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Giovedì 12 marzo 2015 – Scheda n. 21 (942)
Locke
Regia e sceneggiatura: Steven Knight.
Fotografia: Haris Zambarloukos. Montaggio: Justine Wright.
Musica: Dickon Hinchliffe.
Interpreti: Tom Hardy (Ivan Locke), Ruth Wilson (Katrina),
Olivia Colman (Bethan), Andrew Scott (Donal),
Tom Holland (Eddie), Bill Milner (Sean),
Ben Daniels (Gareth), Danny Webb (Cassidy),
Silas Carson (Dott. Gullu), Alice Lowe (Sister Margaret).
Produzione: Shoebox Films, Im Global. Distribuzione: Good Films.
Durata: 85’. Origine: Gran Bretagna, 2013.
Steven Knight
Nato nel 1959 a Marlborough, nel Massachusetts, Usa, Steven Knight passa a vivere in Inghilterra, si laurea in letteratura inglese, lavora in un’agenzia pubblicitaria, poi in una radio. Nel 1988 comincia a scrivere sceneggiature per la tv e per il cinema. La prima sceneggiatura cinematografica è quella di Piccoli affari sporchi, per la regia di Stephen Frears (2002). Altre due sceneggiature diventano film: Amazing Grace di Michael Apted, film biografico sul politico britannico anti-schiavitù William Wilberforce, e soprattutto La promessa dell’assassino di David Cronenberg, con Viggo Mortensen e Naomi Watts, sulla criminalità russa a Londra. Knight è anche autore teatrale di pièce importanti, come The President of an Empty Room. È autore di quattro romanzi: The Movie House, Alphabet City, Out of the Blue, e The Last Words of Will Wolfkin. Ha diretto due film come regista, entrambi del 2013, questo Locke e Redemption - Identità nascoste.
Sentiamo Knight: «Dice Locke, il mio personaggio: “La differenza tra mai e una sola volta è abissale. La differenza tra mai e una sola volta è la differenza tra il bene e il male”. Ivan Locke ha lavorato sodo per costruirsi la sua vita. Stanotte quella vita gli crollerà addosso. Alla vigilia della sfida più grande di tutta la sua carriera, Ivan riceve una telefonata che scatenerà una serie di eventi dagli effetti catastrofici per la sua famiglia, la sua carriera e la sua anima...
Ivan è l’unico volto che vediamo; gli altri personaggi sono le voci all’altro capo delle sue telefonate, a volte arrabbiate, a volte divertenti, spesso sconvolte. Lo sfondo è quello ipnotico delle luci dell’autostrada, che illuminano il volto di Ivan, i demoni contro i quali combatte e le scelte che fa. Ho fatto dei test prima di iniziare le riprese vere e proprie: era affascinante, le città e le strade di notte sono bellissime, potevo stare a guardarle per ore. E quindi ho iniziato a chiedermi se fosse possibile raccontare una storia che si svolgesse interamente in una macchina...
Volevo che fosse una sorta di tragedia ordinaria. Si tratta di un uomo ordinario a cui capita qualcosa di ordinario. Non è un inseguimento di macchine o un’invasione aliena. Ma per tutti quelli coinvolti rappresenta un’enorme tragedia...
Tom Hardy è Ivan Locke. Tom è una di quelle persone che non appena appaiono sullo schermo attraggono tutti gli occhi su di sé. La gente vuole entrare nella sua testa. È davvero bravo a esprimere la complessità di una reazione e di un’emozione. In questo film, niente costumi elaborati, nessun tic, e nessun posto dove nascondersi. Ho girato tutto il film di notte e cronologicamente. E questo è piaciuto agli attori, sia a Hardy in macchina che agli altri al telefono. Gli attori preferiscono seguire una linea temporale, per riuscire a entrare meglio nel personaggio. In genere quando si gira un film si recita una battuta qui e una lì: è difficile. Questo metodo invece permette a tutti di entrare nel loro ruolo...
Il film analizza il modo in cui un errore, se così lo si può definire, possa portare alla distruzione totale di una vita. Per me questa era un’analogia di un edificio, della distruzione, della demolizione. Mi piaceva l’idea che questo uomo normale facesse un lavoro così solido e concreto. E non c’è niente di più solido del cemento. In quanto capo cantiere di un sito in costruzione dove vengono costruite le fondamenta di un enorme edificio, Ivan è considerato una persona affidabile. Ma per tentare di rimediare a un errore passato e fare la cosa giusta abbandona il suo posto in un momento cruciale. Molti anni fa ho lavorato in un sito in costruzione. Ricordo che l’arrivo del cemento, dei tanti camion con il cemento, è sempre un evento colossale. Quando arriva, tutto deve essere pronto perché se il cemento si secca nel posto sbagliato è un disastro...
C’è una sorta di solitudine nel fatto di trovarsi in una macchina da soli. Le persone fanno delle cose davvero strane mentre sono in macchina da sole. Cantano, parlano da sole. Volevo catturare la solitudine di quel momento. E poi arrivano queste altre voci e la vita del protagonista cambia».
