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Scheda del film (180 Kb)
La bicicletta verde - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 16 gennaio 2014 – Scheda n. 13 (907)

 

 

 

 

La bicicletta verde

 

 

 

Titolo originale: Wadjda

 

Regia e sceneggiatura: Haifaa Al-Mansour

 

Fotografia: Lutz Reitemeier. Montaggio: Andreas Wodraschke.

Musica: Max Richter.

 

Interpreti: Waad Mohammed (Wadjda), Reem Abdullah (sua madre),

Sultan Al Assaf (suo padre), Abdullrahman Al Gohani (Abdullah),

Ahd (la signora Hussa), Dana Abdullilah (Salma),

Rehab Ahmed (Noura), Rafa Al Sanea (Fatima).

 

Produzione: Razor Film Produktion GmbH. Distribuzione: Academy 2.

Durata: 97’. Origine: Arabia Saudita, Germania, 2012.

 

 

Haifaa Al-Mansour

 

 

Nome nuovissimo e femminile, nel nostro programma di Cineforum. Prima regista donna dell’Arabia Saudita, Haifaa Al-Mansour, nata nel 1973, ha studiato letteratura inglese all’Università americana del Cairo. Poi, tornata in Arabia, ha realizzato tre cortometraggi, Who?, The Bitter Journey e The Only Way Out. Nel 2005 ha girato il documentario Women Without Shadows. Dopo essersi sposata con un diplomatico americano, si è trasferita con il marito in Australia dove ha studiato cinema a Sidney. Ha quindi vissuto per qualche tempo negli Usa, a Washington. Oggi vive nel Bahrein. Il successo dei suoi cortometraggi e il clamore suscitato dal documentario hanno trasformato in una discussione da prima pagina sui giornali la questione sull’apertura di nuovi cinema nel Regno Saudita, dove i locali cinematografici sono proibiti. Il suo lavoro è da una parte acclamato e dall’altra denigrato per aver sollevato argomenti in genere considerati tabù, come la tolleranza, i pericoli dell’ortodossia, il bisogno di guardare con occhio critico la propria cultura tradizionalista e restrittiva, il ruolo delle donne nella società. Nel 2012 il suo primo lungometraggio La bicicletta verde è stato presentato alla mostra del Cinema di Venezia, è stato venduto in tutto il mondo e adesso è stato proposto per la corsa agli Oscar per il miglior film straniero.

Sentiamo la regista: «Sono cresciuta in una piccola città di provincia, El-Zilfi, in una famiglia di dodici figli. Per farci divertire, i miei genitori ci mostravano film americani, indiani o egiziani in VHS. Il cinema e la televisione erano una scappatoia per sfuggire al nostro ambiente e scoprire il mondo di fuori. Più tardi, quando sono entrata nella vita attiva, mi sono resa conto che la voce delle donne saudite non veniva ascoltata. Ho dunque voluto far sentire la mia. Il cinema è stato per me un decisivo mezzo di espressione. Ho iniziato con un cortometraggio grazie al quale ho potuto presentarmi a un concorso cinematografico ad Abu Dhabi... Nel mio paese la produzione  cinematografica è inesistente. Lo dico con una certa fierezza: sono la prima regista saudita. Sarebbe tuttavia sbagliato affermare che la settima arte non trova spazio nel mio paese. Al contrario, la cultura cinematografica sta iniziando a mettere radici. Vorrei che Wadjda – che è il nome della piccola protagonista e il titolo originale di La bicicletta verde – aprisse le porte ai giovani. E spronasse le donne, affinché credano maggiormente in loro stesse e cerchino di trovare la loro strada... L’idea del personaggio di Wadjda mi è semplicemente venuta in casa! All’inizio volevo fare un film sulla mia città, i miei genitori e la mia scuola. Ma poi è stata la personalità della mia nipotina, gaia e spontanea, ad ispirarmi per questo film. È stato molto difficile trovare l’attrice giusta. Il reclutamento di giovani attori sulla stampa non esiste in Arabia Saudita. Per il casting abbiamo dunque dovuto passare attraverso società di produzione locali, che ingaggiano piccoli cantanti e ballerini per le feste o i festival. È così che ho trovato Waad Mohamed; recitava in un piccolo teatro. È arrivata sul set in jeans e All Star, con le cuffie e la musica di Justin Bieber nelle orecchie. Insomma, una ragazzina disinvolta che appartiene alla cultura di internet e alla gioventù mondiale... Ho scelto come secondo ‘personaggio’ una bicicletta. La bicicletta porta con sé l’idea di accelerazione, di libertà e di slancio. E allo stesso tempo resta un oggetto tenero che non provoca traumi. In questo senso assomiglia alla mia scrittura. Ciò che cerco è il dialogo, non lo scontro... L’Arabia Saudita è piena di belle contraddizioni. È un paese conservatore, è vero. Ma sotto il velo, ci sono donne sensibili che amano la vita, il riso, la gioia. Ho messo nel mio film diversi temi molto attuali: il matrimonio infantile, l’immigrazione illegale o il fatto che le donne non possono spostarsi liberamente. Tutti temi suggeriti e proposti con dolcezza. Ho voluto esprimere i miei pensieri con un film che parlasse ai miei compatrioti sauditi senza sconvolgerli. Credo sia importante per un cineasta trarre ispirazione da ciò che lo circonda. In un paese dove si tende ad aver paura del cinema, ho cercato di raccontare alla gente una storia che parlasse di loro, della loro vita... Non ci sono state particolari reazioni al film, in Arabia. Molti sauditi si sono però spostati a Dubai per vedere La bicicletta verde quando nel 2012 è stato presentato al festival internazionale. Lo stesso anno, Wadjda è stato ospite della Mostra internazionale del cinema di Venezia e ha beneficiato di una buona copertura mediatica da parte della stampa saudita... Sogno un’Arabia dove regnino la tolleranza e la fraternità, dove la donna abbia un ruolo importante nella vita pubblica».

