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CINEMA SOCIALE – S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna
PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
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Giovedì 20 marzo 2014 – Scheda n. 22 (916)
Salvo
Regia e sceneggiatura: Fabio Grassadonia e Antonio Piazza
Fotografia: Daniele Ciprì. Montaggio: Desideria Reyner.
Musica: Dickon Hinchliffe.
Interpreti: Saleh Bakri (Salvo), Sara Serraiocco (Rita),
Luigi Lo Cascio (Enzo Puleo), Giuditta Perriera (Mimma Puleo),
Mario Pupella (Boss), Redouane Behache (Picciotto), Jacopo Menicagli (Picciotto).
Produzione: Cristaldi Pictures. Distribuzione: Good Films.
Durata: 104’. Origine: Italia, 2012.
Fabio Grassadonia e Antonio Piazza
Un film di una coppia di registi. Fabio Grassadonia e Antonio Piazza sono entrambi scrittori e registi palermitani. Hanno scritto sceneggiature: quella con la prima stesura di Salvo è stata segnalata al premio Solinas, il massimo premio italiano per le sceneggiature. Hanno frequentato la Scuola Holden di Torino, poi lavorato come consulenti per alcune società di produzione italiane. Nel 2010 esordiscono nella regia con il cortometraggio Rita, il cui personaggio centrale ha molto a che fare con il personaggio della ragazza di Salvo. Rita viene premiato ai Nastri d’Argento e presentato in più di cento festival internazionali (Rotterdam, Edimburgo, Chicago, Angers, Abu Dhabi, Aspen, Toronto...) dove ha vinto decine di premi. Nel 2013 il loro primo lungometraggio, Salvo, viene invitato al festival di Cannes, alla Semaine de la Critique, e vince la Caméra d’or che è il premio per il miglior esordio e un secondo premio per la miglior rivelazione.
Sentiamo i registi: «Durante un omicidio un killer di mafia dona la vista alla sorella cieca della sua vittima. Un miracolo, in un mondo dove i miracoli non accadono. Questa è la domanda da cui siamo partiti per dare senso alla storia di Salvo. Entrambi siamo palermitani ed è stato naturale scegliere Palermo come mondo nel quale ambientare la storia. Palermo è un mondo dove la libertà è pericolosa. Un mondo che ha bisogno di un tiranno, un oppressore, cosa inaccettabile ma in un certo senso comprensibile. Più misteriosamente c’è però una maggioranza che desidera essere oppressa, che ha bisogno di vivere in un perpetuo “stato di eccezione”, dove violenza e azione sono le uniche leggi. Uno stato in cui un vero libero incontro fra due esseri umani è inconcepibile. L’incontro tra i due protagonisti provoca una frattura pericolosa, una sospensione di questo stato d’eccezione: la possibilità della libertà. Questo il miracolo di cui un mondo siffatto avrebbe più bisogno e ha più timore...
Per evitare le secche e i rischi di un cinema troppo concettuale, abbiamo articolato la storia all’interno di una forma classica, giocando con alcuni generi riconoscibili: con il noir prima di tutto; con la storia d’amore; con la commedia nera, attraverso la coppia di piccoloborghesi, complici della latitanza del protagonista, guardiani e carcerieri del loro mondo angusto e grottesco; infine, aiutati dai paesaggi epici e desertici dell’entroterra siciliano, anche con il western all’italiana. Con cura abbiamo evitato quella certa fiction che utilizza la Sicilia e la tematica mafiosa con semplificazioni, stilemi e ripetizione dei soliti stereotipi che generano ambigue mitologie e cloroformizzano le cose e la realtà. Il tentativo è stato quello di “scloroformizzare" le cose e la realtà...
Abbiamo girato nei mesi più caldi dell’estate siciliana per evidenziare in maniera palpabile, fisica, la difficoltà, la pesantezza del vivere quotidiano. Volevamo cogliere una particolare atmosfera all’interno della quale immergere i nostri personaggi. Un’atmosfera che non fosse solo pura cornice fotografica. Un’atmosfera pesante, appiccicosa, malata che contribuisce a dar forma alle anime che attraversano la nostra storia...
Il film ha un inizio forte, una lunga scena d’azione e d’inseguimento, calata intenzionalmente nel genere pur contenendo alcuni segni di quello che sarà lo sviluppo successivo. Volevamo che lo spettatore entrasse nel film incalzato dalla successione di scene che vanno dall’attentato iniziale subito dal protagonista e dal suo boss fino alla lunga sequenza girata all’interno della casa di Rita, dove conflagrano alcuni elementi chiave della nostra narrazione. Lì avviene qualcosa di straordinario, che sconvolge la vita dei due protagonisti. E anche la storia e la sua resa cinematografica sterzano bruscamente verso un’altra direzione. Credevamo di essere dentro una storia e invece ci ritroviamo d’improvviso in un’altra storia che nasce dalla prima, da spettatori letteralmente precipitiamo in questa nuova storia, come vi precipitano Salvo e Rita, costretti a conoscersi e ad avere a che fare l’uno con l’altra».
