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Giovedì 16 febbraio 2012 – Scheda n. 15 (854)
I due presidenti
Titolo originale: The Special Relationship.
Regia: Richard Loncraine.
Sceneggiatura: Peter Morgan. Fotografia: Barry Ackroyd.
Musica: Alexandre Desplat.
Interpreti: Michael Sheen (Tony Blair), Dennis Quaid (Bill Clinton),
Helen McCrory (Cherie Blair), Hope Davis (Hillary Clinton),
Adam Godley (Jonathan Powell), Mark Bazeley (Alastair Campbell),
Marc Rioufol (Jacques Chirac), Kerry Shale (la consulente dei Clinton),
Demetri Goritsas (lo stratega).
Produzione: Hbo, Bbc Films. Distribuzione: Medusa.
Durata: 89’. Origine: Gran Bretagna, Usa, 2010.
Richard Loncraine
Nato a Cheltenham nel 1946, Richard Loncraine ha studiato arte e ha fatto lo scultore. Poi è passato alla pubblicità e ai documentari. Nel 1975 gira il primo film, Flame, che passa inosservato. Va meglio con una storia di fantasmi, Demonio dalla faccia d’angelo (1977), che vince il primo premio al Festival Internazionale del Cinema Fantastico di Avoriaz. Del 1982 è Le due facce del male, seguito da Il missionario. Dopo un altro film sfortunato, Rapina al computer, la fama gli arride con il film shakespeariano Riccardo III che vince l’Orso d’Argento al festival di Berlino e impressiona per il suo essere un thriller spionistico machiavellico e un kolossal bellico. Viene chiamato a Hollywood, dalla HBO, un canale televisivo via cavo che produce opere di impegno e di buon livello. Dirige per la HBO Band of Brothers (2001) che vince un Emmy per la migliore miniserie. Poi gira il film Guerra imminente (2002), storia di Winston Churchill durante la Seconda Guerra Mondiale. Ancora per la tv gira La mia casa in Umbria (2003), su un gruppo di persone che riescono a scampare a un attentato terroristico su un treno e si rifugiano nella casa di una famosa scrittrice. Nel 2004 torna al grande schermo con Wimbledon (2004), una commedia sentimentale ambientata nel mondo del tennis. Arrivano poi Firewall - Accesso negato (2006) e My One and Only (2009). Infine, ecco I due presidenti (2010).
La critica
Il film gioca sin dal titolo sull’ambivalenza della cosiddetta “relazione speciale” [il titolo originale del film è, appunto, The Special Relationship, ndr], dove l’aggettivo conferma o supporta il sostantivo, ma provvede nel contempo a insidiarlo, contraddirlo, invalidarlo, perché forse si tratta di una comune relazione tra capi di Stato storicamente alleati, ma intercambiabili. Come lo sono i personaggi stessi: anonimi, con le loro banalità e le loro debolezze, che mangiano salatini a volontà, fanno sesso orale con la prima segretaria a portata di mano (Bill Clinton) o vengono imbeccati all’occorrenza di direttive strategiche (il corso di formazione cui si sottopone il candidato laburista Blair prima essere il favorito della Casa Bianca e diventare di conseguenza premier). (...) Un titolo come The Special Relationship suggerisce in prima istanza chiavi di lettura divergenti: una accredita letteralmente la presunta e sbandierata amicizia, l’altra la necessità di essere infidi, pragmatici, non esclusivi nella gestione del potere. Titolo dunque doppiamente significativo in quanto veicolo implicito di una doppiezza sostanziale, indispensabile per restare a galla nelle crisi mondiali e in quelle private che all’occorrenza diventano pubbliche, si sovrappongono, si confondono, si invertono. The Special Relationship comporta una duplicità di intenti e una doppiezza di atteggiamenti allo stesso modo politicamente (s)corretti. Eppure c’è un valore aggiunto in questo titolo, al di là della pertinenza con ciò che narra, con i personaggi che agiscono: di fatto investe la funzione stessa del film in quanto strumento di conoscenza, il principio stesso, in un film, di poter fare i conti con la storia. Un principio messo in discussione in extremis, se non addirittura confutato, disinnescato. Si può discutere di The Special Relationship quanto si vuole, ma la chiave di volta è il finale. Con effetto retroattivo, illuminante e demistificante non tanto per uno dei due personaggi, Tony Blair, apparso fino a quel momento il vettore principale (con sua moglie, il suo nucleo domestico) dell’identificazione dello spettatore, della familiarità con lo spettatore, quanto per l’intero percorso messo in crisi all’improvviso da un cortocircuito molto intelligente che obbliga a riconsiderare tutto ciò che si è visto, pensato, creduto. Esattamente come accadeva in F for Fake di Orson Welles. Infatti nel film diretto da Richard Loncraine, che così torna a occuparsi dei meccanismi del potere, non più aggiornando Shakespeare (Riccardo III), ma lavorando direttamente sul passato prossimo riscritto da Peter Morgan, viene sollecitata a sorpresa una reazione di incredulità sostanziale e implacabile che investe la quasi totalità dell’opera cinematografica. Opera di finzione, come tale sorretta da una concezione molto umana delle relazioni, destinata tuttavia a lasciare il campo a ben altre virtù che trascendono l’uomo, l’individuo, la persona. Che si esplicano non in un mondo migliore