 

 

La critica

 

 

Qualche necessaria «istruzione per l’uso»: in Arabia Saudita sono vietate le proiezioni cinematografiche e non è permessa nessuna forma pubblica e commerciale di spettacolo cinematografico. Questo non vuol dire che i film non abbiano diritto di circolazione: come spiegava bene Roberto Silvestri nella voce dedicata al regno wahhabita dell’Enciclopedia del Cinema Treccani «il consumo di film, assai elevato, avviene in ambito familiare» anche perché «il numero dei videoregistratori venduti (e adesso di lettori dvd, possiamo aggiungere) è altissimo». È qui, davanti allo schermo della tivù, che si è formata Haifaa Al Mansour, 39 anni, la prima regista donna dell’Arabia Saudita, grazie a un ambiente familiare decisamente liberale (che le ha permesso di laurearsi in letteratura all’Università americana del Cairo e conseguire un master in regia a Sydney) e a un padre inaspettatamente cinefilo, che organizzava serate in famiglia per guardare film insieme. Un ambiente molto diverso da quello che racconta nel suo film La bicicletta verde, il primo lungometraggio completamente girato in Arabia Saudita e il primo, ça va sans dire, diretto da una donna! Fino a quel momento, solo qualche raro film occidentale aveva avuto il permesso di girare in loco (come il Malcom X di Spike Lee, per le scene del pellegrinaggio a La Mecca) mentre le opere prodotte con capitali locali erano soprattutto documentari e programmi televisivi. (...)

Ecco perché La bicicletta verde, presentato a Venezia nella sezione Orizzonti, è di per sé un evento straordinario, anche se prodotto con soldi in parte tedeschi: perché ambientato e girato tutto a Riyadh, scritto e diretto da una donna saudita e interpretato da attrici saudite, come la star televisiva Reem Abdullah, nel ruolo della madre, e l’esordiente Waad Mohammed in quella della figlia Wadjda. Il film racconta la vita quotidiana di queste due donne: l’adulta è alle prese con un autista che le fa moltissimi problemi per portarla alla scuola dove insegna (dimenticavo: in Arabia Saudita le donne, anche se dotate di patente, non possono guidare) ma soprattutto con un marito che per avere il figlio maschio che non arriva sta pensando di trovarsi una seconda moglie; Wadjda, invece cerca di conciliare le voglie di una adolescente con le rigide regole imposte dalla società che le impediscono di comprare l’agognata bicicletta (per chi non lo sapesse, le biciclette in Arabia sono strumenti di perdizione perché potrebbero causare la «perdita della verginità»). Con uno stile limpido ed efficace e sfruttando al meglio la vitalità di Waad Mohammed e la dolente malinconia della Abdullah, la regista ci racconta la condizione femminile in un Paese che sembra ancora nel medioevo: a casa, in privato, si stirano i capelli e si scambiano telefonate di confidenze e pettegolezzi; in pubblico le donne devono indossare il burka ed evitare qualsiasi contatto. Naturalmente Wadjda non vuole darsi per vinta e pur di trovare i soldi necessari a comprarsi la bicicletta arriva ad iscriversi a una gara scolastica di Corano. Anche se i risultati della vittoria non saranno esattamente quelli sperati...

Raccontato con uno sguardo apparentemente rispettoso delle regole ma in realtà capace di far emergere le tante contraddizioni della società (l’amica della mamma che sceglie di lavorare in ospedale) e le mille involontarie assurdità di una vita divisa tra regole pubbliche e compromessi privati (come il «bel ladro notturno» che visita l’inflessibile preside), il film scivola via con un ritmo spigliato e accattivante, lontano dalle pesantezze dei film a tesi e invece capace di sorprendere con la sua spontaneità e il suo disincanto. Oltre che con la sua sorridente freschezza, che si incarna così bene nel volto sbarazzino eppure indagatore della volitiva Wadjda.

PPaolo Mereghetti, Corriere della Sera, 4 dicembre 2012

 

 

 

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