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No. I giorni dell'arcobaleno - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 17 aprile 2014 – Scheda n. 26 (920)

 

 

 

 

No

 

 

I giorni dell’arcobaleno

 

 

 

 

Titolo originale: No

 

Regia: Pablo Larraín

 

Sceneggiatura: Pedro Peirano, dal libro “I giorni dell’arcobaleno”

di Antonio Skármeta.

 Fotografia: Sergio Armstrong. Montaggio: Andrea Chignoli.

Musica: Carlos Cabezas.

 

Interpreti: Gael García Bernal (René Saavedra), Alfredo Castro (Luis “Lucho” Guzmán),

Antonia Zegers (Verónica), Luis Gnecco (José Tomás Urrutia),

Néstor Cantillana (Fernando), Marcial Tagle (Alberto Arancibia),

Pascal Montero (Simón Saavedra), Jaime Vadell (il ministro Fernández),

Elsa Poblente (Carmen), Diego Muñoz (Carlos).

 

Produzione: Fabula/Participant Media/Funny Balloons/Canada Films.

Distribuzione: Bolero. Durata: 110’. Origine: Cile, Francia, Usa, 2012.

 

 

Pablo Larraín

 

 

Nato a Santiago del Cile nel 1976, Pablo Larraín ha studiato comunicazione audiovisiva all’Università UNIACC. È membro fondatore di “Fabula”, una compagnia di produzione cinematografica, televisiva e pubblicitaria. Nel 2005 ha diretto il suo primo film, Fuga. Del 2007 è il secondo film, Tony Manero, presentato alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes e molto apprezzato dalla critica. Il film è premiato in molti festival internazionali e vince il Torino Film Festival, dove il protagonista Alfredo Castro riceve il premio quale miglior attore. Tony Manero è stato anche candidato all’Oscar quale miglior film straniero. Post Mortem è il suo terzo film (2010), seguito da questo No - I giorni dell’arcobaleno (2012), presentato anch’esso a Cannes con grande successo. I tre film, Tony Manero, Post Mortem e No, compongono una trilogia sulla dittatura del generale Pinochet.

Sentiamo Larraín: «Per girare, ho voluto usare appositamente le videocamere che si usavano negli anni Ottanta, il periodo in cui è ambientato il film. Così non c’è differenza nelle immagini dei materiali di allora che ho riusato e nelle immagini che ho girato io per il film. In questo modo abbiamo ottenuto un’immagine identica a quella realizzata negli anni ’80, in modo che lo spettatore fruisca di questo immaginario senza capire quali siano i filmati di archivio e quale sia il girato del film. In questa maniera abbiamo evitato di rendere evidente l’uso del materiale d’archivio, creando una perfetta combinazione del tempo, dello spazio e del materiale, con macchine da presa Ikegami del 1983. Il formato in 4:3 e la scelta della tecnica di girare il film con delle macchine da presa analogiche sono anch’esse un modo di resistere all’egemonia estetica dell’alta definizione...

Il protagonista, René Saavedra, è figlio del sistema neoliberale che Pinochet impose nel mio paese. Per questa ragione è interessante che sia proprio lui incaricato di sconfiggere Pinochet, con gli stessi strumenti ideologici provenienti dalla dittatura. E lo fa inventando una campagna pubblicitaria piena di simboli e obiettivi politici, che apparentemente sono solo parte di una strategia di comunicazione, mentre, in realtà, nascondono il futuro del Paese. Secondo me la campagna per il “no” è solo il primo passo verso il consolidamento del capitalismo come unico sistema possibile in Cile. Non è una metafora: è il capitalismo, puro e vero, prodotto della pubblicità, applicata alla politica...

Chiudere la mia trilogia con questo film significa chiudere un ciclo e aspettare che i film generino un nesso tra di loro. Post mortem parla dell’origine della dittatura, Tony Manero del suo momento più violento e No racconta la sua fine. Forse la cosa che più mi interessa è esaminare e rivisitare l’immaginario della violenza, la distruzione morale e la distorsione ideologica, non allo scopo di capire ma per mettere in luce. Forse tra qualche tempo rappresenteranno uno sguardo su un periodo pieno di labirinti bui e tristi, caratterizzato da una felicità impacciata e spesso forzata».

 

 

La critica

 

 

Tony Manero era la storia di un aspirante ballerino e omicida seriale nel cupo 1978, con il Cile sotto il tallone della dittatura militare di Pinochet. Post mortem era la storia di un oscuro impiegato all’obitorio di Santiago del Cile, anche lui omicida, che nei giorni del golpe di Pinochet vede arrivare il cadavere del presidente Salvador Allende e assiste all’autopsia. No è sempre dentro la storia del Cile ma racconta il riscatto delle opposizioni che, nel 1988, vincono il referendum voluto da Pinochet con l’intento di rafforzarsi e restare in carica per altri dieci anni. Tutti i dittatori si credono votati all’eternità, si sentono padri della patria e madri di tutte le madri e di tutti i figli della loro nazione (loro, perché di loro esclusiva proprietà). Pinochet non faceva eccezione. Uccideva i suoi avversari, però voleva un gran bene a tutti i cileni. Eppure il no vinse il referendum.