La critica
Una coppia di giovani palermitani col desiderio di fare un film, allenati dal lavoro su sceneggiature e progetti altrui, vince il Solinas con una storia di mafia che piace a due produttori, tra cui Fabrizio Mosca (sì, il produttore dei Cento passi), trova interlocutori nazionali (il Torino Film lab) e internazionali (tra gli altri il canale culturale franco-tedesco Arte), riesce a girare il film che arriva a Cannes, nel cartellone della Sémaine de la Critique, senza distribuzione conquista il Gran Prix. La critica di tendenza d’oltralpe impazzisce, ‘Libération’ in testa, e sì che verso il cinema italiano sulla Croisette non sono mai troppo teneri (non è solo Sorrentino che mal digeriscono). Salvo prende il titolo dal nome del protagonista, un killer di mafia con gli occhi di ghiaccio che non sbaglia un colpo: da solo sventa l’agguato di una banda nemica, estorce il nome del traditore, ma quando arriva dal nemico per eliminarlo accade qualcosa di imprevisto: in casa c’è anche la sorella cieca di lui, Rita, e nei minuti, una manciata eppure lunghissimi in cui condivide lo spazio delle stanze con la ragazza, ascoltando il battito della sua paura, il killer è spiazzato e di impulso invece di ucciderla la prende e la porta via. Un gesto che avrà un prezzo molto alto...
Eppure Salvo non è un film ‘di’ mafia, magari è un film dentro la mafia o con la mafia, senza riferimenti cinefili o di citazione del genere. Non siamo nel Padrino o in Good Fellas, Grassadonia e Piazza provano a ricreare l’universo mafioso fuori da questi codici, affidandolo a una partitura sonora costruita sui rumori degli ambienti, e alla performance più che alle psicologie dei protagonisti, i cui corpi attraversano spazi fisici e emotivi interni e esterni. Saleh Bakri, un po’ Schwarzenegger e moltissimo il padre, il grande attore palestinese Mohamed Bakri, che al mondo e ai malavitosi oppone una sola rigida espressione, e Sara Serraiocco, che forse esagera un po’ nello strabuzzare occhi e mani quando recita la cieca, nel corpo a corpo invisibile in piano sequenza col killer. Entrambi animaleschi, senza parole, solo un sentirsi reciproco di paura, diffidenza e attrazione che li fa esplodere dall’interno. Intorno a questo nucleo i registi costruiscono la loro trama, orchestrata dal montaggio di Desideria Rayner, che procede per sottrazione. Una Palermo anonima e volutamente straniata, di cui la fotografia (molto felice) di Daniele Ciprì illumina i lati degradati e marginali, quasi un paesaggio da western all’italiana (quello che piace a Tarantino), fiabesco e surreale. Come il teatrino familiare, di complicità ribelle maschia, omoerotica tra Salvo e il suo padrone di casa, marito silenzioso e succube (Luigi Lo Cascio) di una donna (l’unica altra presenza femminile in quell’universo di uomini) megera. Dalla violenza al miracolo, passando per il melò d’autore di un amore inconfessabile, la scommessa dei registi è quella di spostare l’iconografia ‘mafiosa’, e il racconto della realtà, su un altro piano, dove dal gesto eclatante (lo hanno definito anche ‘l’anti-Gomorra’) si passa al quotidiano di complicità e accettazione, di piccoli favori e ipocrisie, di occhi che non vedono come quelli di Rita perché non vogliono vedere, e se vedono finisce il mondo. È la realtà, attuale, dentro e fuori lo schermo, conflitto di sussulti e di consapevolezze necessarie, che molto dice sul mondo a cui i due registi fanno riferimento, assai poco letterario, e così ‘vero’ nella sua dimensione magica. Mare e cielo qui non hanno niente di poetico, sono inquinati come le apocalissi che Ciprì ai tempi di Cinico tv distillava nelle immagini di un’umanità non più umana, post apocalittica forse, o sopra la quale l’apocalisse era passata nell’indifferenza e nell’apatia. (...)
CCristina Piccinno, Il Manifesto – 27 giugno 2013
Orgoglio italiano alla Semaine de la critique di Cannes, dove Salvo ha vinto entrambi i premi in palio (quello per il miglior film e quello per la miglior rivelazione). L’esordio di due ex allievi della Holden racconta la storia di un killer che, dopo aver ucciso un mafioso rivale, non se la sente di eliminare anche la sorella cieca e decide di sequestrarla in una fabbrica abbandonata. Dove si compie uno strano ‘miracolo’: nel cuore del killer comincia farsi strada se non proprio l’amore almeno un desiderio di protezione, mentre la ragazza inizia a distinguere le immagini. La scommessa dei due registi è quella di fondere uno stile ultra-realista, con lunghi piani sequenza che pedinano il protagonista (molto bello quello del suo ingresso nella casa dell’uomo da uccidere), con una lettura ‘magica’ della realtà, in cui l’amore finisce per superare la crudeltà del mondo. E come nel toccante finale di Lucky Star di Frank Borzage, la forza dei sentimenti riesce a superare i limiti del corpo: ieri (era il 1929) per introdurre l’happy ending, oggi per aprirsi almeno verso la speranza di un riscatto.
PPaolo Mereghetti, Io Donna – 29 giugno 2013
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