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Giovedì 27 ottobre 2011 – Scheda n. 3 (842)
Il ragazzo con la bicicletta
Titolo originale: Le gamin au vélo.
Regia e sceneggiatura: Luc e Jean-Pierre Dardenne.
Fotografia: Alain Marcoen. Montaggio: Marie-Hélène Dozo.
Interpreti: Thomas Doret (Cyril Catoul), Cécile de France (Samantha),
Jérémie Renier (Guy Catoul), Fabrizio Rongione (il libraio),
Egon Di Mateo (Wes), Olivier Gourmet (il padrone del bar),
Batiste Sornin, Samuel De Rijk, Sandra Raco (gli educatori).
Produzione: Les Films du Fleuve, Archipel. Distribuzione: Lucky Red.
Durata: 87’. Origine: Belgio, 2011.
Luc e Jean-Pierre Dardenne
I fratelli Dardenne sono nati: Jean-Pierre nel 1951 a Engis (Liegi), Luc nel 1954 a Awirs, in Belgio. Studi in istituti d’arte, video sul mondo operaio, primo documentario nel 1978: Le chant du rossignol, sulla resistenza anti-nazista in Belgio. Primo lungometraggio di finzione, Falsch (1987). Esordio ufficiale con La promesse (visto al Cineforum, come quasi tutti gli altri film dei Dardenne). Nel 1999 vincono la Palma d’oro a Cannes con Rosetta. Del 2002 è Il figlio, altro lavoro emozionante, premiato anch’esso a Cannes. Seconda Palma d’oro a Cannes per L’enfant. Dopo Le silence de Lorna (in Italia Il matrimonio di Lorna), è arrivato Il ragazzo con la bicicletta, Gran Premio della Giuria a Cannes 2011.
Sentiamo i fratelli: «Da tempo eravamo ossessionati da una storia: quella di una donna che aiuta un ragazzo a liberarsi della violenza di cui è prigioniero. L’immagine che per prima ci veniva in mente era quella di questo ragazzino, questo fascio di nervi, placato e quietato grazie a un altro essere umano. All’inizio pensavamo che Samantha dovesse essere un medico, ma alla fine abbiamo preferito che fosse una parrucchiera, ben radicata nel suo quartiere.... Il film è commovente ma sta alla larga dal sentimentalismo. Per noi era importante che lo spettatore non scoprisse mai perché Samantha è interessata a Cyril. Non volevamo che emergesse alcuna motivazione psicologica. Non volevamo che il presente fosse giustificato dal passato. Volevamo che lo spettatore pensasse: Lo fa e basta! E questo è già molto... Cyril corre sempre, è spesso sulla sua bici, è un ragazzino senza legami che rincorre l’amore senza saperlo. Il rapporto figli-genitori è ben presente nei nostri film. Siamo tutti figli e figlie di qualcuno... Abbiamo cercato di dare al film una certa fluidità, una limpidezza di regia. L’abbiamo girato d’estate, un fatto assolutamente inedito per noi.... Non è facile mostrare il sentimento della comprensione. In linea di massima, la cattiveria è sempre più divertente da mostrare. Ovviamente abbiamo voluto evitare tutti i cliché della compassione, ci siamo attenuti il più possibile solo a certi aspetti come l’apertura e lo scambio. Non ci è capitato spesso di filmare qualcuno che vuole bene a qualcun altro. Girare d’estate ci ha aiutati a dare al film luminosità e dolcezza. E poi per questo basterebbe la presenza di Cecile de France. Non scriviamo mai pensando a un attore in particolare. Quando abbiamo finito con la sceneggiatura, abbiamo cominciato a ipotizzare delle attrici e la prima è stata Cecile. Con lei sapevamo che avremmo evitato la psicologia, che sarebbe bastata la sua presenza, con il suo corpo e il suo viso. Le abbiamo dato la sceneggiatura e lei ha subito accettato. Ci ha fatto qualche domanda sulle motivazioni del personaggio. Noi le abbiamo risposto che Samantha era lì, presente, e basta. Si è fidata di noi... Per trovare il ragazzo che doveva interpretare Cyril abbiamo pubblicato un annuncio e abbiamo fatto dei provini a un centinaio di ragazzini. Thomas è venuto il primo giorno, era il quinto e ci ha colpito immediatamente. Aveva una capacità incredibile di imparare le sue battute, ha dimostrato un’intelligenza intuitiva del suo ruolo e ha tenuto un modo di recitare giusto, commovente senza essere melenso. Thomas è cintura marrone di karate! Questo lo aiuta sul piano della memoria e della concentrazione... Geograficamente avevamo pensato al film come ad un triangolo: la città, la foresta e la stazione di servizio. Il bosco è il luogo che rappresenta una tentazione pericolosa per Cyril: lì potrebbe imparare a diventare un teppista. La città rappresenta il passato con suo padre e il presente con Samantha. La stazione di servizio è il luogo di passaggio in cui l’intreccio si sviluppa a più riprese... Abbiamo voluto costruire il film come una specie di fiaba. Con dei cattivi che fanno perdere al bambino le sue illusioni e Samantha che appare un po’ come una fata. A un certo punto ci era perfino venuto in mente di intitolarlo Conte de notre temps, una favola dei nostri tempi...
