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Giovedì 15 gennaio 2015 – Scheda n. 13 (934)
Lei
Titolo originale: Her
Regia e sceneggiatura: Spike Jonze
Montaggio: Juliette Welfling. Fotografia: Hoyte Van Hoytema.
Musica: Arcade Fire, Owen Pallett.
Interpreti: Joaquin Phoenix (Theodore), Scarlett Johansson (voce di Samantha),
Amy Adams (Amy), Rooney Mara (Catherine),
Olivia Wilde (ragazza dell’appuntamento al buio), Chris Pratt (Paul),
Matt Letscher (Charles), Luka Jones (Mark Lewman),
Gracie Prewitt (Jocelyn), Laura Kai Chen (Tatiana).
Produzione: Annapurna Pictures. Distribuzione: Bim.
Origine: Usa, 2013. Durata: 126’.
Spike Jonze
Un regista speciale. C’è chi dice “geniale”, c’è chi dice troppo manierato: vedete voi. Pochi i suoi film. Vero nome: Adam Spiegel. Nato nel 1969, a Rockville, nel Maryland, Usa. Figlio di un uomo d’affari e di una scrittrice, studia e lavora in un negozio di BMX, le bici da acrobazia. Fonda due riviste di cultura giovanile, Homeboy e Dirt. Viene assunto come redattore per la rivista Grand Royal, entra in contatto con il mondo musicale, gira dei videoclip, per i R.E.M., Björk, Ice Cube, i Daft Punk... Gira anche dei corti: Video Days (1991) con Jason Lee, Mouse (1997), How They Get There (1997), Amarillo by Morning (1998) e Torrance Rises (1999) diretto insieme a Roman Coppola, figlio del regista Francis Ford e fratello della regista Sofia che diventa sua moglie per qualche anno. Debutta nel lungometraggio con il cervellotico e divertente Essere John Malkovich (1999), con lo stesso John Malkovich e Cameron Diaz. Importante la collaborazione con lo sceneggiatore Charlie Kaufman. Il secondo film è Il ladro di orchidee, con Meryl Streep e Nicolas Cage. Nel 2009 dirige Nel paese delle creature selvagge, sceneggiato con lo scrittore Dave Eggers e musicato da Karen O. degli Yeah Yeah Yeahs. Del 2013 è questo Her, Lei, bizzarra storia d’amore tra uno scrittore solitario e una... lei. Paradosso, ironia, stramberie, fantasticherie, baraonde mentali, invenzioni: questi i “vizi” e le “qualità” di Spike Jonze.
Sentiamo Jonze: «Una delle cose più difficili in un rapporto di coppia è essere onesti fino in fondo e permettere alla persona che ami di fare altrettanto. Ognuno di noi cresce e cambia continuamente. È possibile lasciare l’altro libero di essere se stesso, giorno dopo giorno, anno dopo anno? E se l’altro cambia l’ameremo lo stesso? Ma soprattutto, se saremo noi a cambiare, l’altro continuerà ad amarci? Ecco alcuni degli interrogativi che emergono quando Theodore incontra Samantha che è... la voce sintetica di un sistema operativo di ultima generazione. La pubblicità lo presenta come un software intuitivo che ti ascolta, ti capisce e impara a conoscerti. Esempio sofisticato di intelligenza artificiale, Samantha è affettuosa e empatica, ben presto rivela anche una certa indipendenza di giudizio, uno spiccato senso dell’umorismo, la capacità di andare al nocciolo dei problemi e una gamma sempre più complessa di emozioni. Dal momento in cui inizia a esistere, Samantha progredisce rapidamente, di pari passo col suo rapporto con Theodore. Da sua assistente, si trasformerà gradualmente in amica fidata, confidente e – alla fine – in qualcosa di molto più profondo...
In Theodore c’è molta tristezza, ma ci sono anche allegria e giocosità: un contrasto molto tenero e interessante. Progettata per apprendere ed evolversi, Samantha accoglie con entusiasmo ogni nuova esperienza, e non è mai stanca. Questo dà la spinta giusta a Theodore per trovare in sé le risorse per uscire dalla depressione. Nonostante abbia accesso a tutte le informazioni del mondo, Samantha elabora in tempo reale, momento per momento, pensieri e reazioni. Non ha opinioni predeterminate. Sa essere fresca e immediata, oltre che saggia e profonda. Via via che cresce la consapevolezza di Samantha, cresce anche quella di Theodore. Lui la porta a fare delle gite in città, in montagna e al mare, e lei lo aiuta a guardare con occhi diversi le tante difficoltà della vita quotidiana. A un certo punto, Theodore comincia a vedere anche se stesso in modo diverso. È questo che segna l’inizio di ogni storia d’amore. Ognuno indica all’altro modi diversi di guardare le cose. Innamorarsi e essere innamorati dovrebbe essere questo: stare con qualcuno che ci stimola e ci entusiasma, che ci aiuta a capire meglio noi stessi, a vederci con occhi diversi».
