché proprio a me? E ancora: da cosa possiamo riconoscere un miracolo?, come possiamo superare il nostro scetticismo?, riusciamo davvero a credere in ciò che avviene e sembra oltrepassarci (tenere conto che il portavoce di questa perplessa posizione è un sacerdote...)? Lourdes è un film insieme freddo ed emotivo. Distaccato e partecipe. Guarda da lontano e al tempo stesso sta vicino ai suoi personaggi. Introduce momenti di ammirevole passione accompagnati da scenette di allegro umorismo, come quella festa con balli e canzoni italiane. Si canta Felicità: come fosse questo il miracolo che i malati e i sani attendono e che è così difficile da ottenere. Questo sì, tornare a casa tutti felici, sarebbe un indiscutibile e prodigioso miracolo.

BBruno Fornara, Rivista del Cinematografo, ottobre 2010

 

(...) Così finisce Lourdes; con, in più, la sensazione – alimentata dal commento cattivo e dalla biografia di Christine – che a vincere sia stato qualcuno di non proprio meritevole. «Davvero si può far guarire il proprio corpo?», chiede un’anziana al giovane prete. Il corpo, ancora; non l’anima. E al corpo, una volta tornata in piedi, pensa Christine. Al corpo di Kuno, con cui balla nella scena più bella del film, che ricorda le tante danze solitarie del cinema di Claire Denis; danza che, per Christine, è il vero miracolo per cui è arrivata fin lì. Ballare tra le braccia di un uomo, grata in modo imperfetto (perché già oltre, già impegnata nell’uso) al dispensatore del miracolo, e più interessata a recuperare il tempo perduto. La vita, e la vita del corpo, prendono il sopravvento. Anche il corpo, del resto, sarebbe un tempio. L’ultima delle innumerevoli domande che pone Lourdes ha proprio a che fare con la gestione della vittoria: che è tanto grande da mettere in crisi chiunque. Christine non perde tempo a ringraziare, vuol spendere subito ciò che ha ottenuto e riappropriarsi di ciò che le è stato tolto. Un po’ ingrata e un po’ egoista, non le interessa credere al miracolo (credere che sia davvero un miracolo) ma goderne gli effetti. Che sia un improvviso (e forse fuggevole) miglioramento medico o il tocco della Madonna, non fa alcuna differenza. Giocando sul sentimento laico della vittoria e della rinascita, anziché sul mistero religioso del miracolo e della resurrezione, la Hausner non ha bisogno di altro per trasformare la scena del sacro e il suo manifestarsi in uno spazio di indagine di logiche umanissime e perfino animali. Lourdes non è né anticlericale né “devoto”: è un film che rivela l’impossibilità ontologica del sacro sullo sfondo della società contemporanea, la sua mercificazione e la sua transustanziazione; parla di fame e disperazione, fotografando il terzo mondo dell’anima occidentale. E rivela il basso commercio e l’alto dilemma tra anima e corpo che sta dentro l’odierna religione dei miracoli, intendendo il religioso come un modo “altro” – e non più autentico di altri, e confuso tra gli altri – di guardare alla storia delle umane (dis)illusioni. Sempre uguali, come il sorriso della Madonna.

LLuca Malavasi, Cineforum, n. 492, marzo 2010

 

 

 

 

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