La critica
«L’idea è di non esitare a collocare la macchina da presa nel posto peggiore, in modo che capti delle cose e non delle altre, come le spalle di un interprete anziché il suo sguardo. La macchina da presa non è mai onnipotente. Non bisogna bloccare le cose. Come sfuggire alla “buona posizione”? È per questo che, nei nostri film, i nostri personaggi devono sempre attraversare degli ostacoli. Bisogna che siano ostacolati, che resistano. Dalla scrittura della sceneggiatura, noi abbiamo quelle idee in testa. Partiamo sempre da un personaggio in una data situazione e non da un individuo campato in aria che vorrebbe esprimere un problema». L’inquadratura “ingrata”, cui alludono i Dardenne in questa dichiarazione, che privilegia la schiena o la nuca di un personaggio mentre è impegnato in un movimento, costituisce un modo per decantarne l’energia: prima del racconto, prima dell’individualità del personaggio, c’è un corpo che avanza, corre, fugge, in direzione di non si sa bene cosa. Mentre si muove, emergono rapidamente i connotati della sua storia, mentre altri rimangono in ellissi. L’azione di quell’individuo è un fenomeno trasparente e opaco al tempo stesso. Trasparente perché quel movimento forsennato e ostinato condensa una disperazione così concreta e tangibile da diventare quasi fisica. Opaco perché non si sa fino a che punto si spingerà, e soprattutto come reagirà agli ostacoli che cadono sulla strada del personaggio come elementi propulsivi del racconto, come prove e ostacoli che lo costringono a rivelarsi, imponendogli i crocevia di scelte morali da compiere. Ma in Le gamin au vélo, a differenza dei film precedenti, i Dardenne hanno privilegiato i campi lunghi e i totali, i piani paesaggistici, per evidenziare l’isolamento del loro protagonista, il dodicenne Cyril, in uno spazio urbano e periferico di Seraing (nei pressi di Liegi), che percorre con quella bicicletta che è al tempo stesso strumento di libertà e feticcio affettivo e sostitutivo di tutto ciò che non ha, e il suo smarrimento in una normalità che non gli appartiene e che conquista lentamente grazie all’incontro con la parrucchiera Samantha. Come già La Promesse (1996) e Rosetta (1999), anche il nuovo film dei fratelli Dardenne è un racconto d’iniziazione, ispirato agli autori dalla storia vera di un ragazzo, così attaccato al padre, che l’aveva abbandonato in un orfanotrofio, da vivere per anni nell’illusione di un suo ritorno, fino al punto da voler rimanere sul tetto dell’istituto per scrutarne ansiosamente il possibile arrivo. Nel loro film, i Dardenne hanno sostituito all’immagine del ragazzo immobile in una disperata vedetta, quella, tipica del loro cinema, appunto, di un corpo trascinato dal movimento incessante, per colmare la mancanza di cui soffre. (...) Ogni stazione del racconto è cadenzata dall’erompere di quell’energia infelice che Cyril accumula dentro di sé: la fuga rabbiosa all’inizio; l’ostinata difesa della propria bicicletta da un ladro di strada; l’aggressione contro Samantha quando vuole impedirgli di uscire; la violenza, incanalata dall’“addestramento” di Wes contro il libraio e infine la resistenza ai colpi subìti e la volontà di vivere che lo spingono ad alzarsi da terra (dopo che è stato colpito da un sasso ed è caduto da un albero) e a riprendere la sua corsa, vulnerabile e indistruttibile come un animale selvatico e randagio.
RRoberto Chiesi, Cineforum, n. 505, giugno 2011
L’idea di cinema dei Dardenne è ben riassunta nel cortometraggio realizzato per Chacun son cinéma, un film collettivo commissionato dal Festival di Cannes nel 2007 in occasione del sessantesimo anniversario. Nel buio di una sala cinematografica, un ragazzino striscia tra le poltrone vuote fino a fermarsi vicino a una donna rapita dalla visione del film sullo schermo. La mano del ragazzo si solleva per spostare il golfino della signora, appoggiato sulla borsetta nel sedile affianco. Lentamente, la mano comincia a fare scorrere la cerniera della borsa ma all’improvviso un rumore, fuori campo, lo allerta. Un singhiozzo sommesso si trasforma in pianto, la donna si commuove per la storia che sta guardando. Allunga il braccio verso la borsetta, come per cercare un fazzoletto, ma si imbatte nella mano del ragazzino. Senza neanche guardarla, l’afferra e se la porta al volto per farsi una carezza e asciugarsi le lacrime, come se fosse la cosa più normale di questo mondo. Su questa immagine si conclude il cortometraggio. Eccolo qui, il cinema dei Dardenne. Raccontare la prossimità di due estranei che si trovano a condividere un momento delle loro vite. Il ragazzino del cortometraggio potrebbe benissimo essere il Cyril di Le gamin au vélo, il quale cercando suo padre si imbatte in una parrucchiera che manifesta un sincero interesse per lui.
TTina Porcelli, Cineforum, n. 505, giugno 2011
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