No di Larraín ci racconta come i no vinsero lo scontro. Soprattutto racconta come fu che i no vinsero perché adottarono una strategia comunicativa inaudita per una sinistra che veniva da anni e anni di dittatura, soprusi, uccisioni. Al centro del film c’è un giovane uomo, René Saavedra (l’attore è Gael Garcia Bernal), ritornato in Cile dopo anni di volontario esilio in Messico. René fa il pubblicitario, uno che spinge i consumatori a comprare e se ne intende di gioie e di felicità fatte di tramonti baci sorrisi belle automobili case luminose. Uno che maneggia queste cose con disinvoltura: ma anche uno che ha una coscienza politica, che sa che il dittatore bisogna eliminarlo e che per riuscirci vanno usate tutte le armi della pubblicità. Tra l’altro, René lavora in una grossa agenzia il cui capo è impegnato nella campagna referendaria per il sì. La sfida, per René, è politica e professionale. Molti, tra i politici del no, vorrebbero partire all’attacco durante la campagna sui cavalli di battaglia della sinistra, la povertà, le torture, la disoccupazione, la mancanza di libertà. Cose giustissime e sacrosante: ma con le quali si rischia di perdere. A questa tendenza tragica, René risponde con una visione fondata sulla speranza e sull’avvenire, sul sole e sull’arcobaleno dell’avvenire. Il film diventa così il resoconto di un percorso verso la vittoria, raggiunta con i mezzi che di solito usa la controparte. Ma No non è solo questo. È un modo di fare cinema che riesce a porci, noi spettatori, dentro la campagna referendaria, dentro quei mesi, quell’epoca. Anche dentro le immagini di allora. Larraín non crea nessun tipo di distacco tra le immagini girate oggi e quelle di venticinque anni fa, spot televisivi, interviste, reportage. Anzi: le collega strettamente grazie all’uso, per le immagini girate oggi, degli stessi strumenti con cui si girava nel 1988. Vediamo all’opera René/Garcia Bernal mentre prepara gli spot e subito dopo vediamo gli spot girati allora: tra i due tipi di immagini non c’è differenza. Questo perché Larraín adopera lo stesso sistema in uso allora, il 3/4 U-Matic, con il risultato che le immagini sono tutte uguali, per tono, composizione, grana, colore. Siamo dentro al passato e non lo guardiamo con gli occhi, con la mente e con le immagini di oggi, ma con la bassa definizione di allora: come fossimo là e non sapessimo come andranno le cose, se si vincerà oppure no, se quella scelta di fare una vera e propria campagna pubblicitaria porterà alla sconfitta di Pinochet. La bassa definizione delle immagini tiene alta l’incertezza di noi che guardiamo. No elimina venticinque anni di storia per riportarci dentro quella storia, la storia di una incredibile vittoria. “Chile, la alegria ya viene”, come si cantava in uno degli spot.

BBruno Fornara, Cineforum, n. 515, giugno 2012

 

La scelta di girare No - I giorni dell’arcobaleno come un film di fine anni Ottanta è prima di tutto politica, e solo dopo anche estetica. Per raccontare l’ingresso del Cile nel XX secolo dei sogni e dei bisogni televisivi, Larraín si è calato nel passato con la forza dell’immedesimazione cinematografica, che intesa letteralmente significa restituire la grana giallognola, pastellosa e slabbrata delle immagini televisive di allora, usando la Betacam e il formato 4:3 e facendosi dare una mano dal digitale, che sulla piattezza della luce ha ridefinito in parte l’estetica del cinema. Il risultato è uno shock visivo, un lavoro cristallino, elementare e per questo devastante sull’estetica vintage e sulla famigerata «invenzione della nostalgia» che attraversa il nostro tempo. Larraín ricostruisce, ricrea, ricalca, fa riferimento a un universo iconografico riconoscibile, di immediata emotività per un pubblico sia vecchio sia giovane, e in questo modo scava nel qui e ora della Storia e soprattutto nel momento fondante della contemporaneità. L’idea vincente del fronte referendario sta nel considerare la politica come un prodotto, vendendo sogni e speranze alla stregua di bibite e pannolini. Esattamente come cerca di fare la parte del Sì, dimenticando però di aggiornare il linguaggio. La pubblicità colma il vuoto d’immaginazione lasciato dalla politica orfana delle ideologie, dà forma al futuro con i colori dell’arcobaleno, con la voce di un’allegria imminente. Tutto è finto, ma siccome è recitato con la voce e la luce del presente (il presente di allora, s’intende, ché il presente di oggi ha altri colori, altre luci, ma stesse parole), diventa credibile. La vittoria del No fu un evento grandioso, bellissimo, degno da essere recuperato per la sua carica rivoluzionaria, ma Larraín sa bene che c’è un solo modo per renderla moderna e dunque ripetibile: raccontandola con il linguaggio televisivo-pubblicitario di allora, trasformato oggi nell’unica forma di memoria possibile.

RRoberto Manassero, Cineforum, n. 525, giugno 2013

 

 

 

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