La critica
Quella di Locke è una storia che si svolge quasi in tempo reale: l’ora e mezza necessaria per raggiungere Croydon (a sud di Londra) da Birmingham, dove il protagonista Ivan Locke decide di mettere a rischio la carriera e la vita familiare pur di non abbandonare Bethan, una donna con cui è andato a letto per caso, senza esserne particolarmente attratto (la definisce “non bella”) ma che è rimasta incinta e sta per partorire. Proprio l’indomani l’uomo, un ingegnere edile che lavora come capocantiere, ha un importante impegno di lavoro (deve assicurare la gettata del calcestruzzo per le fondamenta di un enorme grattacielo la cui costruzione coinvolge una grande società di Chicago). La sua assenza annunciata gli costa cara: viene licenziato dal suo capo Gareth, su ordine degli americani, e a distanza di pochi minuti viene anche lasciato dalla moglie Katrina, cui confessa per telefono il proprio adulterio.
La catastrofe di Locke si consuma nel breve tempo di telefonate congestionate anche con Donal, un suo sottoposto, cui comunica via via le istruzioni cercando di assicurare la buona riuscita del lavoro nonostante non lo riguardi più e con altri personaggi che deve contattare per superare ostacoli imprevisti. Il film è costituito quindi dalla performance di un unico attore che affronta una situazione sempre più rovinosa circondato e assalito dalle voci delle persone (invisibili e lontane) della sua vita professionale e familiare. La mdp non abbandona mai lo spazio claustrofobico della BMW di Locke, alternando i primi piani del suo volto con alcune inquadrature in dettaglio dell’interno della vettura e con immagini delle strade tagliate in corsa e delle luci notturne che si riflettono all’interno.
Un progetto così anomalo poteva essere intrapreso soltanto se un attore di fama avesse accettato di interpretare il protagonista. Knight pensò a Tom Hardy che deve la sua fama a personaggi brutali come il detenuto di Bronson di Refn, e Bane, il mostruoso nemico di Batman dal volto coperto con una maschera di cuoio in Il cavaliere oscuro. Il ritorno di Nolan. Hardy colse l’occasione di cambiare registro ma concesse alla produzione solo due settimane per le riprese.
RRoberto Chiesi, Cineforum, n. 535 giugno 2014
Era chissà perché fuori concorso ma Locke, il titolo migliore della Mostra di Venezia 2013, meritava molto di più di qualche benevolo report seguito dall’incertezza sulle prospettive di programmazione italiana. Meno male che il problema adesso è risolto e il pubblico può accedere a un film indipendente e a micro-budget, sommesso e teso, ironico e disperato, un thriller morale che sembra studiato (e lo è), virtuosistico (e lo è), claustrofobico (e lo è) eppure riesce a evidenziare i rischi dell’assunzione di responsabilità davanti a quegli eventi che come un vento di tempesta possono squassare all’improvviso le nostre fragili esistenze. È lo stesso meccanismo, fatte le debite differenze, usato da Shakespeare fino a Thomas Hardy, quello che il regista britannico Steven Knight, già sceneggiatore nominato agli Oscar per Piccoli affari sporchi e La promessa dell’assassino, applica concentrandosi su un personaggio bloccato fisicamente e mentalmente e congegnando una scommessa sulle potenzialità del primo piano o close-up, storica e cruciale prerogativa del cinema. Eccellente, in questo senso, è la prestazione di Tom Hardy (uno dei duri più camaleontici dello schermo) che nel corso di 85 serratissimi minuti di one-man-show deve usare la propria faccia e la propria voce (doppiata credibilmente da Fabrizio Pucci) come catalizzatrici di una scarica micidiale di emozioni e decisioni affine a quella prodotta da film di genere come In linea con l’assassino, Buried - Sepolto o anche Gravity, ma servita da contrappunti umanistici ben più densi e lancinanti.
Preferiamo, di conseguenza, rivelare il minimo di un intreccio che potrebbe definirsi un processo di rinascita in cui gli spasimi, gli sguardi, i toni prendono il posto delle affettazioni drammaturgiche, le scene madri e le spiegazioni di routine. Il capomastro Ivan Locke lascia il cantiere in piena notte e si mette alla guida di una BMW: è diretto a Londra perché la telefonata di una donna l’ha distolto dall’onerosa mansione che l’attende il giorno dopo. Nell’unità di tempo e luogo richiesta dal contesto – il morbido scivolamento dell’auto sul nastro autostradale, le ipnotiche e intermittenti luci esterne (fotografate con tre macchine digitali dal superbo operatore Zambarloukos) e le svarianti angolazioni di ripresa all’interno dell’abitacolo – una serie di squilli ininterrotti via Bluetooth sul display digitale di feroci rimostranze o amare incomprensioni da parte di interlocutori speciali o occasionali, ci faranno capire cosa è successo, cosa succede e cosa potrà succedere prima che sorga l’alba. Le fondamenta di cemento armato delle cui pose è superspecialista in edilizia, sembrano, così, metaforicamente sgretolarsi nel vissuto di Ivan, nonostante il suo sangue freddo, al diapason delle voci lontane che ora stupefatte, ora infuriate, ora imploranti, ora straziate l’assediano man mano che le ore e i chilometri passano.
VValerio Caprara, Il Mattino, 1 maggio 2014
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