La critica
Ci si può innamorare di un computer? Sì, se ha la voce di Scarlett Johansson ed è più preciso della migliore delle segretarie. Avviene in Lei, nuovo film del regista americano Spike Jonze. Un melodramma abbastanza classico sotto il manto fantascientifico, protagonista lo scrittore Theodore, interpretato da Joaquin Phoenix. Un uomo sensibile e rimasto solo, impegnato nel completare le pratiche per il divorzio, che lavora soprattutto scrivendo lettere, anche d’amore, per conto di altri. Una persona attenta e abituata a immaginare, a calarsi nei panni altrui, a vivere di emozioni. È capace di leggere dentro gli altri, ma forse non è più disponibile a lasciarsi andare, a farsi coinvolgere completamente. Non è così strano che, in una Los Angeles di un futuro non troppo lontano, si lasci incantare dal nuovo sistema operativo di un computer che promette di essere uno strumento unico. Inizia così uno strano coinvolgimento che diventa pervasivo. Samantha, così si chiama la voce che lo assiste è sempre presente, perfetta, in sintonia completa con Theodore, in più è vivace, simpatica, curiosa e incredibilmente spiritosa. Il protagonista crede di essere al sicuro dai pericoli dell’amore, ma non è così. Si crea un rapporto sempre più stretto, che diviene di dipendenza, di amore e passione a distanza. Presto interviene la gelosia, perché Samantha, che nello svilupparsi della storia diventa più umana, ha interazioni con molti altri. Lei è l’amore al tempo delle relazioni virtuali, che virtuali non sono mai: quando c’è il coinvolgimento diventa tutto reale - il desiderio di passare del tempo con l’amata, la paura di perderla, la sofferenza nella mancanza e tutti gli ingredienti dell’amore. Jonze, già regista di Essere John Malkovich, Nel paese delle creature selvagge e di molti videoclip, racconta come cambia il sentimento con la tecnologia e l’irruzione della comunicazione continua, ma le emozioni, le paure e i desideri sono in fondo sempre quelli. Lei è più simile a un melò classico che alla fantascienza e Jonze, che ha vinto il Golden Globe e l’Oscar per la migliore sceneggiatura originale, ha la capacità di ricondurre qualcosa di nuovo a ciò che è connaturato all’uomo. Lo stile visivo è molto patinato e giocato sulle luci brillanti degli esterni e i colori caldi (Theodore è quasi sempre vestito di rosso, arancio o giallo) degli interni. La Johansson ha vinto il premio come migliore attrice al Festival di Roma, anche se non la si vede mai, suscitando sorpresa e qualche infondata polemica. Un interprete ha tanti strumenti per dare vita a un personaggio, in questo caso può bastare la voce, come bastava il corpo ai divi del cinema muto. A Micaela Ramazzotti è toccato il difficile compito di doppiarla e se l’è cavata. Da sottolineare la colonna sonora degli Arcade Fire.
NNicola Falcinella, L’Eco di Bergamo, 20 marzo 2014
Uno dei vantaggi delle opere di fantasia è che anche se i conti non tornano non si fa del male a nessuno. Prendete Theodore Twonbly (Joaquin Phoenix), il protagonista di Lei di Spike Jonze. È la versione moderna del pubblico scrivano, ovvero lavora per una ditta che produce lettere emotivamente impeccabili, commoventi, gentili, per una clientela di semianalfabeti emotivi che devono por rimedio a situazioni ingarbugliate. I conti non tornano: se dobbiamo credere fino in fondo alla sceneggiatura, il suo lavoro non avrebbe ragion d’essere; queste lettere può scriverle assai meglio il suo nuovo sistema operativo OS1, dotato di qualità che un osservatore distratto qualificherebbe di ‘coscienza’ e, da un certo punto in poi della vita elettronica del sistema, di ‘emozione’. OS1 edita davvero le lettere di Twonbly; solo che poi non solo non gli toglie il lavoro, fa addirittura in modo che lui le pubblichi. Guarda caso, per i tipi di un prestigioso editore cartaceo che fa figura di relitto nel mondo asettico raccontato dal film (mai una goccia di pioggia, pochi alberi, un ibrido estetizzante tra Shangai e Los Angeles). Ma, come abbiamo detto, questa è un’opera di fantasia. L’idea veramente azzeccata da Jonze è quella dell’interazione vocale di seconda generazione con le macchine. La voce è un veicolo assai diretto della mente, più della scrittura simil-manuale che la ditta di Twonbly usa per le finte lettere sentimentali, e certo più delle emoticon, quelle faccine che sorridono patetiche tra le righe delle email che riceviamo quotidianamente. La voce è anche l’unico parametro di OS1 che Twonbly risetta, creando un universo sonoro femminile che lo illuderà per tutto il film con la promessa di una impossibile relazione sentimentale a bassa temperatura. (...) La ‘psicologia’ di OS1 è quella di un sociopatico, che modella i suoi atteggiamenti e le sue risposte su quello che il suo malcapitato interlocutore si aspetta di sentirsi dire, e finisce quindi per stupirlo continuamente per l’incredibile pertinenza delle interazioni, salvo poi ovviamente abbandonarlo quando non ha più modo di sfruttarlo. (…)
I film futuristi sono interessanti perché definiscono la nostra immagine del presente, le nostre attese, le promesse degli oggetti che creiamo. Al tempo stesso ci nascondono ciò che questi oggetti sono veramente. (…)
Una volta aperta la porta entrano però subito in campo macchine dalla potenza di calcolo enorme, algoritmi sofisticati in grado di imparare dall’esperienza e da sconfinate basi di dati; queste vanno a caccia di pattern imperscrutabili nelle nostre vite e addirittura le plasmano con le loro ‘raccomandazioni’, rinchiudendoci nel comportamento di routine che prevedono per noi i loro modelli matematici.
RRoberto Casati, Il Sole 24Ore, 9 marzo 2014
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