ma nel migliore o peggiore dei mondi possibili: la “virtù” dell’inganno, della manipolazione, dei rapporti “impropri”. Non soltanto quelli sessuali di cui Clinton deve rispondere pubblicamente, mistificati dalle parole, ma anche quelli politici dove ugualmente sfuggono i limiti della compromissione personale. L’astro nascente Blair, che ha una “relazione speciale” con Clinton, può all’occorrenza defilarsi dall’esclusività proprio come Clinton può permettersi, sempre sul filo delle parole, di servirsi della Bibbia per minimizzare e relativizzare la presunta relazione estemporanea con Monica Lewinsky in quanto limitata a una fellatio, e che quindi non compromette il vincolo coniugale pregresso. Questo discorso ci riporta al finale strategico e al contenuto metafilmico di The Special Relationship, affidato a una sequenza di repertorio che determina un effetto di straniamento molto forte, produce cioè uno strappo non ricucibile, lo strappo nel cielo di carta esemplificato da «Il fu Mattia Pascal» di Luigi Pirandello. È l’assoluto punto di non ritorno, tanto più impressionante perché postumo, che svela la fiction, la inchioda alla sua sostanziale insostenibilità realistica, storica, concreta. Scopre l’impianto finzionale che fino ad allora ha sorretto il film. Si scopre di aver assistito soltanto a un film, a un’illusione di realtà umana che nulla ha a che fare con la Realpolitik, che invece offre lo spettacolo del vero Blair in conferenza stampa che comincia a flirtare con un vero Bush, a intrecciare nuove “relazioni speciali” che porteranno a ben più estesi scenari di guerra in Afghanistan prima e in Iraq dopo, ridisegnando così drammaticamente lo scenario geopolitico del Medio Oriente con una sinergia politico-militare effettiva che si spingerà ben oltre le divergenti azioni congiunte nei Balcani dell’era Clinton-Blair. Con questo semplice stratagemma della “cattiva” singola sequenza vera che confuta l’intero film “buono”, The Special Relationship fagocita se stesso, irrimediabilmente: travolge i suoi generosi propositi di dipingere i personaggi più umani di quel che sono, più dipendenti dal proprio eventuale grado di umanità, dalle piccole menzogne coniugali o dai prosaici appetiti sessuali. Travolge così anche il grado di credibilità che, come film, gli è stato attribuito per antica abitudine e convenzione spettatoriale. Non si sa bene a chi attribuire l’idea centrale di The Special Relationship, iscritta nel suo originale e imprevedibile traguardo: in una sequenza, l’ultima, demistificante, a partire dalla quale tutto il percorso pregresso acquista un senso compiuto, irridente e sferzante nei confronti di chi ha creduto di assistere, condividendone o meno l’assunto non ha importanza, a un compendio sentimentale, romanzesco del rapporto tra Tony Blair e Bill Clinton, tra le due first ladies, tra una Downing Street sempre così disordinata, borghese, normalissima, con indumenti intimi sparsi dappertutto e figli mandati via dai genitori benpensanti durante un telegiornale involontariamente a luci rosse, e quella Casa Bianca dove invece vige un rigido cerimoniale ma i panni sporchi ugualmente vengono lavati all’esterno. The Special Relationship gioca per quasi novanta minuti, la sua relativa durata, la carta tradizionale della trasparenza, lavora sulle somiglianze, cerca di coinvolgere come un qualsiasi film classico lo spettatore, gioca sui suoi sentimenti. Esibisce provocatoriamente copie conformi, sosia: i sosia delle persone, il sosia dell’amicizia, il sosia della storia. Poi a un tratto, quando tutto sembra stia finendo, ribalta la prospettiva, costringe l’evidenza narrativa cinematografica al rango di surrogato idealista di una realtà che si voleva (far credere) a portata di mano: il simulacro audiovisivo per eccellenza (le immagini filmiche) cede il passo al simulacro parallelo di una realtà imprendibile, imprescindibile, altra (le immagini televisive). Cosa è stato The Special Relationship quasi al 90% se non un film, un racconto per immagini che in qualche modo alla realtà ha preteso di rimandare, che alle direttive politiche comuni e divergenti dei due maggiori leader politici e militari occidentali dal 1992 al 2001 ha cercato di dar corpo, anima, sembianze? Si può essere d’accordo o in disaccordo con questo film, ma il dato ineliminabile sembra essere la volontà, bene o male, di rievocare un’epoca, un contesto di relazioni, la storia di un’amicizia politica, forse anche personale. C’è chi concorda con questa lettura degli eventi, chi proprio non la condivide, ma il presupposto resta intatto: il cinema o la televisione, perché di un film di matrice televisiva si tratta, prodotto dalla statunitense Hbo e dalla britannica Bbc, si sforzano e in qualche modo possono affrontare la grande storia in maniera mimetica, selezionando episodi salienti, concatenandoli, interpretandoli, affidandosi a volti di attori cinematografici e teatrali più o meno aderenti ai rispettivi prototipi (...).
AAnton Giulio Mancino, Cineforum, n. 500, dicembre 2010
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